Afghanistan:sterminare la comunità Lgbt Commento di Simone Alliva
Testata: La Stampa Data: 21 agosto 2021 Pagina: 10 Autore: Simone Alliva Titolo: «'Ci cercano per ucciderci con le pietre'. La comunità Lgbt nel mirino a Kabul»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/08/2021, a pag. 10, con il titolo "'Ci cercano per ucciderci con le pietre'. La comunità Lgbt nel mirino a Kabul", il commento di Simone Alliva.
Simone Alliva
“Ci ammazzeranno a colpi di pietre. Sai che vuol dire?». Basir parla e piange. È stremato. Da giorni vive nascosto in un luogo «sicuro» dentro Kabul: «Costa molto stare qui ma la vita non ha prezzo». Spera di usare il visto per andare in un altro Paese, ma il problema è uscire da quel rifugio che ormai è una prigione. Dalla finestra racconta quello che vede per strada: «In questo momento ci sono giù cinque taleban in cerchio con i fucili puntati verso il basso. Siamo cadaveri che si nascondono». 23 anni, gay. La sua vita non era migliore prima dell'arrivo dei taleban: «Ma avevamo una speranza. Adesso solo morte». Le persone Lgbt in Afghanistan da sempre vivono nell'oscurità: nessuna associazione, nessun riconoscimento di diritti. Eppure, negli ultimi anni la comunità Lgbt aveva acceso una luce. Il web era divenuto un porto per gay e lesbiche che grazie alla Rete scoprivano informazioni, contatti, possibilità di aggregazione altrimenti difficilissime. Basir per anni ha fatto questo con una pagina social: ha messo in contatto le persone Lgbt del Paese. Tutto finito. Con l'arrivo dei taleban divenire e trasformazione sono vissuti come minaccia. «Ci sono solo due punizioni peri gay: o la lapidazione oppure schiacciati sotto il crollo di un muro. La parete deve essere alta da 2 ai 3 metri».
La frase è di Gul Rahim, giudice talebano, al quotidiano tedesco Bild il mese scorso. Il destino per la comunità Lgbt in Afghanistan sembra segnato. Basir racconta del suo amico Alawi: «Gli hanno strappato l'anima» dice. «Si era molto avvicinato a una persona ma non sapeva fosse un talebano, lo conosceva da tre settimane. È stato invitato a casa con la promessa che avrebbero lasciato l'Afghanistan insieme. Si è trovato davanti altre due persone, una di queste aveva una barba lunghissima da mullah. Prima lo hanno picchiato senza pietà, colpito sui reni, alla testa, ai polpacci, con il calcio del fucile e i bastoni. Poi è stato stuprato. Gli hanno chiesto il numero del padre. Volevano comunicare che aveva un figlio gay. Si è rifiutato. Hanno continuato a picchiarlo. Adesso non vuole parlare, non vuole dire chi sono questi taleban. Lo controllano tramite i social e da vivo, da qui, non scapperà mai». Artemis Allah, attivista Lgbt afghano e rifugiato, lancia l'allarme: «Non lasciatevi ingannare. I taleban vogliono mostrare il volto buono ma è una maschera. Ci stanno ammazzando». Ogni giorno riceve messaggi disperati: «Sono stanco di nascondermi. Voglio uccidermi». Racconta anche di aver perso le tracce di un suo amico scappato da Kunduz: «I taleban gli hanno bruciato casa. È riuscito a scappare ed è giunto a Kabul senza niente. Dormiva per strada. Non ha soldi e ha paura che qualcuno scopra la sua omosessualità. Non ho notizie da giorni». Le donne lesbiche sono vulnerabili due volte: perché donne e omosessuali. Nemat Sadat, attivista Lgbt e professore di Scienze Politiche all'Università Americana dell'Afghanistan, racconta: «Ricevo storie di ragazze costrette a sposarsi e stuprate». Sadat presenterà al dipartimento di Stato americano una lista con 107 persone Lgbt da portare in salvo «Vorrei arrivare a mille». E rivolge il suo appello all'Italia: «Il governo italiano può accoglierci. Potrebbe offrire aiuti ai taleban se riconoscono i diritti Lgbt? Sembra folle, lo so, ma tutto è possibile. I taleban avranno bisogno di contanti una volta prosciugati gli aiuti esteri all'Afghanistan».
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