Riprendiamo da LIBERO di oggi, 18/08/2021, a pag. 1, con il titolo 'Femministe col burqa', l'analisi di Annalisa Chirico.
Michela Murgia
Se non ora quando? Quale sarà il momento giusto per dire che il patriarcato islamista fa a pugni con i diritti delle donne, che non c'è spazio per compromessi con chi intende imprigionare il corpo delle donne in un sudario di pietra? Se non scendiamo in piazza adesso, a Roma come a Parigi e a Londra e a New York, per protestare contro il ritorno dei barbuti, quale sarà il momento giusto? Forse quando sarà troppo tardi. In questi giorni di immagini da Kabul, di conferenze stampa in mondovisione, di uomini ammassati attorno agli aerei in partenza, sui carrelli e sulle ruote, di uomini che cadono dagli aerei in volo, le donne afghane sono le grandi assenti, come tutte le grandi vittime della storia. Le donne afghane non si mostrano, anzi si nascondono in attesa di capire che cosa riserverà loro il destino, e le donne occidentali più valorose in battaglie epocali come quella sulle desinenze da declinarsi rigorosamente al femminile si chiudono in un silenzio ipocrita e colpevole. In alcuni casi, forse, contano le aperte simpatie per gruppi terroristici come Hamas che ha accolto trionfalmente la restaurazione talebana, di certo conta la prudenza di chi teme le accuse di razzismo e islamofobia.
ONTOLOGICAMENTE INFERIORI Il risultato è il silenzio, il "missing in action" che unisce insieme le femministe per comodità e i ministri degli Esteri che nei giorni della crisi se ne stanno a mollo in acque pugliesi (è il caso dello spensierato Di Maio) o in acque cipriote (assai gradite all'omologo britannico Raab). Le donne afghane non si vedono, stanno mute e nessuno parla per loro, neanche le pseudofemministe in servizio permanente effettivo, quelle pronte a fare tanto rumore per difendere le donne occidentali che, per fortuna nostra, sono libere di vivere come vogliono, di andare a scuola e di lavorare, di abbronzarsi in topless, di scegliere se e quando copulare con qualcuno, per amore o per altre ragioni. Le pseudofemministe che affollavano le piazze contro il Cav e firmavano articolesse agguerritissime, assecondando la narrazione delle giovani vergini vittime del Caimano (risate), sembrano ignare di ciò che accade in Afghanistan; forse le signore non aprono i giornali, forse non guardano la tv, eppure sarebbe questo il momento di scendere in piazza contro il ritorno del patriarcato talebano che a Kabul, prima dell'arrivo degli occidentali nel 2001, governava ininterrottamente da quindici anni. Con il ritorno dei barbuti al potere, torna la sharia, il primato della legge coranica, che considera la donna un essere ontologicamente inferiore. Vent'anni di presenza militare, di soldati morti ammazzati, di ingenti risorse investite on the ground non hanno realizzato una struttura statuale accettata e sostenuta dagli afghani ma hanno posto le condizioni per un sistema di vita rispettoso dei diritti di donne e bambine. Il diritto all'istruzione, a girare in istrada con il capo scoperto e senza l'obbligo di un guardiano maschile, il diritto al lavoro e alle cure mediche, la libertà di indossare i tacchi con le caviglie in bella mostra, tutte queste cose bellissime, per noi occidentali così dannatamente scontate, erano tornate realtà in Afghanistan grazie a una guerra imperfetta ma giusta. Adesso, le lancette della storia tornano indietro, le afghane piangono in preda alla paura di subire violenze, soprusi, matrimoni forzati, e le intellò occidentali sembrano guardare da un'altra parte.
UN PAESE «LIBERATO» Nella prima conferenza stampa in mondovisione, i barbuti affermano, con orgoglio, di aver liberato" il Paese, in effetti hanno ragione: costoro liberano il Paese per imprigionare le donne, liberano il Paese per legittimare agli occhi del mondo una visione teologicamente totalitaria della società. Di fronte allo scempio dei diritti e della democrazia, è il momento di scendere in piazza, di mobilitare l'opinione pubblica internazionale affinché i governi occidentali si uniscano nella condanna unanime dell'occupazione afghana e dicano chiaramente che mai il regime degli usurpatori avrà un riconoscimento internazionale. Mai alcun compromesso sarà possibile con i talebani che a parole aprono alla presenza di donne nel governo ma "sotto la sharia", puntualizzano. Se la Cina è pronta ad integrarli nella via della Seta, l'Occidente sta da un'altra parte. La legge islamica è incompatibile con i diritti delle donne, l'identificazione tra legge di dio e legge dello stato fa a pugni con lo stato di diritto. Non sarà allora qualche presenza femminile in un futuro esecutivo a legittimare il potere fondamentalista che sogna il nuovo Emirato islamico nella ex centrale del terrore. Con i talebani a Kabul, nessuno di noi può dirsi al sicuro.
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