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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
15.08.2021 L'eredità di Arturo Schwarz
Commento di Jean Blanchaert

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 15 agosto 2021
Pagina: 3
Autore: Jean Blanchaert
Titolo: «Collezionista d'arte e di avventure»
Riprendiamo dal SOLE24ORE - DOMENICA di oggi, 15/08/2021 a pag.3, con il titolo "Collezionista d'arte e di avventure" il commento di Jean Blanchaert.

la vita avventurosa del critico d'arte arturo schwarz: 'mi condannarono  all'impiccagione per...' - Cronache
Arturo Schwarz

Avete presente un musicista prodigio, undicenne, con tanto di frac, pianoforte a gran coda e sala da concerto piena? È facile da immaginare. Più difficile è figurarsi un ragazzino intellettuale prodigio. Questo era Arturo Schwarz nell'Alessandria d'Egitto della seconda metà degli anni 30, sua città natale. La magica stagione letteraria e mondana di Alessandria volgeva ormai al termine e l'Egitto cominciava a essere lontano. «Lontano da dove?», potrebbe chiedere Claudio Magris. Lontano da tutto, da Parigi, da New York e anche da Città del Messico, per esempio. Precoce per Dna, Schwarz aveva la rara capacità di procedere a grande velocità leggendo e memorizzando ogni cosa. Era, come ha scritto Enrico Regazzoni, un «micidiale pianificatore della propria attività». Fra il pensiero e l'azione di Arturo Schwarz non passavano mai più di tre secondi. È un atteggiamento che ho visto da vicino in artisti come Ai Weiwei e Jan Fabre. Nel 1987, Andrée Ruth Shammah organizzò al Teatro Pier Lombardo un importante festival internazionale di cultura ebraica. Franco Parenti calcava ancora da protagonista le scene del teatro che avrebbe preso il suo nome. Milano fibrillava in quei giorni di iniziative inerenti al tema del festival. Una di queste, dedicata all'Israel Museum di Gerusalemme, si tenne a casa di Arturo Schwarz, in via Giuriati, a Milano. Fu lì che lo incontrai per la prima volta. Mi presentò a Lea Vergine. Nei trent'anni successivi, ebbi l'onore di diventare amico di entrambi. La casa di Schwarz, il modo in cui i quadri erano appesi, mi entusiasmò. Non avevo mai visto nulla di meno museale e di più museale nello stesso tempo: Duchamp, Picabia, Max Ernst, Man Ray, Magritte, Pollock, Giacometti, Matta, Christian Schad, Victor Brauner, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Chagall, Hans Arpe così via. Le pareti erano piene di quadri appesi gli uni accanto agli altri in un mare mosso di immagini da sindrome di Stendhal. Una surreale quadreria alla fiamminga che non seguiva nessuno dei dettami dei museografi, degli architetti e dei curatori. Mi sono sentito nella quadreria dell'Arciduca Leopold-Wilhelm, ad Anversa, raffigurata nel quadro di David Teniers (1651). Arturo Schwarz nacque nel 1924 in una famiglia ebraica. Il padre, ingegnere e inventore, era di Düsseldorf e la madre, Margherita Vitta, di Milano. Frequentò il Victoria College dove apprese l'inglese e il francese alla perfezione. Sin da ragazzo ebbe una grande passione per la poesia, per la filosofia e per la letteratura francese. Cominciò presto a costruire una propria biblioteca; l'Etica di Spinoza fu il suo primo testo formativo. Nel 1938, con tre amici, dopo aver letto La rivoluzione tradita fondò la Quarta Internazionale egiziana. Trotskij era esule in Messico dove fu ucciso il 21 agosto 1940 da Ramón Mercader, sicario di Stalin. La notizia raggiunse Schwarz due mesi dopo quando, soltanto sedicenne, stava preparandosi a partire, in piena guerra, per il Messico.In tasca aveva una sorta di invito: il biglietto da visita di Trotskij che avrebbe dovuto servire come lasciapassare. Sperava di incontrare il suo mito. Rimase trotskista per tutta la vita.

Nello stesso periodo, dopo aver letto Le Manifeste du Surréalisme di André Breton, esule a New York per motivi politici, gli scrisse una lettera di ammirazione, includendo alcune sue poesie. Dopo sei mesi, ricevette una calorosa risposta di incoraggiamento. Era al settimo cielo, divenne all'istante surrealista militante e lo fu per sempre. Nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale, il giovane trotskista surrealista si arruolò come volontario nella Croce Rossa. Prestò servizio a El Alamein caricando sulle ambulanze i feriti, italiani o inglesi che fossero. Alla fine del conflitto, fondò la libreria Culture e la casa editrice Progrès e Culture. Il suo scopo, raccontava anni dopo a Lea Vergine, era nientemeno che presentare un bilancio storico critico della letteratura, dell'arte e della filosofia nel dopoguerra. Nel gennaio del 1947 venne arrestato per attività sovversive dalla polizia politica dire Farouk, incarcerato, torturato, condannato all'impiccagione. Nel giugno 1949, in seguito agli accordi del cessate il fuoco tra Egitto e Israele, Schwarz venne liberato, in quanto ebreo, ed espulso dall'Egitto, senza mezzi, soltanto coi vestiti addosso. Venne imbarcato su una nave che lo portò a Genova. La polizia egiziana volle però essere sadica fino in fondo. Prima di condurlo alla nave, lo rasarono e lo avvolsero in una kefiah come si fa con i condannati a morte, facendogli credere che stava andando non al porto, bensì all'esecuzione. A venticinque anni tutta la vita gli passò davanti. Se prima del patibolo era inarrestabile, dopo la scampata impiccagione divenne immortale: dai venticinque ai novantasette anni. «Ars longa, longa vita». Sbarcato a Genova prese subito il treno per Milano, senza biglietto. Fra lui e la città di sua madre fu colpo di fulmine. Nel giro di vent'anni avrebbe avuto la più importante galleria d'Italia. Il Surrealismo e il Dadaismo sono stati divulgati da lui. Scriveva Philippe Daverio: «Arrivato sedicenne a Milano, la galleria di questo poeta, editore, studioso del pensiero ebraico e di quello orientale, mecenate, surrealista, amico di Breton e Duchamp, fu per me il luogo dell'iniziazione». Arturo mi parlò dell'episodio del patibolo nove anni fa, durante una visita a Ramat Gan, allo studio di Michal Rovner, importante artista contemporanea israeliana, che ci mostrò un suo video realizzato per Yad Vashem (Centro Mondiale per la Memoria dell'Olocausto), a Gerusalemme. Fu una delle tante visite che facemmo insieme.

L'ultimo viaggio, sei anni fa. Io sono uomo di materiali contemporanei, per questo Arturo mi chiese di accompagnare lui e la moglie Linda a Murano e a Faenza. Voleva conoscere Lino Tagliapietra e Andrea Zilio, maestri vetrai e artisti del vetro che, in Giappone, sarebbero considerati "monumenti nazionali viventi" e visitare la mostra Glasstress di Berengo Studio. Dopo tre giorni a Murano, andammo a Faenza. Davide Gatti Servadei, il più grande imprenditore ceramico d'Italia, ancora ricorda la sua visita: «Mentre gli mostravo i nostri lustri maiolicati, Arturo Schwarz, che sapeva tutto e più di tutto, guardava e si entusiasmava, animato dalla curiosità di un bambino». È stato il più grande mecenate dell'arte moderna. Il Museo d'Israele a Gerusalemme, il Museo d'Arte di Tel Aviv e la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, ne sanno qualcosa. Era una goccia con dentro tutto l'oceano.

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