Intervista a Netanyahu Fiamma Nirenstein intervista Banyamin Netanyahu, ministro degli esteri isreliano
Testata: La Stampa Data: 18 novembre 2002 Pagina: 8 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Netanyahu: ancora terrore finchè Arafat resta leader»
Riportiamo un'intervista di Fiamma Nirenstein al ministro degli esteri israeliano Benyamin Netanyahu pubblicata su La Stampa lunedì 18 novembre 2002. IL tempo dei giochi è finito, è arrivato il momento di combattere contro il terrorismo: già entrando nella sala dove ha riunito repentinamente, di domenica, tutti gli ambasciatori in Israele, il passo, l'espressione di Benyamin «Bibi» Netanyahu, ministro degli Esteri fino alle vicine elezioni, appaiono particolarmente determinati. Sullo sfondo la disperazione dei dodici funerali che si stanno svolgendo mentre Bibi parla, il silenzio di Arafat che non condanna l'attacco di Hebron, le manifestazioni di gioia nelle strade di Gaza. Netanyahu è stato anche attaccato nel suo nuovo ruolo (difficile non scorgere giochi elettorali) sulla dichiarazione uscita in fretta dal ministero in cui si è parlato di «strage», senza menzionare lo scontro armato in cui i soldati israeliani e il loro comandante Dror Weinberg si sono gettati al salvataggio della gente attaccata, civili e soldati, trovando la morte. Strage o scontro eroico? L'uno e l'altro, dice Netanyahu, non una semplice mattanza di cittadini inermi, come era sembrato all'inizio: i morti sono soldati, infermieri, guardie civili di Hebron, e all'ospedale quattro civili in condizioni molto gravi si dibattono fra la vita e la morte.
«Ma questo non fa nessuna differenza - spiega ancora l´ex premier -: la strage di fedeli era programmata; ed è in atto comunque, ovunque, ogni momento. Il mondo deve finalmente chiedersi che cosa farebbe ciascuno al nostro posto se si trovasse a vivere in una situazione in cui il terrorista distrugge centinaia di vite e famiglie. Dove non c'è rifugio vi attacca dovunque: il primo dovere di un Paese democratico è difendere i suoi cittadini. Così farebbe ognuno. Israele si aspetta che il mondo non si limiti a mandargli messaggi di condoglianze, ma lo comprenda a fondo, lo sostenga mentre tenta di difendersi dal terrore, stia dalla parte della lotta al terrore. Un agguato come quello di ieri contro gente che tornava dalla preghiera per l'entrata del sabato, poi difesa eroicamente da soldati di leva e ufficiali insieme accorsi in difesa e uccisi, dimostra come sia necessario che l'esercito sia più compreso».
Ma Hebron è sempre stata una città molto problematica, dove 450 coloni, fra cui molti estremisti, vivono difesi dall'esercito fra 130 mila palestinesi.
«L'attacco di venerdì è legato da un filo rosso a quello contro il kibbutz Metzer, tutto di sinistra e pacifista, in cui cinque innocenti sono stati trucidati, fra cui una madre con i suoi due piccoli: l'obiettivo è quello di uccidere quanti più ebrei possibile, non vi è in questo nessuna distinzione fra insediamenti e Israele (il kibbutz o il Dolphinariuum o tanti altri obiettivi non hanno nulla a che fare con la Cisgiordania). Se potessero ci ucciderebbero tutti in un colpo solo. E in ogni caso, per quel che riguarda Hebron, solo il 25 di ottobre avevamo smobilitato. La ricompensa che ne abbiamo ottenuta è la solita: quando ci ritiriamo, partono i terroristi».
L'attacco viene dalla Jihad islamica, un´organizzazione non molto radicata fra la popolazione.
«Questi attacchi vengono da tutte le organizzazioni: i tanzim di Fatah avevano attaccato a Metzer, la Jihad qui, altrove Hamas. Tutte le organizzazioni terroriste concorrono ad un'unica strategia».
Al Cairo però Hamas e Fatah discutono se fermare gli attacchi terroristici...
«Davvero? Ecco i risultati! La verità è che finché Arafat è il leader, egli impedirà anche a chi dei suoi lo desidererebbe di fermare la violenza».
Molti esperti sostengono che non è in grado di gestire più niente, e che Israele gliene ha tolto i mezzi.
«Arafat, e anche di questo il mondo deve prendere atto in maniera attiva, non è affatto passivo e inerte, è anzi impegnato nel cercare di bloccare ogni sforzo di pacificazione. A luglio aveva finanziato il terrorista di Metzer. E chi ancora, nel mondo, pensa che con l'intervento dell'Autonomia palestinese possiamo sconfiggere il terrorismo, sbaglia di grosso».
E chi può dunque sconfiggerlo?
«Localmente, solo Israele; ma c'è un regime internazionale, una guerra terroristica di ogni jihad, che per esempio vede, a spese dei siriani e dell'Iran, la testa della Jihad islamica a Damasco (Ramadan Shallah). Per sconfiggere questa rete occorre la cooperazione di tutti».
Per esempio?
«Per esempio bisogna premere la Siria perché smetta, ma gli esempio sono tanti, la rete è fitta. Non c'è terrorismo buono e terrorismo cattivo, il terrorismo è indivisibile, e solo una posizione internazionale netta lo mette in crisi». Invitiamo i lettori di informazionecorretta ad inviare il proprio plauso alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà un' e-mail già pronta per essere compilata e spedita.