Riprendiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 13/08/2021, a pag. 110, con il titolo "La verità, vi prego, sull'amore" l'intervista di Giuseppe Videtti.
Sharon Eyal
NEGLI OCCHI e nelle parole di Sharon Eyal, 50 anni, ballerina e coreografa israeliana che il 3 settembre inaugura con la compagnia L-E-V (sette spettacoli e 150 performance dalla sua fondazione) il Festival Torinodanza al Teatro Carignano, si leggono forza, determinazione, tormento, rigore, ambizione. E l'eredità che le ha lasciato la lunga e impegnativa militanza con la compagnia Batsheva - parole d'ordine disciplina e perfezione - fondata da Martha Graham e dalla Baronessa Batsheva de Rothschild nel 1964. Eyal parla senza sbavature, risposte taglienti, nessuna esitazione. Impossibile sentirla disarmata, neanche di fronte a un tema scivoloso e insondabile come l'amore, cui dedica l'ultimo capitolo di una tormentata trilogia - (dopo OCD Love e Love Chapter 2 è la volta di Chapter 3: The Brutal Journey of the Heart). Concepito con l'inseparabile Gai Behar, animatore della nightlife di Tel Aviv e compagno di vita, questa pièce, che prepotentemente s'avventura tra le (poche) delizie e i (molti) crimini del cuore, è già stata presentata ad Amsterdam. «In sala c'era un feeling straordinario» racconta Eyal. «Per me la prima è solo l'inizio, il momento in cui comincio a metabolizzare l'intera coreografia. La pandemia è stata una brusca interruzione, avevamo bisogno di guardare tutto con occhi nuovi, di provare sentimenti nuovi. The Brutal Journey è un'opera in divenire, voglio lavorarci ancora, svilupparlo. Ha il potere di trasformare lo spettatore, può farne una persona nuova». Come i due capitoli precedenti, The Brutal Journey of the Heart è un'esperienza totale e fulminante di cinquantacinque minuti; è chiaro che Eyal vuole superare se stessa in un territorio, quello dell'amore romantico, che può avere risvolti oscuri inquietanti - quando il malamore prende il sopravvento e il rapporto diventa un inferno. Quanto alla musica, che nelle coreografie di Eyal non è mai elemento secondario: «techno, classica, country, jazz, blues e hip hop: deve solo toccarmi, in quel momento è mia», sostiene l'artista, che per l'ingombrante corredo sonoro si affida come sempre a Ori Lichtik, dj supercreativo e vecchio collaboratore di Gai Behar.
Parlando della pandemia, come ha trascorso i lunghi giorni del lockdown? «L'ho sfruttato come un’opportunità, ho dedicato più tempo alla famiglia, ed è stato meraviglioso. Nei periodi di riapertura ho avuto modo di curare due sfilate di Dior, una a Parigi, l'altra in Puglia; esperienza nuova e stimolante. Inoltre, ho lavorato a una nuova coreografia in Germania: è stato un periodo di isolamento creativo, intimo e laborioso allo stesso tempo».
La sua collaborazione con Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica di Dior, continua con i costumi di questo spettacolo. Vi siete scoperte a vicenda. «Ci siamo incontrate a Parigi quattro anni fa. Siamo andate subito d'accordo perché ci siamo capite, abbiamo rispettato i nostri spazi. Siamo entrambe ispirate dalle fragilità umane, il nostro punto di forza».
L'amore, in tutte le sue forme, è la forza centrale della performance. È sublime e devastante. Cos'è per lei l'amore, quello con la A maiuscola? «L'amore è la vita, la vita è l'amore. Può essere fragilissimo e violentissimo, e questa opera non fa che combinare sentimenti contrastanti. C'è anche dell'ottimismo, ma è come quando ci sforziamo di vivere in allegria e per qualche motivo non ci riusciamo».
Insomma, una manifestazione di libertà e una dichiarazione di guerra. «Non esiste libertà senza consapevolezza. Quando ho istruito i ballerini sulle intenzioni di questo terzo capitolo, mi sono concentrata sull'idea del sogno: non si sogna mai insieme, è sempre uno dei due a sognare».
Ai ballerini è richiesto l'arduo compito di esprimere coi movimenti del corpo il momento oscuro e complesso in cui l'amore interferisce con le libertà individuali. «Questo è il momento più difficile del processo, cercare dentro di sé l'esaltazione e il limite del rapporto amoroso.Io considero il corpo umano come un dono, uno strumento per la creazione. Ognuno può scatenare l'immaginazione come vuole, ma quando si tratta di tradurla in movimento, quando è il linguaggio del corpo a parlare, tutto diventa più esplicito; la comunicazione più profonda, il mess aggio più chiaro. Sapevo di amare la danza, l'ho sempre saputo, ma con questa pièce l'ho amata all’inverosimile, perché ho scoperto che non ci sono limiti alla libertà. Può essere così sconfinata da far paura. È un dono, e allo stesso tempo il terreno minato sul quale si muovono gli innamorati».
Lei collabora attivamente con il suo compagno, Gai Behar, che ha una formazione decisamente diversa dalla sua: street-art che incontra l'accademia. Come si realizza la vostra intesa artistica? «The Brutal Journey ha bisogno di prospettive e idee che esulano dall'ambito strettamente accademico. Io chiamo Gai"il pulitore": è lui che ci richiama all'essenziale, che ci spoglia del superfluo. Mi fido dei suoi consigli, lavorare insieme è una benedizione, perché sai che puoi contare su qualcuno che è diverso da te, e quindi in grado di completare il grande quadro. L'ispirazione può arrivare da qualsiasi parte, dalla strada, dalla luna, da un odore. Deve essere un'esperienza toccante, coinvolgente, sconvolgente. Solo allora possiamo chiamarla... arte».
Come è scattata la scintilla tra voi? «L'ho guardato negli occhi, e ho capito. Gli occhi dicono tutto. Il resto è vita privata».
Chi sono stati i suoi idoli, da ballerina e successivamente da coreografa? «Balanchine e William Forsythe. Anche grazie a loro ho imparato a parlare alla gente, sfiorarne il cuore, creare qualcosa che la tocchi nel profondo. È un processo fisicamente e tecnicamente difficile: chiedo ai ballerini di sentirsi puri e onesti, di lasciare che le emozioni vengano a galla, come una scatola che, aprendo si, rivela cose dite che neanche tu conosci».
Ha un messaggio per gli spettatori? «Spalancate gli occhi, addrizzate le orecchie, aprite i cuori».
Dobbiamo aspettarci un capitolo quarto di The Brutal Journey? «Le aspettative causano delusioni. Sono aperta a tutte le possibilità, e vorrei che anche il pubblico lo fosse».
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