L’Italia che vince è quella dei diritti Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 08 agosto 2021 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «L’Italia che vince è quella dei diritti»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/08/2021, a pag. 1, con il titolo "L’Italia che vince è quella dei diritti", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
L’estate di straordinari successi sportivi, da Londra e Tokyo, ci dice che l’Italia è diventata una nazione multietnica. Non è solo una questione di percentuali o statistiche sulla presenza nei team azzurri di una quantità evidente di immigrati o figli di immigrati, è una questione di identità: atleti, allenatori, preparatori, tecnici, famiglie e tifosi compongono il mosaico di uno sport che, al maschile come al femminile, è lo specchio di una società cambiata sotto i nostri occhi. Molto più velocemente di quanto le istituzioni ed anche i media siano riusciti a comprendere e rappresentare nell’ultimo quarto di secolo. L’Italia fisica è terra di transito e insediamento di popoli ed etnie di ogni origine sin dall’antichità ma l’Italia politica in cui noi viviamo è venuta in contatto con le migrazioni di massa solo nel 1996, quando furono i primi barconi provenienti dall’Albania ad attraccare nei nostri porti. Da allora, il flusso di arrivi da Europa dell’Est, Asia ed Africa si è esteso e diversificato, ha incluso una moltitudine di individui e famiglie con il risultato di trasformarci: una nazione composta quasi esclusivamente di italiani per nascita si è arricchita grazie agli italiani per scelta. l continua a pagina 27 segue dalla prima pagina O vvero a seguito dell’arrivo di coloro che appartengono alla nostra società nazionale non perché nascono qui o sono figli di cittadini italiani ma perché decidono, consapevolmente, di diventarlo. Nascono altrove ma, per le ragioni più diverse, arrivano da noi in un momento qualsiasi della loro vita portando con sé storie, culture, lingue e tradizioni che non potrebbero essere più distanti. È un passaggio che ogni democrazia in Nordamerica ed Europa ha attraversato negli ultimi 150 anni - sommando successi e fallimenti - ed ora questa sfida riguarda noi. Si tratta della più grande delle opportunità perché avere una comunità nazionale che attira persone significa disporre di più risorse ed il fatto - come lo sport suggerisce - che la loro integrazione genera successi lascia intendere quali e quante potenzialità vi siano. Anche perché le medaglie olimpiche e la vittoria agli Europei sono il frutto soprattutto della seconda generazione: figli e figlie di migranti o più in generale di stranieri che hanno scelto di vivere, in alcune occasioni solamente per breve tempo, nella nostra Penisola. Poiché l’Italia multietnica è già una vibrante realtà, la delicata questione che abbiamo davanti è come portare il Paese legale a fare i conti con il Paese reale. Come trasformare l’incontro fra italiani per nascita e italiani per scelta in un volano di crescita collettiva - identitaria, culturale ed economica - destinata a premiare le nuove generazioni. È un terreno sul quale l’esperienza fatta da altre democrazie può certamente servire ma in ultima istanza l’Italia dovrà trovare una propria strada, basata su leggi e tradizioni che la definiscono. E nella Storia d’Italia vi sono esempi e precedenti che ci aiutano a comprendere il bivio di fronte al quale ci troviamo. Da una parte ci sono infatti gli esempi negativi ovvero ciò che di peggio abbiamo fatto e che rischia oggi di frenare la crescita multietnica del Paese: l’ostilità viscerale fra Nord e Sud che seguì l’Unità, il razzismo contro i meridionali, le leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, le lacerazioni ideologiche fra laici e cattolici nel Dopoguerra, l’intolleranza verso i migranti, l’odio sugli spalti degli stadi e il più recente risveglio dell’orgoglio etnico-regionale ci dicono come nel nostro dna c’è anche il pericoloso seme del rigetto del prossimo. Ma siamo anche la nazione che nasce dal Risorgimento trovando una matrice unitaria fra tante patrie italiane, legittimata dai plebisciti, che dopo la voragine del fascismo riesce a ritrovarsi attorno ad una Costituzione repubblicana capace di tenere assieme laici e cattolici, aprendo la strada alla ricostruzione che ci ha trasformato in una moderna democrazia industriale a dispetto di lacerazioni ideologiche, terrorismo interno e corruzione politica. Nel dna nazionale c’è dunque anche il seme della coesione, dell’intesa con il prossimo. Ecco perché se a prevalere fra noi sarà il seme dell’odio perderemo l’occasione dell’Italia multietnica e resteremo una provincia insulare, ai margini delle sfide globali, mentre se a imporsi sarà il seme della coesione, l’incontro fra italiani per nascita ed italiani per scelta promette di renderci competitivi su ogni fronte. Anche su quelli più imprevisti e inattesi. Come le vittorie sportive ottenute dimostrano.
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