Smantellare l'Iran, subito!
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Nelle ultime settimane si sono svolte manifestazioni di massa in tre province periferiche dell'Iran popolate da gruppi etnici non persiani. La più importante è la provincia di Ahwaz, abitata da arabi, situata sulle rive del Golfo Persico. Dimostrazioni di massa si sono svolte anche nelle regioni rispettivamente curda e azera, nel Nord del Paese. La crisi economica iraniana ha portato anche alla mancanza di investimenti nelle infrastrutture idriche. La regione persiana dell'Iran soffre da anni di una grave siccità. Per affrontare questo problema, il regime islamico ha deviato i flussi dalla provincia di Ahwaz alla regione persiana. Ciò ha provocato la morte per sete di migliaia di mucche, pecore e capre ad Ahwaz. Poiché quegli animali sono la fonte di molti dei loro mezzi di sussistenza, la gente di Ahwaz considera la deviazione dell'acqua un furto. Questo non era certo stato il primo oltraggio subito dal popolo di Ahwaz ; il problema dell'acqua è stata semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. I residenti di Ahwaz soffrono da anni per inquinamento tossico a causa delle emissioni di sostanze mortali dai pozzi di petrolio, di gas e dalle raffinerie situate nella zona.
Tutti i giacimenti di petrolio e di gas iraniani si trovano in quella provincia, così come i porti petroliferi, che sono i principali inquinanti ambientali. Le sostanze tossiche emesse dall'industria petrolifera e del gas penetrano nel terreno di Ahwaz e quindi contaminano la frutta e la verdura con cui si alimenta la gente del luogo. Le tossine penetrano nell'acqua potabile e avvelenano le acque del Golfo, avvelenando i pesci che vengono consumati dalla popolazione locale. A causa di questa esposizione a sostanze tossiche, una percentuale molto alta di bambini ad Ahwaz presenta deformità e gravi difetti alla nascita. Come se non bastasse, il regime ha installato la centrale nucleare di Bushehr proprio ad Ahwaz. La popolazione locale sostiene che la loro provincia sia stata scelta deliberatamente, in modo che se si verificasse un disastro ecologico a causa di una nube radioattiva, come avvenne a Cernobyl, sarebbe la minoranza araba, e non i persiani, ad essere colpita. Gli ahwazi hanno inscenato in passato manifestazioni contro il regime iraniano e la risposta è sempre stata dura: arresti ed esecuzioni su vasta scala, talora persino impiccagioni in cima a delle gru, lungo le strade davanti ai passanti. L'ultima ondata di manifestazioni, iniziata come protesta contro la carenza d'acqua e la sete, si è poi sviluppata in una imponente richiesta popolare di liberare l’Ahwaz dall'”occupazione iraniana.” Non sorprende che la risposta del regime sia stata dura.
Finora i morti sono 25, con circa 370 feriti e circa 3.400 detenuti. Questi numeri sarebbero stati probabilmente molto più alti se il regime non avesse temuto che un massacro di civili potesse aumentare la pressione sull'amministrazione Biden per mantenere le sanzioni sul regime iraniano ed evitare di tornare all'accordo nucleare. In risposta alla richiesta di indipendenza degli Ahwazi, il regime ha bloccato l’accesso a Internet nella provincia. Le persone della zona ora devono filmare quello che avviene ad Ahwaz e spostarsi altrove per far conoscere quelle immagini al mondo. Contemporaneamente alle manifestazioni ad Ahwaz, sono scoppiate manifestazioni a sostegno delle regioni curda e azera nel Nord dell'Iran, così come a Teheran, dove sono stati urlati slogan come “Morte al dittatore” e “Non per Gaza, non per il Libano, i soldi per gli iraniani”. È importante notare che, nonostante la diffusa opposizione al regime islamista tra gli iraniani di origine persiana, questi si oppongono alla richiesta di disimpegno dall'Iran da parte delle minoranze etniche. Infatti, quando ho sollevato negli incontri con gli esuli persiani-iraniani la possibilità per l'Iran di essere suddiviso in stati etnico/nazionali (persiani, arabi, baluci, curdi, turkmeni, ecc.) in modo simile a quanto accaduto in URSS, Jugoslavia e Cecoslovacchia, la loro risposta è stata sempre assolutamente negativa. Loro aspirano a togliere il potere agli ayatollah, alcuni parlano addirittura del ritorno del figlio dello Scià e del ripristino della monarchia, ma sostengono inequivocabilmente la continuazione dell'esistenza dell'Iran nella sua forma attuale, che perpetua il controllo persiano sulle numerose minoranze etniche del Paese. Tuttavia, è abbastanza credibile che l'Iran si disintegri in Stati etnici. Questa possibilità è in costante aumento a causa della crescita della domanda pubblica d’indipendenza tra le minoranze non persiane che costituiscono circa la metà della popolazione del Paese. Recentemente, è stata osservata una maggiore cooperazione tra varie organizzazioni di opposizione che avvertono all'orizzonte la fine del regime e persino la disintegrazione dello Stato. Entrambi questi obiettivi sono realizzabili.
La disintegrazione dell'Iran probabilmente non sarebbe pacifica. È probabile che sarebbe più simile al modello jugoslavo che a quello sovietico, se non altro per la riluttanza della maggioranza persiana a perdere petrolio, gas, acqua e altre risorse naturali che si trovano nei territori delle minoranze non persiane. Anche la dignità nazionale persiana gioca un ruolo importante nel controllo dei popoli non persiani. Eppure, il crollo del regime degli ayatollah e la disintegrazione dell'Iran sarebbero una benedizione, non solo per le decine di milioni di iraniani che saranno liberati dal giogo di uno dei regimi più oppressivi del mondo, ma soprattutto per le diverse etnie del Paese e le minoranze nazionali. Questa evoluzione porrebbe anche fine alla sovversione iraniana in atto in tutto il Medio Oriente e alle conseguenti guerre civili e all'instabilità interna che ha causato. Potrebbe eliminare l'ondata di terrorismo internazionale che l'Iran ha diffuso negli ultimi quattro decenni, nonché la falsificazione, il riciclaggio di denaro e il traffico di droga in cui è coinvolto. Il crollo del regime garantirebbe la tranquillità del Medio Oriente e la sicurezza della più ampia comunità internazionale. Quest’ultima deve quindi sostenere con forza la lotta contro il regime islamista delle minoranze etniche/nazionali in Iran (così come la lotta della maggioranza persiana contro questo regime) e i loro sforzi per smantellare lo Stato iraniano. Il Presidente Biden deve immediatamente abbandonare ogni intenzione di tornare all'accordo nucleare o di rimuovere le sanzioni dal regime, e investire invece risorse significative - palesi e segrete, civili e militari - nell'aiutare le minoranze iraniane a liberarsi dalla repressione persiana.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Studi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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