Come si combatte l'antisemitismo
Analisi di Yair Lapid, Ministro degli Esteri di Israele
(Traduzione di Giovanni Quer)
L’antisemitismo è razzismo?
Il mio intervento al Global Forum for Combating Antisemitism, la settimana scorsa a Gerusalemme, ha causato inconsueto scalpore, scatenatosi a mio avviso con un certo ritardo. I dati sull’odio antiebraico sono senza precedenti e destano orrore. Il 2019 è stato un anno con un picco di eventi di odio antiebraico; nel 2020 i numeri non sono diminuiti nonostante il Coronavirus (è stata inventata perfino una nuova accusa di omicidio rituale, secondo cui sarebbero gli ebrei a diffondere il Coronavirus), e già ora è chiaro che il 2021 oltrepasserà entrambi gli anni precedenti. In Polonia è stata approvata una legge che si avvicina al negazionismo della Shoah; nei Paesi islamici si diffondono usualmente accuse di omicidio rituale contro gli ebrei; nell’Europa centrale e dell’Est si attaccano ebrei per le strade, si vandalizzano cimiteri e di nuovo si infrangono le finestre delle sinagoghe. Nei circoli liberal negli USA e in Europa gli ebrei, il popolo più vessato della storia, sono considerati parte delle “forze dell’oppressione”. Negli ultimi anni abbiamo perso non solo il sostegno del mondo, ma anche il sostegno di molti degli ebrei del mondo. Secondo un sondaggio pubblicato la settimana scorsa, il 25% degli ebrei negli USA pensano che Israele sia “uno Stato di apartheid” e il 22% è convinto che “compia un genocidio dei palestinesi” (il sondaggio è stato commissionato dall’organizzazione “Jewish Electorate Institute”). Il Governo uscente, durante la cui amministrazione si è creata questa valanga, non è riuscito a definire una politica coerente per la lotta contro l’antisemitismo. Nell’ultimo decennio Israele ha formalmente fallito una volta dopo l’altra nel tentativo di far fronte alla nuova situazione con strumenti ormai vecchi. Il mondo non è più sconvolto del fatto che ci sia stata la Shoah, e vi è un’impressionante erosione del senso di colpa e di responsabilità globale verso lo sterminio dei sei milioni. Considero parte del mio dovere, se non forse la sua parte principale, di cercare le vie per gestire la crisi dell’antisemitismo moderno. Abbiamo bisogno di un dibattito approfondito sulla situazione dell’antisemitismo e sui modi per affrontarlo. Senza di questo non c’è hasbarah, non c’è una coerente narrativa israeliana e non c’è modo di portare il mondo dalla nostra parte. Come hanno dimostrato le risposte al mio intervento, avvicinarsi a questo argomento, pur con ogni cautela, porta a scoprire i nostri lati più dolenti e sensibili, compresa la memoria della Shoah. Ciò non giustifica in alcun modo l’argomentazione astrusa secondo cui “gli antisemiti useranno contro di noi queste parole”. Gli antisemiti non hanno bisogno di nessuna argomentazione per attaccare gli ebrei. Lo faranno in ogni caso, e non dobbiamo imporre a noi stessi alcuna censura in questo argomento così critico. Lo Stato di Israele ha bisogno di un cambiamento drastico e sostanziale nella lotta contro l’antisemitismo, e deve ammettere che negli ultimi anni ha subito su questo fronte una paurosa sconfitta. Il cambiamento di direzione non avverrà senza un dibattito aperto sulla questione. La prima domanda che dobbiamo rivolgerci è: “che cos’è l’antisemitismo?”. Può sorprendere, ma questa domanda non ha mai avuto una risposta semplice. L’antisemitismo è troppo antico e vasto per poterlo comprendere in un’unica definizione. Come si possono collegare l’odio anti-ebraico che ha portato al pogrom di Alessandria d’Egitto nel 38 e.v., e l’odio anti-ebraico che porta i sostenitori del BDS a manifestare per le strade di Madrid?
Dobbiamo moderare l’isterismo che si scatena con le critiche. Non tutti coloro che si oppongono alla politica di Israele nella Striscia di Gaza sono antisemiti.
Nell’assenza di un’altra definizione, io accetto la definizione poco pratica dell’organizzazione IHRA, secondo cui l’antisemitismo è “una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto.” Io sostengo anche la spiegazione della definizione secondo cui occuparsi di Israele in maniera non proporzionale o il tentativo di applicarvi standard che non sono applicati ad altri Stati è una forma di antisemitismo. Come ho detto, è poco pratico, ma mio nonno Béla Lempel, che un soldato nazista ha preso mentre era a casa per poi finire soffocato nelle camere a gas del campo di concentramento Mauthausen, avrebbe capito molto bene la definizione a ne avrebbe sottoscritto ogni parola. Ciononostante, per quanto attiene all’urgente dibattito sul modo di affrontare l’antisemitismo moderno, ho deciso di concentrarmi su una domanda più breve: l’antisemitismo è un fenomeno unico o è parte di un fenomeno più ampio di razzismo e odio verso l’altro? Due sono le risposte comunemente accettate: la risposta tradizionale a questa domanda è che l’antisemitismo sia un caso unico nella storia dell’umanità. La sua definizione come forma di razzismo disattende alla portata del fenomeno e alla successione storica della sua esistenza. Gli antisemiti non odiano gli ebrei allo stesso modo in cui gli Hutu hanno odiato e assassinato i Tutsi in Ruanda, e nemmeno come i nazisti hanno odiato e assassinato zingari o omosessuali (nel mio intervento ho dato adito a un malinteso, come se le motivazioni alla base di tutti questi omicidi siano per me eguali, e questa è l’opportunità per un chiarimento: è ovvio che non ogni forma di odio è simile ad altre; intendevo dire che c’è un fondamento razzista profondo in ogni attacco violento agli stranieri solo perché sono stranieri, e nessuno è titolare di un diritto originario al dolore).
Secondo questa visione, l’odio per gli ebrei non è solo un sentimento omicida, ma anche un’ideologia con profonde radici storiche. È vero che c’è un fondamento razzista alla radice dell'antisemitismo, ma non si tratta di razzismo universale che per caso si è instaurato tra i membri di un certo popolo. Si tratta di una forma unica di odio, che può avere un solo bersaglio possibile: gli ebrei. Secondo questa visione, la Shoah – il più orribile evento nella storia dei popoli – non è stata un’esplosione momentanea di odio organizzato, ma un’espressione inevitabile di un’ideologia organizzata secondo cui gli ebrei non hanno diritto di esistere al mondo. Lo sterminio sistematico è stato possibile perché è stato condotto contro ebrei. La Shoah non si sarebbe potuta verificare in questo modo e con questa portata contro qualsivoglia altro gruppo umano. Il fatto che la Shoah sia stata pianificata dimostra che può verificarsi nuovamente. Il tentativo di descriverla come un evento irripetibile è sbagliato e pericoloso. Se non saremo in grado di difenderci (con le nostre forze – non possiamo fidarci degli altri), il tentativo di sterminarci può abbattersi di nuovo su di noi. Anche oggigiorno i nuovi antisemiti non si scagliano contro Israele per via di quel che abbiamo fatto, ma solo perché Israele è il raggruppamento più ampio al mondo di ebrei.
Da parte opposta vi è la seconda definizione, secondo cui l’antisemitismo incarna la mostruosità del razzismo esistente al mondo. Non sarebbe fondamentalmente differente dalla mostruosità di altra forma di razzismo, ma solo nella forza della perseveranza storica e nella portata delle atrocità che ha causato. Invece di trincerarsi nella nostra unicità storica, dobbiamo impiegare tale unicità per coinvolgere chiunque si opponga alla cultura del sangue e della morte dei razzisti del mondo. Secondo questa visione, non solo l’antisemitismo è un fenomeno razzista, ma è da considerarsi la manifestazione più grande e assoluta di razzismo in tutta la storia dell’umanità. Il suo nucleo da sempre immutato è l’odio verso l’altro. Non è una visione del mondo che si esprime con violenza, al contrario, è la violenza che si trasforma in visione del mondo. I molti partecipanti all’industria nazista della morte, tra cui polacchi, lituani, ungheresi e croati, non avevano letto una parola della teoria nazista. Hanno agito in base al tetro odio dell’altro, non in base a un’organizzata visione del mondo. Come ha scritto lo storico Benzion Netanyahu: “L’istinto dell’odio si è semplicemente evoluto in dottrina”. Questa dottrina cambia spesso, poiché bisogna giustificare ogni volta di nuovo l’odio per gli ebrei. Non c’è accusa che non ci abbiano rivolto.
A cominciare dall’omicidio di Gesù fino alla molestia sessuale di donne cristiane; dal controllo dell’economia del mondo alla pulizia etnica dei palestinesi. Oggigiorno si usa distinguere tra “antisemitismo rosso” (della sinistra radicale), “antisemitismo bianco” (o tradizionale, della destra) e “antisemitismo verde” (islamico). Sono solo pretesti. Gli ebrei sono diversi dagli altri popoli – non si deve pretendere che non sia vero – ma la diversità non giustifica l’odio e di certo non giustifica il tentativo organizzato di genocidio di massa. Il razzismo non esprime il riconoscimento del fatto che le persone sono diverse tra loro, ma è l’argomentazione per cui tale diversità rende alcune persone inferiori o per cui si legittima la violenza contro di esse. In quanto ebrei, in quanto seconda, terza generazione dai sopravvissuti alla Shoah, in quanto israeliani, ci è proibito non prendere in considerazione che negli ultimi anni il mondo ha perso la pazienza di discutere della Shoah (fenomeno per cui si è coniato anche un termine nuovo: Shoah fatigue).
Questo fenomeno ci ha messo sulla difensiva. La paura che la parte unica e traumatica della nostra storia sia offuscata e trascurata ci ha portato a richiedere al mondo sempre più favori e condoni invece che aumentare il nostro impegno nella lotta contro il razzismo. Ogni forma di razzismo. Questa non è la via. Ciò che causa l’insofferenza è che la Shoah ha perso il proprio contesto. Se non è parte della lotta contro il razzismo, nulla si può fare a riguardo se non esser compartecipi al dolore. C’è un limite a quante volte e per quanti anni il mondo potrà esser compartecipe del nostro dolore. Siamo noi a dover cambiare l’approccio e fare della Shoah una lezione globale contro tutte le manifestazioni di razzismo. Se la memoria della Shoah diventerà il grande impulso alla battaglia contro il razzismo nel mondo, in questo modo non si eroderà la coscienza della tragedia ebraica; al contrario, sarà messa in rilievo e le si darà una valenza morale. Per questo motivo a mio avviso le due visioni non sono in contraddizione; anzi, si completano a vicenda: l’antisemitismo è di certo un fenomeno unico nella storia dell’umanità, ma può esistere solo in un mondo in cui il razzismo non è stato eliminato. L’antisemitismo non è solo razzismo, ma è anche razzismo. La sua esistenza al mondo è un pericolo per lo stesso mondo. Come ha scritto Elie Wiesel: “Chi odia un gruppo finisce per odiare tutti e di conseguenza anche sé stesso”. Il popolo ebraico è sopravvissuto alla Shoah e alla Diaspora non con un monito, ma con due: il primo è che dobbiamo sopravvivere a qualsiasi prezzo. Nessuno verrà a salvarci, nessuno combatterà le nostre battaglie. Dobbiamo vivere perché la vita è la risposta definitiva all’odio. Dobbiamo vivere con le nostre forze, in uno Stato indipendente con un esercito forte, che non teme di usare la forza per difendersi e non si giustifica. La nostra decisione è ferma: non saremo mai più vittime. Il secondo monito è che dobbiamo avere una morale, la nostra morale è sottoposta a giudizio più ogni altra in una situazione che morale non è – in tempo di guerra, in periodi di scontro. C’è una certa tensione tra queste due moniti, ma è salutare, giusta e dà significato alle nostre vite.
Lo Stato di Israele ha bisogno di un cambiamento drastico e sostanziale nella lotta contro l’antisemitismo, e deve ammettere che negli ultimi anni ha subito su questo fronte una paurosa sconfitta.
In troppi tra noi temono che la lotta contro il razzismo ci vincoli a un’etica restrittiva di tolleranza. A mio avviso non si tratta di una restrizione ma di un vantaggio. Se l’antisemitismo è razzismo, Israele deve esser l’avanguardia della lotta contro il razzismo. L’opposizione al razzismo dovrà esser parte della nostra politica in ogni settore, militare, governativo, civile. La lotta contro il razzismo dev’esser parte dei principi in base ai quali scegliamo i nostri amici nel mondo, del modo in cui gestiamo il conflitto israelo-palestinese, della maniera in cui trattiamo le minoranze che vivono tra di noi. Dobbiamo moderare l’isterismo che si scatena con le critiche. Non tutti coloro che si oppongono alla politica di Israele nella Striscia di Gaza sono antisemiti. Il chiaro vantaggio dell’unione di questi approcci sta nella capacità di creare nuovi partner. Se vogliamo che il mondo ritorni ad affrontare in maniera attiva l’odio anti-ebraico, e ancor più per quanto riguarda l’odio verso gli ebrei che vivono in Israele, dobbiamo uscire dall’isolamento. Dobbiamo ingaggiare il mondo occidentale dalla nostra parte; dobbiamo dare alla lotta contro l’antisemitismo un contesto contemporaneo. Non dissociare la memoria della Shoah dalla memoria di tutte le tragedie che ha causato il razzismo; al contrario, dobbiamo portare la memoria della Shoah al centro di questo dibattito. Non esser considerati come coloro che usano la Shoah per giustificare delle ingiustizie, ma come quanti ritengono che la Shoah sia una lezione morale da cui non abbiamo il diritto di affrancarci nemmeno per un istante. Solo un tale approccio ci permetterà di avvicinarci a tutti coloro di fronte ai quali ci siamo arresi negli ultimi anni: i giovani nelle università statunitensi, le istituzioni politiche nell’Europa occidentale, la stampa liberal, le organizzazioni internazionali.
Ci è vietato desistere; ci è vietato arrenderci. I fatti (per la maggior parte) sono dalla nostra. I nostri nemici, e in primis l’Iran, Hamas e Hezbollah, sono una banda di assassini che mira dichiaratamente a sterminare gli ebrei – e anche gli LGBT, i cristiani, i musulmani moderati. Odiano le donne; odiano la democrazia; avanzano il razzismo scientifico. I loro partner naturali sono i sostenitori della superiorità razziale dei bianchi e i neo-nazisti nel mondo intero. Invece che richiuderci nella nostra unicità storica dobbiamo usare questa stessa unicità per avvicinare chiunque si opponga alla cultura del sangue e della morte dei razzisti nel mondo. Dobbiamo dire a chiunque si definisca come oppositore del razzismo: non puoi esser un liberal se sei contro gli ebrei e contro Israele. Non puoi definirti un democratico, se ti schieri a fianco delle forze più oscure contro la democrazia. Se l’antisemitismo è razzismo, chi opera in maniera sistematica contro gli ebrei e lo Stato di Israele, è egli stesso un razzista.
Yair Lapid, Ministro degli Esteri di Israele – articolo originale in ebraico, pubblicato su Haaretz il 22 luglio 2021