Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/08/2021, a pag.III, con il titolo "La guerra che era segreta", l'analisi di Daniele Raineri; con il titolo "La nuova presidenza dell'Iran inizia con un processo in Svezia che riguarda anche Ebrahim Raisi", l'analisi di Cecilia Sala.
Ecco gli articoli:
Ebrahim Raisi
Daniele Raineri: "La guerra che era segreta"
Daniele Raineri
Il problema dell'attacco da parte dell'Iran contro la nave commerciale Mercer Street nello Stretto dell'Oman è tecnico e assieme anche politico. Come sappiamo, Israele e l'Iran sono impegnati dal maggio 2019 in una guerra discreta in mare fatta di attacchi reciproci a navi legate in modo anche debole ai due paesi. Un colpo da una parte, un colpo dall'altra, ogni poche settimane. Israele attacca una petroliera iraniana che trasporta greggio verso la Siria in violazione delle sanzioni internazionali, l'Iran attacca una nave commerciale che in qualche modo è legata a interessi israeliani - basta che un armatore sia cittadino israeliano e questo legittima l'azione - e così via, in un ciclo di rappresaglie che s'affianca come uno spettacolo minore alle altre storie più importanti di questo conflitto: i bombardamenti dei jet israeliani in Iraq e in Siria, i sabotaggi contro i siti atomici dell'Iran, le milizie iraniane che spadroneggiano in Iraq, Libano, Siria e Yemen, i finanziamenti da parte dell'Iran ai gruppi armati palestinesi nella Striscia di Gaza. Finora questa guerra navale di Israele e Iran tra il Mediterraneo orientale, il mar Rosso e il Golfo dell'Oman si era combattuta secondo una regola precisa: niente vittime a bordo. I due paesi hanno i mezzi militari per colare a picco una flotta di mercantili in pochi minuti e per bloccare il Golfo, ma quel che si è capito dalle circa venti operazioni delle quali si ha notizia è che preferiscono scambiarsi colpi che sembrano messaggi e che quasi non vanno a finire nei notiziari internazionali. Per questo, si diceva, la tecnica di guerra è anche politica: uomini rana dell'uno e dell'altro paese si avvicinano di soppiatto al cargo durante la navigazione, piazzano mine al di sopra della linea di galleggiamento e le fanno detonare. E' una versione friendly di quel che fece la X Mas alle navi inglesi nel porto di Alessandria D'Egitto nel dicembre 1941. Il risultato è che le navi non affondano ma non possono Hajizadeh, il generale dei droni, colma il vuoto lasciato da Suleimani e potrebbe entrare nel governo di Raisi proseguire il viaggio - chi affronta il mare con quattro fori sulle fiancate? - e tornano indietro ai porti di origine. Venerdì però l'Iran ha attaccato la nave commerciale Mercer Street con un drone suicida, che è andato a schiantarsi con la sua carica di esplosivo sul ponte della nave, dove ha fatto un buco nel metallo e ha ucciso due marinai - un inglese e un rumeno. Forma e dimensioni del danno fanno pensare a un drone modello Shahed 136, che può volare per circa 900 chilometri con un carico di esplosivo ed è stato usato nell'attacco contro le raffinerie saudite nel settembre 2019 (un altro episodio del conflitto che si tende a dimenticare, ma bloccò circa metà della produzione saudita per mesi). La tecnica, si diceva, è anche politica: quando gli iraniani usano un drone suicida invece che gli uomini rana, accettano la possibilità di uccidere qualcuno. Si tratta di una decisione deliberata e calcolata che risale a quattro mesi fa.
Ad aprile sono successe cose importanti: una esplosione sotterranea ha semidistrutto il sito iraniano di Natanz, dove le centrifughe arricchiscono l'uranio che potrebbe diventare combustibile per un'arma atomica; le milizie iraniane hanno attaccato con droni esplosivi la base della Cia dentro l'aeroporto internazionale di Erbil, nel nord dell'Iraq; gli israeliani hanno attaccato una nave spia iraniana, la Saviz - sempre ferma nel Mar Rosso per osservare il passaggio delle altre navi - con mine piazzate sotto la linea di galleggiamento e che quindi avrebbero potuto affondarla. Il conflitto ha preso un'altra forma, è salito di livello, è diventato una scommessa: nessuno è in grado di prevedere cosa succederà, eppure si va avanti e si accetta l'azzardo. Vale la pena ricordare che il presidente prima di Joe Biden, Donald Trump, all'inizio del 2020 dette l'ordine di uccidere il generale Qassem Suleimani perché meno di un mese prima un cittadino americano era stato ucciso da un razzo delle milizie sparato contro una base americana in Iraq. C'era stata una catena di eventi molto rapida. Gli Stati Uniti avevano risposto con un bombardamento aereo contro le basi delle milizie, le milizie avevano assediato l'ambasciata americana a Baghdad - fu il momento nel quale l'escalation cominciò a occupare i notiziari - e pochi giorni dopo un drone americano assieme a una squadra di cecchini uccise il generale iraniano sulla strada dell'aeroporto della capitale irachena (questo conflitto si combatte perlopiù su territorio altrui). Si cominciò a parlare di guerra imminente. Anche adesso si ricomincia a parlare di escalation, perché ci si si aspetta una rappresaglia militare di Israele e poi una contro rappresaglia da parte di Teheran. Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele e Romania sostengono di avere condiviso dati d'intelligence incontrovertibili che dimostrano la responsabilità dell'Iran nell'attacco di venerdì contro la nave Mercer Street. Ieri il quotidiano israeliano Haaretz, che di solito è la voce della moderazione, ha scritto che l'attacco arriva per ordine del generale Amir Ali Hajizadeh, che comanda da dieci anni l'aeronautica dei Guardiani della rivoluzione e che era molto vicino a Qassem Suleimani. "Uccidere Trump non sarebbe una vendetta sufficiente per la morte di Suleimani", disse e non è che uno dei suoi molti pronunciamenti enfatici. Hajizadeh potrebbe diventare ministro della Difesa nel governo di Ebrahim Raisi. Secondo le fonti di Haaretz, il generale iraniano avrebbe ricevuto "carta bianca" per compiere attacchi con i droni suicidi. La possibilità di fare vittime, di finire nelle news, di alzare di una tacca il confronto era contemplata. E' possibile che gli iraniani non volessero proprio uccidere un inglese e un rumeno, così laterali rispetto alla guerra - ma è quello che può accadere quando attacchi con una bomba e per motivi simbolici una nave giapponese, battente bandiera liberiana (come nella citazione del film Borotalco di Carlo Verdone, sì) gestita da una compagnia con base a Londra e che ha tra i suoi proprietari un magnate israeliano. Da Teheran smentiscono, dicono di non sapere nulla di quello che è accaduto e che le accuse sono un complotto internazionale. Il segretario di stato americano Antony Blinken ha detto però in un comunicato che l'Iran ha usato un drone suicida e che adesso ci sarà "una risposta appropriata", il primo ministro inglese Boris Johnson ha detto che "l'Iran deve affrontare le conseguenze di quello che fa" e il primo ministro israeliano Naftali Bennett domenica, dopo avere annunciato di avere le prove dell'attacco, ha concluso così la sua dichiarazione: "In ogni caso, sappiamo come far arrivare all'Iran il nostro messaggio", che è una minaccia ovvia. Fu Hajizadeh a rivendicare nel giugno 2019 l'abbattimento dell'aereo spia Global Hawk americano in volo ad altissima quota sullo Stretto (un velivolo con apertura alare di quaranta metri che portava a bordo un concentrato prezioso di tecnologia militare, adesso la stiamo decifrando tutta, si vantò il generale iraniano). Viene da pensare che l'aggressività di questi mesi potrebbe essere un biglietto di presentazione internazionale per il generale Hajizadeh, volto duro dei pasdaran che colma il vuoto lasciato da Suleimani più del generale Ismail Qaani, che ha preso il posto di Suleimani senza il suo carisma. Il generale dei droni messo in tandem a fianco di Ebrahim Raisi, l'ex giudice dei massacri contro gli oppositori che giovedì diventa presidente dell'Iran, a gestire la prossima fase dei negoziati nucleari e della vita del paese.
Cecilia Sala: "La nuova presidenza dell'Iran inizia con un processo in Svezia che riguarda anche Ebrahim Raisi"
Cecilia Sala
Roma. E' il 9 novembre 2019, il cittadino iraniano Hamid Noury è in volo verso Stoccolma per un viaggio di piacere, ma appena atterra all'aeroporto di Arlanda e mette piede sul suolo svedese viene arrestato. Quando invece dei suoi parenti si è trovato ad attenderlo la polizia, la mente deve essergli andata ai tempi in cui era il braccio destro del procuratore nella prigione di Gohardasht a Karaj, quaranta chilometri ad est della capitale Teheran. Era l'estate del 1988, quella di un massacro. Migliaia di oppositori politici vengono prelevati dalle loro celle e portati di fronte alla "commissione della morte" per essere poi giustiziati senza processo e senza possibilità di difendersi. Tra i quattro giudici che ordinano quelle esecuzioni c'è anche un ventottenne ambizioso che, nonostante la giovane età, è già diventato vice procuratore a Teheran, si chiama Ebrahim Raisi e dopodomani si insedierà come nuovo presidente della Repubblica islamica d'Iran. E' da quel 9 novembre di due anni fa che Raisi teme ciò che il funzionario Noury può aver raccontato alle autorità svedesi, le testimonianze dei sopravvissuti e i documenti che queste possono aver raccolto durante le indagini preliminari, che le fosse comuni in località segrete siano già state localizzate e che il tutto si trasformi presto in un processo internazionale seguito dalla stampa straniera proprio quando inizia il suo primo mandato da presidente. Un mandato che ha come priorità —a prescindere dalla retorica e dalla propaganda dei conservatori — quella di chiudere il prima possibile un nuovo accordo sul nucleare con l'Amministrazione Biden, per veder abolita almeno una parte delle sanzioni. In Svezia, il 13 novembre 2019 la Corte competente aveva deciso la custodia cautelare in carcere per Noury, il mese successivo era stata rinnovata, lo stesso era accaduto il mese dopo e si era andati avanti così per più di un anno e mezzo. Fino al 27 luglio, giorno in cui le procuratrici Kristina Lindhoff Carleson e Martina Winslow annunciano che "il procedimento internazionale contro Hamid Noury inizierà il prossimo 10 agosto e continuerà fino all'aprile del 2022". Che saranno ascoltati "vittime, testimoni e periti da tutto il mondo". E' un processo senza precedenti perché è la prima volta che viene invocato il principio della giurisdizione universale contro un cittadino iraniano. I pasdaran e le spie della Repubblica islamica che si trovano in carcere in Francia o in Germania sono stati condannati per i complotti orditi e gli omicidi compiuti in Europa, mai per i crimini perpetrati all'interno dei confini iraniani. E' un processo senza precedenti anche perché riguarda eventi su cui non è mai stata fatta luce in sedi ufficiali e dal quale ci si aspetta di conoscere i dettagli sul ruolo svolto dal prossimo presidente dell'Iran. I nomi, i volti e le storie dei condannati, i retroscena sulla catena di comando e le modalità adottate per le esecuzioni. Perché a molte famiglie, come quella del prigioniero ventottenne Bijan Bazargan, sono stati consegnati certificati di morte in cui lo spazio dopo "causa del decesso" era lasciato in bianco e in cui veniva omesso anche il luogo di sepoltura. Un passo indietro. Gli anni ottanta sono gli anni della guerra tra la Repubblica islamica che si è appena costituita e l'Iraq di Saddam Hussein, è allora che l'ayatollah Khomeini ordina la condanna a morte dei prigionieri che facevano parte dei Mojahedin del Popolo, il gruppo di opposizione che lavorava per rovesciare la teocrazia e trasformarla in una Repubblica laica, all'epoca composto da marxisti e nazionalisti di sinistra che si erano dati alla lotta armata e alla complicità con il nemico iracheno. Esiste un momento nel corso di queste esecuzioni di massa, più precisamente tra il 27 agosto e il 6 settembre 1988, in cui la leadership iraniana decide che anche tutti gli altri prigionieri che simpatizzavano con le idee della sinistra, o erano sospettati di farlo, dovevano essere giudicati "apostati" e per questo condannati a morte. Per le idee e senza valutarne le azioni, senza indagini e processi per scoprire se facessero o meno parte di quello che gli iraniani (finché non hanno abbandonato la lotta armata, anche gli europei e gli americani) consideravano un gruppo terroristico. Secondo l'accusa depositata qualche giorno fa dalle pm svedesi, è stato proprio l'imputato Hamid Noury ad aver ucciso intenzionalmente, in concorso con altri, molti di quei prigionieri. Ed è proprio perché queste esecuzioni non sono in alcun modo collegate a un conflitto armato che la pm Kristina Lindhoff ha concluso: "Considerando gli obblighi internazionali e il principio della giurisdizione universale, questi tipi di reati sono considerati così gravi che, indipendentemente da chi li ha commessi e da dove siano stati commessi, un tribunale nazionale come il nostro non solo può, ma deve procedere". Nessun tribunale nazionale, in nessun paese del mondo, lo aveva mai fatto prima. E' una prima volta e un precedente pericoloso per l'élite iraniana che ne teme gli esiti e non ha ancora la più pallida idea di come affrontare questa situazione.
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