La storia di Ikram Nazih, detenuta in Marocco Cronaca di Luigi Manconi
Testata: La Stampa Data: 01 agosto 2021 Pagina: 13 Autore: Luigi Manconi Titolo: «Ikram l'italiana in carcere a Marrakech per la sua 'leggerezza occidentale'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/08/2021, a pag. 13, con il titolo "Ikram l'italiana in carcere a Marrakech per la sua 'leggerezza occidentale' ", l'analisi di Luigi Manconi.
Luigi Manconi
Ikram Nazih
Ikram Nazih è nata nel 1998 a Vimercate, in Lombardia, da genitori provenienti dal Marocco, e ha la doppia cittadinanza: italiana e marocchina. Ha sempre vissuto in Brianza, fino a quando si è trasferita a Marsiglia per frequentare la locale università. Il 20 giugno scorso, giunta in Marocco per incontrare i parenti, è stata arrestata all'aeroporto di Casablanca. Il motivo: nel 2019 un'associazione religiosa di quel Paese aveva denunciato un post condiviso da Ikram su Facebook, con una vignetta su un testo del Corano: la sura «dell'Abbondanza» deformata in sura «del whisky». Per altro, Ikram aveva cancellato il post quasi immediatamente. Nonostante ciò, il Tribunale di Marrakech, il 28 giugno, l'ha condannata per «offesa pubblica dell'islam» a tre anni di carcere e all'equivalente di 4.800 euro di multa. Attualmente Ikram si trova nel carcere di quella città, in attesa del giudizio di appello. In precedenza si era diffuso un certo ottimismo dovuto alla convinzione che la giovane potesse beneficiare della grazia da parte dire Mohammed VI in occasione della Festa del Sacrificio del 20 luglio.I113 maggio scorso, per esempio, nel giorno della fine del Ramadan, il Re ha accordato la grazia a 810 detenuti, tra i quali 12 accusati di terrorismo. Nella circostanza del 20 luglio, altre centinaia di persone hanno potuto usufruire dell'atto di clemenza, ma non Ikram Nazih. E ora? Dal punto di vista diplomatico la vicenda è assai ingarbugliata, dal momento che la Convenzione dell'Aja del 1930 prevede che, nell'eventualità di doppia cittadinanza, uno Stato (nel caso l'Italia) non possa attivare la protezione diplomatica contro l'altro Stato (il Marocco, cioè). Si deve procedere, pertanto, per via negoziale. C'è da augurarsi che al silenzio politico-istituzionale (con la sola eccezione di una interrogazione del deputato della Lega Massimiliano Capitanio) corrisponda una intensa attività sul piano delle relazioni tra i due Paesi; e che la Farnesina possa avvalersi dell'interesse del Marocco a preservare quell'immagine di «Islam moderato», che costituisce la principale risorsa geopolitica del regime. Ma ciò che sorprende è il disinteresse dell'opinione pubblica e di gran parte dei media: una nostra connazionale è detenuta in un Paese straniero, di cui pure ha la cittadinanza, condannata per un reato di opinione che, in Italia, non è nemmeno concepibile. La questione ha uno spessore, direi, filosofico particolarmente intenso. Ikram incarna in maniera straziante la contraddizione profonda di una giovane donna cresciuta in un Paese occidentale e in un sistema democratico. Ovvero, il conflitto tra ciò che quella giovane donna è e vuole, e quanto la tradizione religiosa e culturale da cui proviene pretende di far tuttora valere. E, infatti, l'innocuo gioco di parole del post rivela la «leggerezza occidentale» dell'atteggiamento - che ci piaccia o no - di gran parte delle giovani generazioni nei confronti del fattore religioso: proprio o altrui, cristiano o musulmano, convintamente accettato o pigramente assecondato. D'altra parte la detenzione di Ikram pone un grande problema alle comunità musulmane in Italia e costituisce un altro episodio di quella «lotta di classe» a base generazionale che attraversa quelle stesse comunità. Tra i più giovani, partecipi dei processi di inclusione nel sistema di cittadinanza, e i più anziani, tuttora condizionati da codici tradizionali e, talvolta, arcaici. Per questo è condivisibile la critica del magistrato milanese Guido Salvini (Il Foglio del 23 luglio) verso Davide Piccardo, intelligente (e ancora giovane) italiano convertito all'islam che, nel chiedere la grazia per Ikram, ha definito la blasfemia «una pena grave nei confronti di Dio e dei credenti», spiegabile con il fatto che la ragazza «non ha ricevuto nessuna formazione ed educazione islamica»; ma si augura che Ikram «faccia tawba»: cioè, si penta. Non è una gaffe, ma un gravissimo errore che dimostra come le linee di frattura all'interno della popolazione musulmana in Italia siano ancora più complesse. Rispetto a esse, la società italiana e le sue istituzioni devono essere attente e rispettose del travagliato processo di integrazione che in particolare le seconde generazioni stanno vivendo: e che, per la gran parte, si risolve positivamente. Ma, al tempo stesso, è necessaria la massima chiarezza: lo Stato di diritto non consente deroghe su un tema cruciale come quello della piena indipendenza tra professione di fede e sfera pubblico-statuale. La blasfemia e «lo scherzare con i santi» possono essere disapprovati per rispetto del sentimento altrui, per una ragione di opportunità o per una questione di gusto, ma guai a giudicarli come reati e a sanzionarli penalmente. Non siamo mica una teocrazia, qui.
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