‘Gli ebrei se ne vanno sempre via’: come combattere gli stereotipi nello sport
Analisi di Ben Cohen
Steven Berghuis
Nei Paesi Bassi un calciatore professionista non ebreo è diventato l'ultimo esempio di come l'antisemitismo più virulento possa essere rivolto a qualcuno che non è ebreo, ma che venga percepito come tale.
La settimana scorsa Steven Berghuis aveva annunciato che si sarebbe trasferito da una delle grandi squadre, il Feyenoord di Rotterdam, a un'altra, l'Ajax di Amsterdam, l’attuale campione d’Olanda. La rivalità tra l’Ajax e il Feyenoord è una delle più aspre del calcio europeo, con tafferugli che coinvolgono entrambi i gruppi di tifosi, una caratteristica di routine della sfida tra di loro nota come De Klassieker ( La Classica). Ogni giocatore che passi da una all'altra squadra, dovrebbe aspettarsi una reazione furibonda da parte dei tifosi del club a cui ha appena detto addio.
Così è stato con il 29enne Berghuis. Tranne che c'era un altro livello nell'odio diretto contro di lui dai fan del Feyenoord, che era ancora più velenoso. Il giorno in cui si è diffusa la notizia del trasferimento di Berghuis all'Ajax, è apparso un murale che scherniva il giocatore su un muro vicino allo stadio del Feyenoord a Rotterdam. Una fusione dell'arte dei graffiti con l'iconografia nazista più irriducibile: il murale rappresentava Berghuis con una kippah in testa e un'uniforme a strisce da campo di concentramento contrassegnata da una “stella” gialla, mentre il suo viso era dotato di un naso “ebreo” gigantesco. Accanto a questa suggestiva raffigurazione c'era il messaggio “Joden Lopen Altijd Weg”, “Gli ebrei se ne vanno sempre via.” Perché questo antisemitismo così virulento e putrido? La risposta è che nel folklore del calcio olandese, l'Ajax è visto come un club di origine “ebraica”, un'immagine che spinge alcuni dei suoi fan a sventolare bandiere israeliane e a chiamarsi "Super ebrei", mentre alcuni fan avversari cantano “Hamas, Hamas, ebrei al gas” contro di loro durante le partite.
È vero che prima della Seconda Guerra Mondiale la maggior parte degli ebrei olandesi viveva ad Amsterdam e che il vecchio stadio della squadra si trovava in un quartiere ebraico nella parte orientale della città, ma ciononostante, l'idea che l'Ajax come squadra di calcio sia istituzionalmente o etnicamente “ebraica” è assurda. E come dimostra il murale di Berghuis, questo non è esattamente uno di quegli innocui miti urbani. Comunque sia, le questioni dell'antisemitismo e del razzismo nel calcio europeo, sebbene rappresentino dei seri problemi, non sono qui il mio obiettivo. Quello che in particolare mi ha colpito del murale di Berghuis non è stata la rappresentazione figurativa, per quanto fosse esecrabile, ma il messaggio: “Gli ebrei se ne vanno sempre via.” Il messaggio viene percepito come una constatazione, piuttosto che come un’ingiunzione del tipo “Uccidi gli ebrei.” Di per sé, non sostiene la discriminazione o la violenza di massa contro gli ebrei, ma è comunque profondamente inquietante, perché ricicla una delle tante caricature dell'“ebreo” nell'immaginario dell'antisemita (l’ebreo errante). Secondo questa caricatura, gli ebrei (più precisamente, gli uomini ebrei) “scappano sempre” perché sono deboli, codardi, chini sui libri, ingobbiti, occhialuti, terribilmente magri o grottescamente grassi, felicemente incatenati alle loro scrivanie ad accumulare denaro invece di amare la vita in grandi spazi aperti.
Le donne non figurano qui per la semplice ragione che quando questi stereotipi furono prodotti nel diciannovesimo secolo, le donne non partecipavano alle gare sportive. Ecco perché le vignette storiche e altre rappresentazioni dell'ebreo “debole”, in contrasto con il virile biondo ariano, ci dicono molto sull'importanza della mascolinità nella propaganda antisemita, nella rappresentazione degli ebrei. Mentre il mondo si sintonizza sulle Olimpiadi di Tokyo, osservando un’enorme varietà di sport in cui competono atleti di tutte le nazionalità, è evidente che queste idee che collegano la razza all'abilità sportiva dovrebbero finire nella spazzatura della storia. Ma a suo tempo, queste idee rappresentavano una seria sfida ai diritti degli ebrei di partecipare pienamente nel più ampio contesto della loro società, non ultime quelle che impedivano agli ebrei di iscriversi a circoli sportivi. Non è stato per un concetto che nella sua formulazione, allora, poteva apparire alquanto discutibile, per non dire maschilista, che gli ebrei avrebbero potuto sopportare la punizione dell'establishment atletico dei non ebrei senza reagire. Ma al Secondo Congresso Sionista del 1898, il vice di Theodor Herzl, Max Nordau, lanciò un contrattacco pronunciando un discorso dedicato al “giudaismo muscolare.” “Riprendiamoci le nostre tradizioni più antiche”, così Nordau esortava i delegati riuniti nella città svizzera di Basilea. “Diventiamo ancora una volta uomini dal torace vigoroso, aitanti e con la vista acuta.” Nordau, un ardente sionista che aveva abbandonato l'osservanza della religione ebraica fin dall’adolescenza, proseguì affermando: “Per nessun altro popolo la ginnastica svolgerà uno scopo più educativo che per noi ebrei. Ci raddrizzerà nel corpo e nel carattere. I nostri nuovi ebrei muscolosi non hanno ancora recuperato l'eroismo dei nostri antenati, che entravano, numerosi e con grande entusiasmo, nelle arene sportive per prendere parte alla competizione e per misurarsi con gli atleti greci altamente preparati.”
Alcuni critici del sionismo hanno interpretato questo discorso come una prova che Nordau stesse spacciando stereotipi antisemiti. In realtà non lo era. Piuttosto, stava dando la sua interpretazione dell'impatto della discriminazione sui corpi degli ebrei, così come sulla loro anima: “Nella stretta strada ebraica le nostre povere membra dimenticarono ben presto i loro movimenti spensierati. Nella penombra delle case senza sole, i nostri occhi cominciarono a chiudersi timidamente. La paura di una persecuzione costante ha trasformato le nostre voci potenti in sussurri spaventati.”
In termini pratici, migliaia di ebrei risposero alla chiamata di Nordau, istituendo associazioni di atletica da Manchester a Costantinopoli e creando competizioni sportive per atleti ebrei. Guardando le foto dell'epoca, popolate principalmente da uomini scolpiti e senza sorriso in pose serie che sembrano dichiarare: "Noi siamo gli ebrei muscolosi!", non si può fare a meno di pensare che l'esplosione di questa particolare caricatura antisemita sia stata veramente liberatoria e soddisfacente agli inizi. In parte grazie a questa tradizione, le giovani generazioni di ebrei di oggi possono praticare sport senza preoccuparsi di questi antichi miti e avere come modelli una serie di ebrei ginnasti, nuotatori, giocatori di calcio e basket, judoka e altri ancora. Israele, nel frattempo, trova un invidiabile equilibrio tra le attività cerebrali tradizionalmente associate all'ebraismo e la vita sul campo sportivo. È vero, Israele ha ottenuto più risultati in alcuni sport rispetto ad altri – il suo risultato nel calcio internazionale è, purtroppo, uno dei noti fallimenti – ma è un lavoro in fieri che sta facendo progressi. Qualunque cosa dica quel sordido murale di Rotterdam, gli ebrei stanno correndo verso l'azione, non stanno allontanandosi da essa.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate