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La Repubblica Rassegna Stampa
29.07.2021 Il futuro della Tunisia
Commento di Giampaolo Cadalanu

Testata: La Repubblica
Data: 29 luglio 2021
Pagina: 12
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «La sfida di Saied un professore di diritto per il futuro di Tunisi»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 29/07/2021, a pag.12, con il titolo "La sfida di Saied un professore di diritto per il futuro di Tunisi", l'analisi di Giampaolo Cadalanu.

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Giampaolo Cadalanu

Tunisia, sit-in del partito islamico contro il
Proteste in Tunisia

Un docente di diritto Costituzionale in pensione non è un generale dei carristi cresciuto nel mito delle Forze Armate. Se il secondo può anche diventare un golpista, dicono gli analisti tunisini, il primo non lo sarà mai. Insomma, Kais Saied non è Abdel Fatah Al Sisi, come la Tunisia non è l’Egitto. I sostenitori del presidente ne sono certi: il nome del nuovo premier arriverà presto, come chiede la comunità internazionale, il Parlamento riprenderà i lavori appena possibile e la resa dei conti con il partito islamico Ennahda e con i fiancheggiatori sarà gestita senza abusi o deviazioni dalla strada della democrazia. Le prime indiscrezioni sui nomi dei candidati premier, sulla stampa tunisina, cominciano a circolare: si parla di Taoufik Charfeddine, fedelissimo del presidente ed ex ministro degli Interni, Nizar Yaîche, ex titolare delle Finanze, anch’egli vicino alla presidenza, Marouane Abassi, governatore della Banca Centrale, e Imed Hazgui, in passato responsabile della Difesa. Nel frattempo lo scontro del professore con gli islamici continua ad essere duro: «Saied aveva più volte lanciato moniti e avvertimenti, ma non era stato preso sul serio», dice Ayan Allani, analista politico e docente di Storia contemporanea alla università Manouba. Forse gli uomini dell’Islam politico hanno sottovalutato il docente, misurando la sua figura di tradizionalista, un po’ rigida e formale, sull’esperienza universitaria, invece che sulla capacità di decisione politica.

The many faces of Kais Saied | | AW
Kais Saied

Del possibile ricorso all’articolo 80 si parlava da tempo, tanto che il sito Middle East Eye aveva diffuso un documento segretissimo della segreteria presidenziale già nel maggio scorso, in cui si parlava di misure ancora più forti di quelle adottate. Al momento un percorso scelto per verificare le responsabilità della disastrosa situazione politica, economica e sanitaria della Tunisia è quello giudiziario: la Procura generale ha confermato che già prima delle misure presidenziali - il congelamento del Parlamento e la destituzione del premier Hichem Mechichi - era partita un’indagine sui finanziamenti esteri illegali per i partiti di governo. Per ora i dettagli delle accuse non sono divulgati, ma tutti sanno di chi si parla. Qatar e Turchia sono da sempre i grandi protettori dei Fratelli musulmani, e dunque di Ennahda, ma vista la situazione stanno già prendendo le distanze. Secondo la stampa tunisina, il leader del partito islamico Rachid Ghannouchi ha di recente cercato sostegno a Doha, ma non è stato nemmeno ricevuto dall’emiro Tamin Al Thani. E anche le dichiarazioni che arrivano da Ankara, dopo una prima condanna del “golpe” da parte del partito Akp, sono prudenti: il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu conferma «il sostegno verso tutto ciò che è nell’interesse del popolo tunisino». Ieri poi il presidente ha rimosso a forza di decreti una ventina di altissimi burocrati di governo: al centro delle misure c’è lo scandalo dei dossier giudiziari spariti, da quelli sui sospetti terroristi ai casi di corruzione, agli omicidi dei deputati di sinistra Choukri Belaid e Mohamed Brahmi nel 2013. I fascicoli sono stati ritrovati, e i militanti filo- Saied sono convinti che fossero nascosti a casa di esponenti di Ennahdha. Più ancora che nelle aule di tribunale, il presidente Saied sa che il futuro della democrazia tunisina si gioca sul terreno della repressione del dissenso e sulla libertà dell’informazione: in questo senso la chiusura forzata della sede tunisina di Al Jazeera ha suscitato forte preoccupazione. Fonti di stampa argomentano sulla necessità estrema di una scelta così radicale: secondo conversazioni intercettate, la tv del Qatar sarebbe stata sul punto di avviare un collegamento in diretta con il premier destituito, che in sostanza – dicono i sostenitori di Saied – avrebbe voluto incitare i sostenitori di Ennahda alla rivolta, con pericolo reale di avviare uno scontro duro, dalle evoluzioni incontrollabili.

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