Israele e Africa: riunione tardiva
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
La rivista Jeune Afrique ha riportato con molta sobrietà la decisione dell'Unione africana di concedere lo status di osservatore a Israele. Una decisione che questo Paese, che intrattiene relazioni con 46 Paesi africani membri dell'Unione, attendeva da anni, ma che era stata bloccata dall'antagonismo dei Paesi musulmani. Tale misura è stata presa nonostante la viva opposizione dell’Algeria - un judoka algerino ha appena rinunciato al suo sogno olimpico pur di non dover affrontare un avversario israeliano. Naturalmente Hamas e il Jihad islamico palestinese manifestano la loro indignazione: come possono i Paesi africani che hanno sofferto per secoli di razzismo e occupazione, accogliere al loro interno questa entità sionista che minaccia la sicurezza e la stabilità dell'Africa? Hanno la memoria corta a Gaza e altrove nel mondo arabo, dove non è menzionato nei libri di scuola il ruolo dominante dei trafficanti arabi nella tratta degli schiavi.
Si ignora anche l'aiuto fornito dal giovane Stato di Israele ai suoi vicini africani appena vent'anni dopo la sua rinascita. Creato nel 1963 dall’allora Ministro degli Esteri, Golda Meir, il MACHAV, dipartimento di assistenza tecnica del ministro di questo ministero, non contento di creare centri di formazione per tirocinanti africani in Israele, ha inviato centinaia di esperti nel continente africano per fornire le loro conoscenze nel campo dell'agricoltura o dell'allevamento. Arrivarono con moglie e figli. Per la maggior parte provenivano da un kibbutz o da un moshav e intendevano ritornarvi. Alcuni erano partiti spinti da un ideale, con lo scopo di andare ad aiutare gli altri; altri per spirito di avventura. Giunti con mogli e bambini, lontani da città, scuole e persino da ospedali, vivevano lì con le loro famiglie, spesso senza acqua corrente. Dei generatori fornivano loro l’elettricità per poche ore al giorno e usavano dei frigoriferi a petrolio, il cui odore impregnava la casa. Senza alcun tipo di telefono, erano costretti a recarsi nella città più vicina per ricevere la posta e fare scorta di cibo e medicine. Lavoravano nella fattoria o nei campi, accanto ai contadini che erano venuti a formare. Oggi, quella che si potrebbe quasi chiamare un’epopea, è completamente dimenticata. È vero che si è interrotta troppo presto. Durante la guerra dello Yom Kippur scatenata nel 1973 dai Paesi arabi vicini a Israele, le nazioni africane furono sedotte dai leader arabi che facevano loro balenare la speranza di forniture di petrolio a basso costo. Uno dopo l’altro, quarantadue di loro hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Israele e hanno cacciato via non solo i diplomatici israeliani, ma anche gli esperti di MACHAV e le loro famiglie. Con la partenza degli specialisti israeliani, i progetti su cui avevano tanto lavorato furono abbandonati. Israele aveva scritto una pagina gloriosa nelle sue relazioni con l’Africa. Il danno della rottura fu percepito ancora più profondamente. Quanto alle promesse arabe, sono rimaste senza futuro. Dopo gli accordi di Oslo del 1993, i Paesi africani si sono nuovamente rivolti a Israele. Ma questa è un'altra storia…
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".