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La Repubblica Rassegna Stampa
26.07.2021 Monaco 1972, parla la vedova di uno degli atleti israeliani assassinati
Intervista di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 26 luglio 2021
Pagina: 14
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «'Mezzo secolo di lotta in nome di mio marito per ricordare Monaco 72'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/07/2021, a pag. 14, l'intervista di Sharon Nizza dal titolo 'Mezzo secolo di lotta in nome di mio marito per ricordare Monaco 72'.

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Sharon Nizza

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Ilana Romano

Le Olimpiadi di Tokyo si sono aperte per gli israeliani nel segno della vittoria, titolava Haaretz dopo la cerimonia venerdì. Poche ore dopo sarebbe arrivato il primo, inaspettato bronzo in Taekwondo femminile, ma la vittoria celebrata era innanzitutto quella del minuto di silenzio per cui Ilana Romano e Ankie Spitzer hanno lottato per 49 anni. Romano, padre nato in provincia di Pistoia, e Spitzer, olandese arrivata in Israele per amore, si sono conosciute all'aeroporto Ben Gurion quel 6 settembre 1972, mentre attendevano i feretri dei mariti, due degli undici atleti israeliani uccisi alle Olimpiadi di Monaco da un commando dell'organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero. «Ci siamo sentite dire più volte: "I morti si piangono nei cimiteri, non alle Olimpiadi". Ma io e Ankie, abbiamo girato il mondo, da un'Olimpiade all'altra, a nostre spese, per incontrare chiunque fosse disposto. È stato così umiliante constatare come la politica possa calpestare i valori sportivi. Ma noi non ci siamo arrese». Ilana ci parla da Tokyo, dove è arrivata con Ankie, come per tutte le ultime 12 Olimpiadi. «Il minuto di silenzio è arrivato come un sogno inaspettato. Avevo 26 anni quando promisi alle nostre tre figlie che nessuno si sarebbe dimenticato chi erano loro padre e i suoi compagni. Ancora non ci credo, temevo che avrei lasciato questo fardello alle mie figlie».

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Le vittime di Monaco 1972

Quando è iniziata la vostra battaglia? «Nel 1976 siamo andate alle Olimpiadi di Montreal, per noi era scontato che ci sarebbe stata una commemorazione. Invece nulla. Il Cio si è sempre arreso all'opposizione dei Paesi arabi. L'apice della battaglia è stato alle Olimpiadi di Londra nel 2012. È umiliante constatare come la politica calpesti i valori sportivi quarantennale dal massacro. Allora diversi parlamenti nel mondo, tra cui quello italiano, hanno osservato un minuto di silenzio in ricordo delle vittime. Ma abbiamo continuato la nostra battaglia perché il riconoscimento avvenisse sul suolo olimpico».

Sapevate che a Tokyo sarebbe stato diverso? «Abbiamo incontrato Thomas Bach appena subentrato a Rogge alla direzione del Cio e ci ha fatto capire che voleva mettere da parte le assurde logiche politiche. Lui è uno sportivo, era a Monaco nel 72 come atleta. A Rio ha promosso per la prima volta una commemorazione all'interno del Villaggio Olimpico, un primo passo. L'abbiamo incontrato di nuovo a Losanna l'anno scorso, insistendo nuovamente sul minuto di silenzio. Ha detto che ci avrebbe pensato e poi non abbiamo più saputo nulla. Nonostante i timori per il Covid, abbiamo deciso di venire a Tokyo per la consueta commemorazione che organizziamo con la delegazione israeliana. Poi ci è arrivato un invito alla cerimonia inaugurale. Abbiamo pensato che fosse qualcosa di particolare, considerata l'esclusività dei Giochi quest'anno, ma non avevamo dettagli. Come inizia la cerimonia, Ankie mi dice "Ho la sensazione che non accadrà nulla neanche stavolta". Improvvisamente, una stretta allo stomaco: si apre la cerimonia e vengono ricordati i nostri cari».

Nel contesto del minuto di silenzio per le vittime del Covid, e con un richiamo piuttosto generico. «Non ho ancora rivisto il video. L'abbiamo vissuto dal vivo, strozzate dalle lacrime, senza preavviso. Abbiamo sentito che venivano ricordate le vittime israeliane di Monaco e come noi l'hanno sentito miliardi di persone al mondo e questo per noi è quello che conta, per non dimenticare, perché non si ripeta».

Pensa che gli Accordi di Abramo abbiano avuto un ruolo nell'ammorbidire le posizioni? «Non lo so. Penso Bach abbia preso la giusta decisione che andava presa 49 anni fa e non per politica: sono stati uccisi sulla terra olimpica, erano degli sportivi, per questo era dovere del Comitato onorarli. Trovo così sbagliato mischiare sport e politica. Ma continua a succedere: ancora il judoka algerino non ha voluto gareggiare con l'israeliano. E ti dico di più: come esco dalla cerimonia, chi mi trovo davanti? Jibril Rajoub (il presidente del comitato olimpico palestinese, ndr). Da sempre è uno dei più ferventi oppositori alla cerimonia, ma immagino che come gli altri abbia rispettato il minuto di silenzio».

Avete parlato? «No. Anche se siamo nello stesso hotel e facciamo colazione uno accanto all'altra».

II massacro di Settembre Nero In tutti questi anni, non avete mai avuto interazioni con sportivi arabi? «Ad Atlanta, nel 1996, era la prima volta della delegazione palestinese. Abbiamo portato con noi 14 figli delle vittime. Gli orfani degli atleti di Monaco hanno plaudito come tutti l'ingresso degli atleti palestinesi. Poi abbiamo fatto la nostra consueta commemorazione con la comunità ebraica e il capo della delegazione palestinese è venuto a dare un bacio sulla fronte a mia figlia. La prima e ultima volta in cui hanno partecipato alla cerimonia».

E ora, vi riposate? «Ora ringraziamo di essere arrivati a questo momento. E auspichiamo che d'ora in poi rientri nel protocollo delle cerimonie inaugurali».

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