Un cuore da campione
Roberto Riccardi
Giuntina euro 15
“Un uomo sfuggito a un programma di sterminio, che ha reso la sua vita un progetto d’amore. Il neurologo che, inventando le Paralimpiadi, ha costruito una ragione per chi rischiava di perderla. Si chiamava Ludwig Guttmann e aveva un cuore da campione”.
E’ una storia di speranza e rinascita che tocca il coraggio e la paura, il bene e il male, lo sport come riscatto, l’inclusione e il rispetto per l’Altro, quella che racconta Roberto Riccardi, Comandante dei carabinieri, appassionato d’arte, giornalista e scrittore, nel suo ultimo libro “Un cuore da campione” in libreria per i tipi di Giuntina. Con uno stile narrativo elegante che unisce empatia e forza evocativa, Riccardi ricostruisce la vicenda umana e professionale di Ludwig Guttmann, un ebreo sfuggito alle persecuzioni naziste che è stato un pioniere nel campo della neurologia e dello sport, oltre che primo inventore delle Paralimpiadi. E’ con l’avvento del nazismo che la sua identità ebraica diventa un impedimento per la professione di medico che, malgrado l’ostracismo di alcuni colleghi, continua a svolgere con dedizione. Confinato inizialmente nell’Ospedale israelitico di Breslavia perché le nuove leggi gli impediscono di curare gli ariani, è con la Notte dei cristalli del novembre 1938 in cui assiste a pestaggi e inaudite violenze contro gli ebrei che Guttmann decide di emigrare nel Regno Unito con la moglie e i figli.
Nel 1944, grazie all’aiuto della Società per la Protezione della Scienza e dell’Apprendimento che sostiene gli ebrei scampati dal Terzo Reich, Guttmann, un neurologo molto stimato per le sue doti professionali e umane, riceve l’incarico di dirigere la clinica di Stoke Mandeville nel Berkshire, dove si dedica, con un approccio innovativo, alla cura delle lesioni spinali. I suoi primi assistiti sono i giovani piloti della RAF che hanno combattuto nei cieli la Battaglia d’Inghilterra e molti soldati feriti durante lo Sbarco in Normandia. Il metodo di Guttmann è rivoluzionario: incapace di vedere questi ragazzi languire nei letti d’ospedale, senza possibilità di recupero, riduce progressivamente i sedativi e dispone che i pazienti vengano sollevati e girati più volte per evitare le infezioni che contribuiscono a provocarne la morte. In più “si intrattiene con loro, ha la pazienza di ascoltarli, si sforza di comprenderli intimamente… li mette seduti sui letti e questo produce sofferenza: ma Guttmann non si lascia intimorire e li costringe a giocare lanciando una palla”. Ecco la grande intuizione di questo medico: capire che lo sport può essere la chiave per spingerli a riprendere in mano la loro vita, ritrovando in se stessi una nuova motivazione. Procedendo con un percorso che rende il paziente protagonista e non più relegato a una modalità di vita passiva, Guttmann indice nel 1948 la prima edizione dei “Giochi di Stoke Mandeville” (negli stessi giorni in cui a Londra si svolgono le Olimpiadi) che vede col tempo l’adesione di nuove nazioni e il conferimento a Melbourne nel 1956, in occasione delle Olimpiadi gareggiate in Australia, la prestigiosa coppa Fearnley “per l’eccezionale risultato nella promozione degli ideali olimpici”.
Il passaggio dai Giochi di Stoke Mandeville alle Olimpiadi di Roma del 1960 è frutto di sacrifici, tanto lavoro e della collaborazione fra Guttmann e il dottor Antonio Maglio, primario del Centro paraplegici dell’Inail di Ostia, impegnato nella cura dei mielolesi. Fra questi due medici rivoluzionari nasce una profonda amicizia che renderà il sogno di Guttmann una realtà: per la prima volta nella storia dei giochi olimpici partecipano 400 atleti disabili provenienti da 23 Nazioni, in una città con strutture architettoniche non adeguate ma che diventa protagonista di un evento straordinario. Lo “spirito di Stoke Mandeville” sarà presente anche ai prossimi giochi di Tokyo che si apriranno il 23 agosto con la partecipazione, fra gli altri, di Beatrice Vio di cui l’autore riporta una emozionante intervista a conclusione del libro. Bebe, una giovane donna che nonostante la disabilità seguita a una grave malattia, non ha perso la grinta, è diventata una campionessa di scherma, ha condotto un programma televisivo e nell’iniziativa di quel medico visionario, il cui nome in tedesco significa “uomo buono”, ha trovato una ragione per lottare e una meravigliosa spinta verso la vita.
Leggere i libri di Roberto Riccardi – basti ricordare fra gli altri “Sono stato un numero. Alberto Sed racconta” (Giuntina, 2009), vincitore di premi prestigiosi, “La farfalla impazzita” (Giuntina, 2013), “La foto sulla spiaggia” (Giuntina, 2012) – è sempre un’occasione imperdibile per calarsi nella Storia e conoscere vicende umane che il trascorrere del tempo allontana dalla percezione collettiva o per “ascoltare” la voce di uomini e donne che con l’esempio di una vita dedicata agli altri hanno lasciato una traccia indelebile. Oltre a farci incontrare una figura di fama internazionale ancora poco conosciuta, Riccardi ha ripercorso eventi che hanno segnato nel male e nel bene la storia del Novecento con incursioni nella letteratura, nel cinema e nella musica che hanno arricchito ulteriormente il quadro storico e culturale di quell’epoca. Leggere “Un cuore da campione” è un omaggio a un uomo che non ha cercato la gloria, bensì la fatica, non ha perseguito un profitto personale, ma il bene di persone che la sorte aveva colpito ma anche a tutte le donne e uomini “che hanno sconfitto i propri disagi perseguendo la logica meravigliosa della vita”.
Giorgia Greco