Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/07/2021, a pag. 14, con il titolo "Bancarotta Libano", l'analisi di Vincenzo Nigro.
Vincenzo Nigro
La vignetta di Dry Bones: il Libano sta subendo una delle crisi finanziarie peggiori dalla metà dell'Ottocento... molti libanesi non riescono più ad acquistare alimenti e le medicine sono finite... Nel frattempo, il Libano sta per rifiutare le nuove offerte di aiuto da parte di Israele... come ha sempre fatto in passato.
La notte Beirut sembra un grande presepe. Le luci fioche, i negozietti illuminati anche con le lampade a petrolio, i venditori di pannocchie che sollevano i frutti caldi dai pentoloni fumanti. Perché ci sono clienti che mangiano il mais con questo caldo. Poche auto, pochi passanti, la vita si è come paralizzata. Ma non è un presepe, non è una scena da idillio, e questa non è più neppure Beirut. La notte del Libano riporta il paese alle caverne. Beirut è all’oscuro perché l’illuminazione pubblica è stata tagliata. Anche i grattacieli sono quasi tutti al buio, salvo quelli illuminati da padroni milionari, che hanno ancora quintali di carburante per i generatori elettrici. Nei negozi, nei condomini funzionano soltanto quelli, i generatori privati, e anch’essi stanno diventando un problema, perché il prezzo del gasolio è schizzato alle stelle. Far girare i generatori privati per 24 ore li manda in tilt, spesso prendono fuoco. L’elettricità manca perché manca il gasolio. Anche agli impianti di Stato. La settimana scorsa Electricite du Liban ha bloccato le centrali di Deir Ammar e Zahrani perché era senza gasolio: il 40% della corrente del Libano è scomparso. C’erano due petroliere cariche in porto, ma gli armatori non scaricavano il carburante perché lo Stato libanese non pagava. Nessun credito. Il gasolio manca perché mancano i dollari. E la valuta manca perché è crollata l’economia, perché il Libano è fallito. Manca la fiducia del mondo nel Libano. Nessuno presta soldi al Libano, che quindi rimane al buio. Selim Sakr gestisce una stazione Total a Vardan, nel centro della città: da giorni ci sono file chilometriche per il carburante. In tutto il paese. Parla per pochi minuti, ha appena aperto: «È pericolosissimo quando apriamo, perché la gente è pronta a scontrarsi, a fare a coltellate per superare la fila».
Ci si ammazza per la benzina, letteralmente. «Non sappiamo quando ci consegnano il carburante: se conosco il Libano prima o poi le mafie assalteranno le cisterne quando sono in rotta per i distributori, e non so quante scorte potrà garantire ancora l’esercito». Le code durano ore, le famiglie si danno il cambio, hanno organizzato chat in whatsapp per segnalare i distributori che aprono. La benzina è sovvenzionata: la Banca centrale offre dollari agli importatori a 4000 lire libanesi per acquistare carburante all’estero, mentre il cambio per strada ormai è a 20.000. Ma una volta scaricata in Libano, metà della benzina e del gasolio viene contrabbandata nella Siria in guerra. In Libano si vende a 4 dollari per 20 litri, mentre in Siria sale a 15 dollari. Il gasolio in Libano vale 3 dollari per 20 litri, e 13 dollari al contrabbando in Siria. In altre parole, la Banca centrale spende gli ultimi dollari che ha per sovvenzionare il carburante che va in Siria. Le mafie della benzina sono organizzate, al confine ci sono 140 passaggi clandestini che vengono attraversati dalle autobotti, e la polizia chiude un occhio in cambio di bustarelle o di taniche di gasolio. Dicevamo che le cisterne devono essere scortate dall’esercito, perché spesso vengono assaltate. Ma l’esercito stesso non ha carburante, non ha soldi per acquistarlo. Non ci sono soldi per gli stipendi, per il rancio dei soldati. L’esercito, guidato dal generale cristiano Joseph Aoun (non è parente del presidente), è composto da un mix di sciiti, sunniti e cristiani ed è sull’orlo della crisi. L’unica istituzione rispettata in Libano si sta disfacendo. Nel Sud i "caschi blu" Onu di Unifil stanno discretamente rilevando in molti casi i compiti dell’Armee alla "linea blu" di confine con Israele. Molti paesi come Usa, Francia e Italia con discrezione offrono carburante, cibo, medicine, sostegno non solo ai soldati libanesi, ma anche alle loro famiglie. Torniamo al carburante che manca. Un effetto diretto c’è sulle farmacie: innanzitutto perché anche i farmacisti non riescono a pagare il conto dei generatori elettrici in moto 24 ore al giorno. Devono risparmiare, quindi spengono i frigoriferi per le medicine più importanti. La mancanza di dollari blocca gli acquisti all’estero. E su questo si inserisce un’altra speculazione: in attesa che i prezzi schizzino ancora verso l’alto, i rivenditori stanno bloccando le scorte in magazzino.
«Mancano farmaci essenziali il Plavix per il cuore, il Coversyl per la pressione, mancano antibiotici, famaci per l’asma, farmaci salvavita», dice il dottor Hassan Hamdan alla farmacia "Clemenceau". Per 2 giorni anche le farmacie hanno scioperato. Entrano clienti senza un dollaro, chiedono farmaci per parenti in gravi condizioni, i farmacisti non li hanno o non possono venderli senza essere pagati. I clienti picchiano i farmacisti. Non basta. Stanno entrando in tilt gli ospedali, le cliniche private che sono il 70 per cento della sanità in Libano. Il direttore di un ospedale cristiano racconta che è costretto a comprare elettricità al mercato nero. Ma che non si fida della tenuta dei generatori. E allora che cosa fa? «Inizio a rifiutare pazienti in terapia intensiva, non posso rischiare che mi muoiano senza corrente elettrica ». La settimana scorsa l’esercito a Tiro ha controllato a stento la folla che voleva devastare una clinica: un ragazzino era morto in terapia intensiva perché non c’era elettricità. E allora anche altri ospedali rifiutano pazienti in pericolo. Non basta: «Si stanno licenziando decine di medici e di infermieri », aggiunge il direttore. È passato un anno dall’esplosione del porto di Beirut. La politica libanese non ha dato nessun segnale di reazione, e allora chi può parte, per un altro paese qualsiasi del mondo arabo. «Non c’è bisogno di andare nei paesi del Golfo, ormai vanno ovunque, anche nel povero Iraq, che ha una crisi sanitaria incredibile», dice un altro medico, il dottor Ayub. Un anno fa la maledetta esplosione al porto sembrava potesse dare una scossa alla classe politica rapace che da 40 anni dissangua il Libano. Non è stato così, ed è sempre peggio. I 200 morti, i 6000 feriti, i miliardi di danni alla città sono stati digeriti dai dirigenti-serpenti di questo paese come fossero un topolino indigesto. Giovedì scorso il premier incaricato, il sunnita Saad Hariri, ha rinunciato. Era al lavoro da ottobre per fare un governo, ma il presidente cristiano Michel Aoun voleva scegliergli gli 8 ministri cristiani. Hariri ha rifiutato. Il paese affonda, i politici litigano ancora. In Libano ormai è notte anche di giorno.
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