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Matteo Renzi 'Controcorrente'
Recensione di Diego Gabutti
Matteo Renzi, Controcorrente, Piemme 2021, pp. 272, 17,90 euro, eBook 9,99 euro. Non è Napoleone, a dispetto dell’idea che sembra avere di se stesso, e certamente non è un santo, benché da fanciullo sia stato «nei boy scout» (cosa che ricorda spesso, un po’ come Berlusconi, da una parola in su, evocava le zie suore). Come tutti i politici, anche Matteo Renzi è un incorreggibile esibizionista, e ha i suoi difetti. Anche lui, sempre come tutti, avrà violato, come capita, qualche comandamento. Escluso l’ottavo, però: non ha dato falsa testimonianza. Non di recente, almeno, e certamente non nel suo nuovo libro, Controcorrente, nel quale l’ex castigamatti della sinistra chic racconta con poche infiorettature la veridica e sventurata storia della presente legislatura. Leggetelo, e dategli torto, se potete. Non c’è dubbio, infatti, che i due governi Conte, il governo populista prima e quello progressista poi, siano stati – proprio come spiega Renzi ai suoi lettori – i peggiori governi della storia repubblicana (e che Giuseppi Conte, in particolare, sia stato il premier più fasullo, pompato e involontariamente comico mai salito ai piani alti d’una nazione civile). Non c’è dubbio, inoltre, che il Fatto quotidiano, come spiega sempre Renzi, sia il punto più basso mai raggiunto dal giornalismo non soltanto italiano (e pensare che in Italia abbiamo avuto Lotta continua di Adriano Sofri, con i suoi urrà all’omicidio Calabresi). Ma è una bella gara, a pensarci, anche quella tra il gossip politico-giudiziario di Marco Travaglio – con la sua finesse diffamatoria e il suo gusto da asilo Mariuccia per l’umorismo scatologico e i nomi storpiati – e il talk show très chic di Lilli Gruber, che sta al giornalismo dabbene come un bullo delle elementari ai bambini introversi.
Matteo Renzi Renzi ha ragione anche quando dice che niente, in materia di sospetto malaffare, è paragonabile al gran ballo delle «mascherine, dei banchi a rotelle, del “gel” e dei ventilatori cinesi malfunzionanti ma garantiti da Massimo D’Alema» che l’antipolitica e l’antigiornalismo – sempre così solleciti quando si tratta d’accusare qualcuno senza prove e nell’assoluta assenza d’ogni traccia di reato – si sono ben guardati (ci sarà un percome) dal denunciare. Fidatevi dell’ex rottamatore anche quando racconta come la «sondaggite» (cioè la speciale distopia in cui «il leader non ha idee ma ratifica le idee altrui») abbia preso il posto della politica. Grazie ai peggiori governi della nostra storia, non siamo neanche più un’«espressione geografica» ma una location nel ciberspazio: la repubblica iperuranica e pentastellare dei sondaggi, delle conferenze stampa e dei videoclip. A trasformare il paese in una democrazia istantanea – la democrazia dei «like», degl’influencer e dei rilevamenti – è stato il portavoce e principale consigliori di Conte 1 e 2: l’ing. Rocco Casalino, nato al mondo con Il Grande Fratello nel lontano 2000, e che da allora nutre evidenti ambizioni da Big Brother. Di lui, Renzi scrive, fingendosi tonto: «Io alla fine, lo confesso, non ho ancora capito se a Palazzo Chigi governava Conte o Casalino», quando naturalmente sa benissimo che a governare la repubblica dei «mi piace» non è mai stato Conte ma sempre e soltanto Casalino. Al pari dell’orbo, re nel paese dei ciechi, il Portavoce può infatti vantare almeno quel suo remoto stage nella prima edizione del reality show originario, ciò che ne fa un re nel paese degl’incompetenti. C’è stato sempre Casalino, impettito e giulivo mentre sfila davanti alle telecamere, dietro la guerra ai nemici (immaginari) del popolo che Conte 1 e 2 hanno combattuto quotidianamente, twittando a destra e a manca, per due interminabili anni.
È stata una guerra che il paese ha per lo più approvato, o che magari ha disapprovato, ma sempre con indifferenza, tra uno sbadiglio e l’altro (non c’è da stupirsene: è infatti lo stesso paese che, sempre per accidia, ha stravotato nel 2019 la Lega antinegher e che un anno prima aveva miracolato il moVimento grillista). Casalino, come il governo che ne esprimeva le competenze, eccelleva nel segnare a dito i nemici inesistenti dell’elettore in pena. Vivi male? Pochi soldi? Lavoro non garantito? Niente lavoro? Pessime scuole? Mascherine ingombranti? Delusione amorosa? Tranquillo, che ti spiego io di chi è la colpa, postava Casalino nei social. Se le cose ti girano male, caro il mio follower, è colpa degl’immigrati quando Salvini è ministro dell’interno ed è colpa dei «razzisti» (che «affogano» gl’immigrati) quando al Viminale c’è Luciana Lamorgese; è colpa dei giornalisti onesti, dei poteri forti, dei magistrati che accusano di stupro i galantuomini soltanto perché posano per il cellulare mentre sbandierano «il pisello» sul viso d’una ragazza ubriaca; è colpa dei politici corrotti; è culpa maxima culpa di Matteo Renzi, di suo cognato, dei suoi genitori; è colpa del PD quando Conte 1 governa con Salvini ed è colpa di Salvini quando Conte 2 governa col PD. Morale: gli «altri» solo colpe, la Casalino Gang soltanto meriti (l’abolizione della povertà, della prescrizione, di mezzo parlamento, dei «vitalizi», della ragion pratica e della ragion pura). È Casalino a trasformare Conte in un leader e «Fofo Dj», al secolo Alfonso Bonafede, in una colonna del diritto. Per due anni, mentre la pandemia fa più di centomila morti e l’economia sfiora la paralisi, la Casalino Gang si mette la Costituzione sotto le scarpe, delinea recovery plan deliranti, monopolizza (bel mistero) i servizi segreti, tifa per i gilet jaunes e per Maduro, in dirittura finale persino per i pasdaràn trumpiani che muovono all’assalto del Campidoglio. Direte: la Casalino Gang ha un progetto politico. Può piacere o non piacere, ma mirare al rovesciamento del sistema è un’ambizione legittima. Tipo Hitler, o Mussolini. Ma non è così, nemmeno questo. Sarebbe così se Mussolini o Hitler fossero stati degl’influencer, del genere Fedez e signora, e se invece di lanciare la mode degli Olocausti avessero sponsorizzato l’acconciatura a palla di biliardo o i baffetti da clown.
Non è un santo, non è un JFK redivivo, come un po’ gli piace credere, e non è neppure un campione di scacchi, benché s’attribuisca (è il titolo del suo penultimo libro) la «mossa del cavallo» con la quale ha rovesciato il governo gialloverde, di cui Matteo Salvini era a tutti gli effetti la superstar, per sostituirlo col governo giallorosso. Non di meno la mossa c’è stata, e così Renzi ci ha risparmiato una legislatura sovranista in tempi di pandemia. Poi c’è stato lo scacco matto, che ha sdoganato i fondi europei: fuori Conte, dentro Draghi. Che dire, se non bene, bravo, sette più? Renzi non è simpatico, d’accordo, e gli piace autocelebrarsi, ma gli elettori dovrebbero convenire che, modi guasconi a parte, è uno dei pochi politici con la testa sul collo ancora in circolazione. E per convenirne, forse ne converranno. Ma proprio per questo – perché sono italiani, ergo masochisti – al prossimo turno non voteranno lui ma qualche testa calda, come al solito.
Diego Gabutti |
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