Il Libano e la piovra di Beirut
Analisi di Michelle Mazel
A destra: i terroristi di Hezbollah, sostenuti e armati dall'Iran
(traduzione di Yehudit Weisz)
La lenta agonia del Libano non lascia nessuno indifferente. Il Paese, che un tempo era chiamato la Svizzera del Medio Oriente, mentre la sua capitale veniva paragonata a Parigi per la sontuosità dei suoi intrattenimenti, oggi non c'è più. I ricchi arabi hanno abbandonato le sue spiagge ed i suoi casinò. Lo Stato libanese è sommerso dai debiti; i libanesi stanno vivendo un incubo: penuria di valuta estera, di elettricità, acqua, carburante, medicinali; gli ospedali non sono più in grado di curare i malati e il Covid imperversa. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 50% e metà della popolazione è scesa al di sotto della soglia di povertà. Ogni giorno decine di commentatori attenti e di famosi economisti forniscono analisi e consigli. Potrebbero non avere familiarità con il vecchio adagio che dice "i consulenti non sono pagatori", ma conoscono davvero la realtà? Per alcuni, la corruzione diffusa e il nepotismo sono la causa di tutti i mali; altri danno la colpa a un sistema politico sclerotizzato e ad una distribuzione del potere tra le varie comunità basata sul censimento del 1932, quando il Paese aveva meno di un milione di abitanti. Oggi ne ha dieci volte tanto. I Paesi fratelli del Medio Oriente, che per anni hanno tenuto a galla il Libano con generose iniezioni di dollari, si sono stancati di vedere come vengono sprecati tutti quei soldi. Le maggiori istituzioni internazionali - Fondo monetario, Banca mondiale - sono pronte ad aiutare ma ponendo delle condizioni. Anche gli Stati Uniti e l'Unione Europea. Tutti chiedono la formazione di un governo composto da tecnocrati integerrimi, che possano finalmente avviare le grandi riforme che ritengono essenziali per la ripresa del Paese.
Nello strano mondo in cui viviamo e dove regna il politicamente corretto, tutti fingono di non vedere la grande piovra di Beirut i cui tentacoli stanno gradualmente strangolando il Libano. Ha un nome, questa piovra. Un nome che tutti conoscono ma che si ostinano a non pronunciare. Si chiama Hezbollah: “Partito di Dio” emanato dagli ayatollah iraniani, che gli forniscono armi e munizioni d’avanguardia e che addestrano i suoi militanti sul loro territorio. Fino a non molto tempo fa, ne finanziavano anche le attività. Ma oggi anche l'Iran è in crisi, e Hezbollah sta facendo di tutto per recuperare il deficit: ha preso il controllo della produzione libanese, del traffico di droga…
Vero Stato nello Stato, il suo esercito è superiore in forza e in armamento rispetto all'esercito nazionale libanese. Ma perché, vi domanderete, questo movimento considerato terrorista da numerosi Paesi occidentali, ha bisogno di armi sofisticate? I confini del Libano sono sicuri, non c'è alcuna disputa territoriale con i vicini. La risposta, ancora una volta, la conoscono tutti. Al servizio dei teocrati di Teheran, che non fanno mistero del loro desiderio di distruggere Israele - scusate, il piccolo Satana o l'entità sionista - Hezbollah, che ha già provocato due scontri con lo Stato ebraico, si prepara a scatenarne un altro quando sarà il momento. Hassan Nasrallah lo dice e lo ripete. Immagazzina missili ad alta precisione per colpire le principali città di Israele, popolate secondo lui, da occupanti e coloni. E tanto peggio per la risposta devastante degli israeliani. Nasrallah è pronto a sacrificare il suo Paese sull'altare di un'ideologia di un'altra epoca. Finché la piovra non avrà allentato la presa, il Paese dei Cedri continuerà la sua discesa agli inferi.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".