'Non separare il No dal Sì', di Paul Celan Recensione di Domenico Iannaco
Testata: Il Foglio Data: 10 luglio 2021 Pagina: 3 Autore: Domenico Iannaco Titolo: «Non separare il No dal Sì»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 10/07/2021, a pag. 3, la recensione di Domenico Iannaco dal titolo "Non separare il No dal Sì".
La copertina (Ponte lle Grazie ed.)
Paul Celan nasceva nel 1920, ma è ancora impossibile guardare la realtà e la poesia come faceva il poeta, senza cadere nella tentazione di scrivere versi alla maniera di Celan. L'autore parla del genocidio, dei campi di concentramento, della morte sovvertendo tutti i piani della realtà. L'impensabile diventa reale e la presenza di segni premonitori, di strutture inconsce, di archetipi sembra appartenere alla quotidianità di questo dettato, una miscela dove sogno, simbolo e dettaglio hanno la stessa valenza ontologica. Il dramma di questa poesia è insito in un mistero. L'uomo attribuisce alla vita un fine e conferisce all'esistenza una "dignità quotidiana".
Paul Celan
La Shoah, purtroppo, è destinata a "durare in eterno", facendosi parte di coloro che hanno vissuto l'evento o che ne hanno sentito parlare. L'orrore non può essere confinato all'arco temporale definito da delle date. Si tratta di una modalità di agire dell'uomo, che si è macchiato di un altro peccato originale. Si può ignorare la caduta e continuare il progetto del futuro. Tuttavia, si è segnati per sempre. I versi di Celan sono bellissimi: evocano immagini potenti, almeno quanto la tragedia che li ha ispirati. Sembra quasi che sia questa nuova bellezza, pluridimensionale, capace di nutrire l'anima, uno degli scandali, che la storia ignora. Ecco che nasce una poesia, che dialoga con l'abisso dentro di noi, voce tragica ed eterna, oltre la tragedia stessa. Il tempo resta sospeso nel dialogo fra le forze della vita e della morte. Queste combattono nell'uomo e nei versi del poeta. Se ne trae un messaggio valido per tutti i tempi: il domani avrà la sua "bellezza" e la sua "poesia" ed importa poco se queste idee saranno "vive" o "morte". Oggi, poi, è caduto, anzi "ricaduto" un altro mito. La pandemia ha mostrato il carattere caotico dello sviluppo storico, l'impossibilità di separare la storia dell'uomo da quella della condizione umana. Celan descrive il caos, il suo concetto di "civiltà" non è definibile. II suo discorso è, a modo suo, metafisico e religioso. La morte del positivismo è data sempre per scontata... L'autore, invece, dice tutto per frammenti. Ogni scheggia riesce a ripetere il discorso fatto da tutto il corpo poetico, senza retorica. Nuovi tentativi di tradurre questa poesia sono sempre necessari. Alla fine della lettura, poi, ci si deve chiedere quanto si è capito di Celan e del suo linguaggio, se si sta procedendo verso un'interpretazione del suo paradosso o se, a distanza di anni, se ne è solo compresa la "maniera": "fidati della scia di lacrime / e impara il vivere" (p. 93).
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