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La crisi libanese offre importanti opportunità per Iran e Turchia
Analisi di Antonio Donno
In Libano la crisi economica e sociale sta per esplodere in una rivolta di massa contro i politici al potere. Allo stesso tempo, il passaggio di centinaia di migliaia di siriani nel territorio libanese non produce altro che un’accelerazione del conflitto sociale a causa dell’odio contro i nuovi arrivati, accusati di consumare indebitamente quelle poche risorse rimaste a disposizione dei libanesi. Per quanto il dittatore siriano Assad continui a controllare una parte del proprio Stato grazie al sostegno di Iran e Turchia, è possibile che la crisi siriana sia destinata con il tempo a destabilizzare il regime. In questo caso, la lenta corrosione della stabilità interna potrebbe portare ad una sempre più impositiva presenza di Iran e Turchia sul territorio siriano. Per ora tutto è fermo: sia i turchi, sia gli iraniani mantengono le loro posizioni per opposte motivazioni. Nel caso di Teheran, la gravissima crisi economica interna impedisce di convogliare ulteriori risorse nell’impresa siriana; inoltre, l’urgenza di definire i termini del trattato sul nucleare con gli Stati Uniti ha concentrato l’impegno del nuovo governo fin dai primi giorni del suo mandato. Erdogan, dal canto suo, tiene ferme le posizioni dei suoi militari in Siria, perché il suo progetto di espansione dell’egemonia di Ankara nel Mediterraneo ha assunto la precedenza rispetto ad altri obiettivi.
La crisi esplosiva in Libano, però, non può lasciare inattivi i governi di Teheran e di Ankara. La posizione del Libano sulle coste del Mediterraneo orientale è così strategica, da ogni punto di vista, da indurre Turchia e Iran a non lasciare campo libero alla Cina se non grazie a una serie di accordi economici che possano garantire ai due Paesi islamici di avere un loro ruolo nel Paese dei Cedri, accanto a Pechino. Di conseguenza, il crollo del sistema statale libanese e lo scatenarsi della guerra civile rappresentano delle opportunità di grande rilievo per Ankara e Teheran. Quest’ultima capitale ha un vantaggio strategico sulla Turchia, perché da decenni gli Hezbollah filo-iraniani controllano parte del territorio libanese e sono ben presenti all’interno del sistema politico di Beirut.
Il pericolo della dissoluzione del Libano chiama in causa Israele e Stati Uniti. Gerusalemme si troverebbe a fronteggiare sui confini settentrionali le milizie filo-iraniane degli Hezbollah, rafforzati da un retroterra politico e militare finora mai posseduto, oltre che dalla possibilità di portare sulle proprie posizioni settori della popolazione libanese ormai allo stremo. Il confronto armato tra Israele e gli Hezbollah avrebbe dimensioni mai raggiunte finora. Il nuovo governo israeliano, che sta trattando i termini del cessate-il-fuoco con Hamas, monitora con estrema attenzione la situazione libanese e i movimenti degli Hezbollah nel sud del Libano. Inoltre, nel caso di una crisi del Libano, l’Autorità Nazionale Palestinese potrebbe rialzare la testa e approfittare della situazione di caos per unire le sue forze a quelle sostenute da Teheran.
Ma la situazione che si sta evolvendo negativamente in Libano non potrà non coinvolgere politicamente gli Stati Uniti. Prima la guerra Hamas-Israele, oggi la prospettiva di un Libano senza controllo e in preda a una profonda crisi sociale – con la prospettiva di un inserimento di Iran e Turchia nel contesto caotico libanese – costringerebbe Washington ad assumere posizioni ben diverse rispetto alla definizione dell’agenda americana nelle questioni mediorientali. Come si è detto in altre circostanze, l’Amministrazione Biden sarebbe di fatto portata a ripensare le proprie decisioni sul Medio Oriente, allo scopo di evitare che la crisi libanese sia il motivo scatenante di un nuovo rivolgimento negativo dell’assetto politico della regione. L’eventuale intervento politico dell’Iran nella crisi del Libano con la ripresa dell’azione militare degli Hezbollah indurrebbe Washington ad assumere posizioni più dure sia nei negoziati Hamas-Israele, sia in quelli in corso con l’Iran sulla questione nucleare e dei missili balistici di Teheran.
Una nuova minaccia di profonda destabilizzazione della regione mediorientale si va, dunque, profilando, con ricadute molto pesanti sulla situazione politica del Mediterraneo orientale. Nel luglio del 1958, circa 15.000 marines americani sbarcarono a Beirut e anche l’aviazione americana sorvolò i cieli del Libano per mettere fine alla guerra civile in corso nel Paese. Nel caso odierno, nulla di tutto ciò è possibile. Ma, nello stesso tempo, l’attuale crisi libanese prospetta una situazione che non potrà essere trascurata da Washington.
Antonio Donno |
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