Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 08/07/2021, a pag. 1, l'analisi di Cecilia Sala dal titolo 'L'Iran e i talebani'.
Cecilia Sala
Ebrahim Raisi
Roma. Nella cultura popolare persiana c'è un proverbio che dice "usa la mano del tuo nemico per catturare il serpente". Più o meno la stessa strategia adottata dalla Repubblica islamica dopo l'11 settembre, in particolare nei confronti dell'intervento militare americano in Afghanistan. Gli iraniani non ragionano in modo tanto semplice da avere un solo nemico alla volta, e sono discretamente allenati alla pratica del doppio gioco. E' proprio per l'ambiguità con cui dal 2001 hanno gestito i rapporti con i loro confinanti dell'est, i vicini di casa per più di 800 chilometri, che oggi la Repubblica islamica arriva quasi confusa a questo appuntamento con la storia: al di là della retorica, nessuno vede come una completa vittoria il ritiro americano dall'Afghanistan che Joe Biden vuole concludere entro l'11 settembre di quest'anno. L'Iran finora ha flirtato sia con il governo di Kabul alleato degli Usa sia con i talebani. Li ha finanziati, ha fornito il carburante, le armi (trovate dai soldati governativi nelle mani di chi rimaneva a terra dopo un conflitto a fuoco) e a volte gli uomini. Come nel 2017, quando tra le vittime di un combattimento quattro salme di presunti talebani, dopo alcune peripezie, finirono per ricevere i funerali in due villaggi iraniani e si scopri che erano in realtà delle spie di Teheran. Quella dei legami tra la Repubblica islamica e i talebani è una storia tortuosa. I nemici dell'Occidente sono stati anche i loro, solo tre anni prima dell'11 settembre avevano massacrato undici diplomatici e giornalisti iraniani. Teheran era stata a un passo dal dichiarargli guerra. Per questo, quando gli Stati Uniti hanno iniziato a preparare l'intervento, gli iraniani lo hanno favorito. Ma una volta che gli americani si sono insediati, hanno cominciato a fare eco ai talebani che chiedevano il ritiro degli stranieri dal paese. Ovviamente, quello che oggi dicono tutti i politici d'Iran è: "Bene che gli Stati Uniti se ne vadano, dev'essere il popolo afghano a decidere il proprio destino". Hanno sempre sostenuto che la crisi dovesse essere risolta attraverso colloqui intra-afghani, ma poi quei colloqui li hanno boicottati, infiltrando entrambe le parti per mettere zizzania e alzare il livello dello scontro. C'era la diplomazia iraniana a Kabul che tendeva la mano al governo mentre i pasdaran infiltravano le loro istituzioni e sostenevano gli insorti. Nel 2012 una poliziotta afghana è stata giustiziata perché in realtà lavorava per l'Iran. Il caso più clamoroso è stato quello del cittadino britannico-iraniano Daniel James, nientemeno che l'interprete del generale David Richards (allora comandante in capo della NATO in Afghanistan), condannato per aver passato alcune comunicazioni ai pasdaran mentre era in servizio.
Finché ci sono stati gli americani, l'idea era quella di utilizzare a proprio vantaggio il "nemico" che stava catturando con la propria mano i "serpenti" ai confini: i talebani in Afghanistan e Saddam Hussein in Iraq. Ottenuto il risultato, bisognava tornare a estendere la propria influenza e logorare gli occidentali affinché abbandonassero il paese. Un modo per farlo era aiutare i talebani a infliggere il maggior numero di perdite, per rendere la guerra sempre meno sostenibile e mantenere il paese il più destabilizzato possibile. Ma adesso che si avvicina il ritiro definitivo, alle ambizioni si mescolano i timori. In questi giorni gli assalti talebani in diverse province dell'Afghanistan sono seguiti in Iran con una certa dose di preoccupazione per la sicurezza del confine, quindi per la propria sicurezza nazionale. Da una parte il governo iraniano "offre" a quello afghano la brigata Fatemiyoun, composta da immigrati afghani reclutati dalla forza speciale Quds dei pasdaran e pronti a trasferirsi dalla Siria per andare a combattere i talebani. Dall'altra Kayhan, il quotidiano iraniano finanziato dalla Guida Suprema Ali Khamenei, porta avanti una campagna stampa per normalizzare l'immagine dei talebani agli occhi degli iraniani, che in maggioranza non ne conservano affatto un bel ricordo. L'establishment della Repubblica islamica conosce le previsioni secondo cui i talebani si riprenderanno tutto entro la fine dell'anno. Proprio ieri una delegazione di talebani era a Teheran. Non sappiamo cosa si siano detti, ma sappiamo qual è adesso il clima: Kayhan scrive che "sono cambiati", che "non decapitano più la gente" tanto facilmente, che hanno fatto progressi e sono più gentili dello Stato Islamico. I conservatori si spingono a sostenere che "i talebani non hanno mai commesso crimini contro gli sciiti dell'Afghanistan".
Tutti sanno che non è vero, e qualcuno lo dice. Il diplomatico Ali Khorram ha scritto che gli attentati dinamitardi in varie parti dell'Afghanistan hanno preso di mira soprattutto gli sciiti, e ha criticato l'Iran (il più grande paese sciita)— che dovrebbe essere "il loro principale difensore nel mondo" — per aver taciuto di fronte a quei massacri. Khorram dice anche di essere stupito che alcuni estremisti iraniani vedano i talebani come un "movimento rivoluzionario" anti-occidentale, dimenticando che sono dei fondamentalisti sunniti che ammazzano gli sciiti e portano il caos alle porte della Repubblica. "Se, Dio non voglia, un gruppo ribelle occupasse le province iraniane una a una saremmo contenti se i nostri vicini afghani rimanessero in silenzio?". Gli stessi funzionari dell'intelligence iraniana hanno parlato di kamikaze addestrati in Afghanistan per essere schierati in Iran e, nonostante il restyling sull'immagine dei talebani che tenta di portare avanti il giornale della Guida, neanche Kayhan nega che ci sia il rischio di una sanguinosa guerra civile che può trasformarsi in un conflitto sciita-sunnita. Come se non bastasse, inizia a diffondersi quel tipo di critica che, in assoluto, fa più imbestialire l'establishment conservatore iraniano. Il tipo di critica in cui il generale Qassem Soleimani, amatissimo combattente ucciso l'anno scorso, viene usato contro di loro. Khorram dice pubblicamente che "uno stratega militare come lui non avrebbe mai aspettato mentre i nemici dell'Iran si rafforzavano, perché pensare che i talebani passeranno sotto il controllo di Teheran equivale a allevare un serpente dentro la manica della propria camicia".
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