Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 08/07/2021, a pag.1, con il titolo "Lievissima guerra", l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Roma. Una sequenza brutale di attacchi in medio oriente tra israeliani, americani e iraniani sottopone a una pressione enorme la politica estera dell'Amministrazione Biden, che invece vorrebbe molta diplomazia soft e pochi problemi. Lunedì sera quattro droni esplosivi lanciati dalle milizie legate all'Iran si sono schiantati vicino all'ambasciata americana a Baghdad e a una base militare americana, Union III, a poca distanza dall'ambasciata. Sono droni che seguono una rotta preimpostata con il Gps quindi non hanno bisogno di essere pilotati da remoto, possono portare decine di chilogrammi di esplosivo e sono prodotti con tecnologia fornita dall'Iran. Prima le milizie lanciavano razzi, ma da aprile usano un misto di razzi, che sono più economici, e droni, che sono più precisi. Lo stesso giorno, le milizie hanno sparato tre razzi contro la base americana di al Asad, in Iraq ma più a ovest. Martedì sera le milizie hanno lanciato un altro drone contro la base americana dentro all'aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno. "Volevano colpire un bersaglio specifico e importante, ma non ci sono riusciti", dice il comunicato degli americani, che però non specifica quale bersaglio. Ad aprile un drone aveva centrato l'hangar nella base di Erbil che ospita la Cia.
Ieri le milizie hanno lanciato un drone contro la base americana di al Omar, in Siria, e quattordici razzi di nuovo contro la base di al Asad in Iraq. Di fatto le milizie dell'Iran giocano d'azzardo, perché questi attacchi colpiscono a caso dentro le basi e se uccidessero uno o più americani la notizia finirebbe in televisione e sulle prime pagine dei giornali e ci sarebbe un'escalation - che l'Amministrazione Biden non vuole, ma a quel punto non potrebbe evitare. Spesso i militari americani riescono a neutralizzare i droni all'ultimo momento con il Cram, un ingombrante sistema che segue l'arrivo dei droni sul radar e attiva una mitragliatrice ad altissima cadenza di fuoco che spara una raffica verso l'intruso. Gli attacchi avvengono con il buio, il Cram quando risponde produce un caratteristico rumore da tritatutto elettrico e lunghe scie di proiettili traccianti nel cielo, e tutto questo avviene nel mezzo di zone abitate: la capitale Baghdad, l'aeroporto di Erbil che è contiguo alla città curda, le case attorno alla base di al Asad. Sono scene di guerra che fanno parte di un quadro surreale, da sdoppiamento della personalità: nelle stesse settimane dei negoziati internazionali al Grand Hotel di Vienna con l'Iran, i combattenti che prendono ordini dall'Iran bombardano le guarnigioni americane in Iraq e in Siria. Gli americani rispondono nella speranza di ristabilire un minimo di deterrenza: l'Amministrazione Biden ha ordinato un bombardamento con gli aerei il 28 giugno contro le basi delle milizie e un altro era già stato autorizzato a febbraio. Così, sul piano ufficiale americani e iraniani discutono (in via indiretta, tramite mediatori europei) con ragionevoli speranze di successo la resurrezione dell'accordo nucleare del 2015. Sul piano pratico invece, sul piano della schizofrenia mediorientale, si scambiano bombardamenti. E questi attacchi e i raid di risposta fanno parte di uno scontro più grande al quale partecipano altri soggetti - e il primo è Israele. Il 23 giugno in Iran c'è stata un'esplosione nella fabbrica che produce centrifughe atomiche a Karaj, pochi chilometri a ovest della capitale Teheran. L'agenzia di stato iraniana ha parlato di un attacco "sventato" che non avrebbe prodotto danni, il New York Times ha parlato di un attacco con un drone (è tutto un incrociarsi di droni), il Jerusalem Post nega l'attacco con il drone e parla di un'esplosione dall'interno. Il 3 luglio l'Intel Lab, un'azienda privata israeliana che analizza immagini satellitari, ha scoperto che nel tetto della fabbrica c'è un foro attraverso il quale si vedono danni - e due giorni fa gli iraniani hanno messo un nuovo tetto per coprire tutto.
La scoperta smentisce il governo iraniano, che già aveva cercato di minimizzare l'esplosione devastante di una bomba dentro il bunker sotterraneo del sito nucleare di Natanz l'11 aprile scorso. E' molto probabile che gli israeliani in qualche modo siano riusciti a colpire la fabbrica delle centrifughe, nello sforzo continuo di rallentare l'arricchimento dell'uranio da parte dell'Iran. Sarebbe la prima azione visibile dei servizi segreti israeliani dopo l'arrivo il primo giugno del nuovo direttore David Barnea al posto di Yossi Cohen. Nel giorno stesso della scoperta del foro, una nave da carico israeliana in navigazione vicino agli Emirati arabi uniti è stata colpita da un'esplosione e da un incendio a bordo. Questi attacchi alle navi fanno parte di una faida marittima fra iraniani e israeliani che va avanti da anni, ma questa sarebbe la prima volta che gli iraniani attaccano in reazione a un sabotaggio avvenuto a terra (quello nella fabbrica di centrifughe). Il 5 luglio è scoppiato un incendio molto vasto nella zona industriale di Karaj, la stessa della fabbrica di centrifughe atomiche, ma è difficile capire sotto il velo dell'opacità iraniana se si tratta di un secondo attacco oppure di un normale rogo - soprattutto in questo periodo di frequentissimi blackout estivi che stressano la griglia elettrica e provocano cortocircuiti. Aspettarsi indicazioni dalle fonti ufficiali del regime è inutile. Anche questi attacchi clandestini, eseguiti molto probabilmente da un gruppo di iraniani creato dai servizi israeliani, come gli atti di guerra in Iraq e in Siria, non interferiscono con la liturgia ufficiale dei negoziati nucleari, che vanno avanti in Europa e portano verso un risultato atteso sia dall'Iran sia dall'Amministrazione Biden: il recupero del deal atomico. Ma è tutto affidato al caso e la calma di adesso non potrà sopportare ancora a lungo questo ritmo-dodici attacchi in un solo mese contro le basi americane soltanto in Iraq.
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