Marc Fumaroli e il gergo della censura politicamente corretta Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 07 luglio 2021 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Un meraviglioso e postumo Fumaroli contro il 'gergo' che domina in America»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 07/07/2021, a pag. I, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo "Un meraviglioso e postumo Fumaroli contro il 'gergo' che domina in America".
Giulio Meotti
Il libro postumo di Marc Fumaroli
Roma. "La pubblicità commerciale, come il politicamente corretto dei media (un eufemismo per la propaganda) condiziona, quando non li detta, i comportamenti che la sociologia e le sue statistiche sapientemente descrivono, a posteriori, come liberi". Marc Fumaroli ne aveva previste tante. Antimoderno, biografo di Chateaubriand e professore di retorica al Collège de France, Fumaroli "torna", postumo (è scomparso un anno fa) con "Dans ma bibliothèque". Vi attacca "le pazzie sessantottine che associarono a un nichilismo e a un anarchismo giovanile le successive ondate di leninismo letterario, trotskismo e maoismo per non parlare di Freud rivisto e corretto da Lacan, né di Heidegger, che dopo essere stato esaltato da Jean Paul Sartre si è trovato negato dalla `decostruzione' secondo Jacques Derrida, e dal `postmodernismo' secondo Jean-François Lyotard, tanti esercizi pedanti del `pensiero concettuale' parigino". Fumaroli fra gli strutturalisti, dunque, che oggi dominano i campus americani, che rimandano indietro in Francia la cultura woke. Vi testimonia "la mia antipatia per le stelle intellettuali che apparvero nelle aule negli anni `60 sulla scia di Sartre e le soppiantarono. `Terroristi' trincerati nel loro gergo, portati in trionfo oltre Atlantico nelle eleganti università americane e acclamati dalla `rivoluzione' degli studenti, questi privilegiati di Francia". "In America gli sconvolgimenti più inaspettati e sensazionali aprono la strada alla locomotiva della storia. Il partito del proletariato non è più al comando: prende il posto di Lenin un'avanguardia, in Armani o in jeans, che sa fondere le controculture delle minoranze nell'industria culturale di massa e impastare la folla con un talento tecnologico di gran lunga superiore agli ex ingegneri delle anime". Fumaroli aveva capito che in Europa sarebbe arrivata l'onda lunga dell'utopia americana. Quest’ “immortale" di Francia, fra i massimi critici culturali del Novecento, nel 1991 aveva descritto tutto in un libro di cui quest'anno ricorrono i trent'anni dall'uscita, "Lo stato culturale" (Gallimard e Adelphi, fuori catalogo). "La cultura del piagnisteo" di Robert Hughes sarebbe uscito soltanto due anni dopo. Fumaroli vi parlava di un nuovo "microclima di euforia contagiosa", di "conformismo ostentato", di "perpetuo festival su commissione, in cui pubblicità e propaganda, divertimento di bassa lega e informazione mutilata, si intrecciano in modo inestricabile". Ne tracciava l'origine nel fatto che "tutte le democrazie liberali, quindi prospere, hanno assistito alla crescita di quelli che grossolanamente si usa definire i `bisogni culturali' delle popolazioni urbane. Divertimenti da trovare, tempo libero da riempire, distrazioni per distendersi dopo il lavoro". Si finiva con la "cultura che è un altro nome della propaganda", le "cricche al potere". Fumaroli riconosceva che "questa patologia dell'uguaglianza che è l'egualitarismo, la passione egualitaria che diventa un'arma faziosa, serve da esca a una oligarchia demagogica che regna in virtù della cultura di massa". Rifiutava la parola decadenza. "Parola troppo bella, troppo romantica per affiorare nella nostra prosperità frivola e satolla". Aveva previsto che "l'ironia non è ancora un delitto, ma è già quasi un reato o comunque una inciviltà grave o un atto eroico". Denunciava la "critica terrorista che conferisce a chi la esercita i poteri di un procuratore generale: giacché la letteratura trova la propria vitalità e misura la propria influenza proprio in quei luoghi comuni' che sono la sua ragion d'essere". Con il pretesto di una "guerra totale ai cliché borghesi", si liquidano le grandi domande, "quelle che assillano tutti gli uomini, che definiscono la loro umanità, che sono da sempre il tessuto della letteratura". Era la nascita di "un progetto impregnato di violenza mascherata di pretesti umanitari". Fumaroli vide lungo, anche nella guerra al passato: "Ci sono diversi modi di eliminare il passato, come ridurlo allo stato di appendice dell'attualità, una specie di zoo o di children's corner, un supplemento culturale in cui viene trattato senza tanti complimenti". Rifiutò il processo all'occidente: "Oggi ai cittadini delle democrazie liberali vengono offerti mezzi cento volte più numerosi per diventare, in una generazione o due, quello che per l'aristocrazia veneziana aveva richiesto quattrocento anni: dei crostacei serviti sulla tavola di Crono. I cittadini delle democrazie liberali sono diventati in maggioranza, a cerchi concentrici, le aristocrazie immensamente privilegiate di una umanità, proletaria, innumerevole, oppressa, che vagheggia il destino del più modesto fra di noi come le anime dei morti in Omero aspirano alla luce dei vivi. Queste vaste aristocrazie, che godono dei vantaggi della democrazia liberale e consumano da sole in un anno più di quanto abbia consumato l'umanità intera nei secoli che hanno preceduto l'avvento dell'industria, dimenticano volentieri quello che sono e a cosa devono questo straordinario privilegio materiale e morale. Gli apologeti della nozione di Terzo Mondo hanno sostenuto che questa disparità è dovuta al fatto che sono i paesi ricchi a estrarre le materie prime dai paesi poveri. Ma è stata la materia grigia dell'Europa a elaborare la morale e il diritto di cui è erede la nostra democrazia". Un sublime suprematista.
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