Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/07/2021, a pag.17, con il titolo "Il Libano in coda per sopravvivere", il commento di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
La crisi è talmente catastrofica che gli esperti della Banca Mondiale non esitano a definirla «tra le tre più gravi sul nostro Pianeta dalla metà dell'Ottocento». Lo testimoniano le code di intere giornate ai distributori, i tagli continui alla rete elettrica nazionale, la mancanza di beni essenziali come le medicine, i supermercati chiusi, il crollo dei salari, il quasi azzeramento del valore della moneta nazionale e le banche serrate. Immaginate cosa significhi per un'intera popolazione scoprire che i risparmi sono congelati, non solo non c'è accesso al credito, ma soprattutto si deve vivere alla giornata, occorre arrangiarsi tra mercato nero, corruzione imperante e assenza di aiuti. Parliamo del Libano. Poco meno di un anno fa i suoi circa 6 milioni di abitanti (inclusi oltre un milione di profughi siriani arrivati dal 2011) credevano genuinamente di avere toccato il fondo. La terribile esplosione del 4 agosto che aveva devastato il cuore di Beirut (almeno 200 morti, circa 6.000 feriti e danni per miliardi di euro) era stata letta allo stesso tempo come l'ennesima prova dell'inefficienza cronica di una classe politica e amministrativa corrotta sino al midollo, ma anche quale occasione di riforme e riscatto nazionale. Le circa 2.750 tonnellate di nitrato d'ammonio giacevano da oltre 7 anni in un hangar semi-abbandonato nella zona commerciale del porto. Emerse presto che non c'era traccia di attentato, seppure diversi politici e commentatori avessero puntato il dito contro «nemici esterni» e non meglio chiariti «complotti» locali funzionali alla loro causa. Si era piuttosto trattato di un incidente. Avevano provocato la deflagrazione un banalissimo cortocircuito, unito al calore delTestate e al particolare assurdo per cui accanto al nitrato estremamente esplosivo erano accatastate scatole di fuochi d'artificio. Ma la cosa era in realtà ancora più grave. Sbatteva in faccia a tutti ciò che ogni libanese ben conosce nell'intimo: la Stato è fallito, i partiti tradizionali a parole si fanno la guerra, ma nei fatti cooperano sottobanco per restare a spartirsi la gestione del Paese. II riscatto sperato nel 2020 non è mai avvenuto: al contrario, oggi prevale la stagnazione. L'Orient le Jour, il quotidiano in lingua francese vicino alla componente antisiriana della comunità cristiana locale, sottolinea che la mancanza di carburante è alimentata dai contrabbandieri collusi con partiti e le forze di si carezza che ne permettono la vendita illegale al regime di Bashar Assad. II motivo è presto detto: in Libano il carburante è fortemente sussidiato dalle casse pubbliche, venderlo invece in Siria a prezzi molto più alti garantisce enormi incassi in nero, che vengono poi spartiti tra le autorità coinvolte. A complicare la crisi sta anche il fatto che il collasso dell'economia siriana ha praticamente azzerato gli scambi commerciali col Libano, una volta valevano miliardi. Non è strano .che ieri Hassan Diab, il premier dimissionano da circa io mesi ma costretto a dirigere il governo di transizione, abbia lanciato una drammatica richiesta di aiuto alla comunità internazionale paventando «l'imminenza di una grave e violenta esplosione sociale». In pochi mesi il prodotto interno lordo si è ridotto del 4o per cento. Due anni fa il dollaro valeva meno di 1.000 lire libanesi, oggi più di 18.000 al mercato nero (il cambio ufficiale, che nessuno usa, è fermo a 1.500). Per far fronte alle difficoltà la popolazione si adatta: niente ascensori, in famiglia si fanno i turni per stare in fila ai distributori, comunque si va a piedi, cresce ii mercato dei pannelli solari. Soprattutto, chi può emigra e ciò impoverisce privando il Paese dei professionisti migliori. Tra i più colpiti, le vittime del Covid che non trovano cure.
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