Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/07/2021, a pag. 12, con il titolo "Orbán 'il cinese' cosě l’Ungheria apre ai fondi di Pechino", la cronaca di Tonia Mastrobuoni.
Tonia Mastrobuoni
Viktor Orbán con Xi Jinping
A sud di Budapest, una sinuosa ansa del Danubio nasconde uno dei progetti piů controversi di Viktor Orbán. A pochi passi dalla stazione di Kozvagohid, camminando lungo i binari del tram, si scopre una vecchia area industriale dismessa che č ormai invasa da alberi, cespugli e capannoni abbandonati. Nulla fa presagire che in quell’area sonnacchiosa e inselvatichita l’Ungheria pianifichi il primo, gigantesco campus universitario cinese in Europa. Nei sogni di Orbán, a est del fiume simbolo della Mitteleuropa di Franz Kafka e di Johann Strauss, di Claudio Magris e Joseph Roth, dovrŕ sorgere entro i prossimi tre anni l’ateneo Fudan, capace di ospitare 8mila studenti e 500 accademici su un’area di 520mila metri quadri. Un progetto megalomane da 1,5 miliardi di euro di cui la parte da leone, 1,3 miliardi, sarŕ finanziata dalla Cina. E finanziata vuol dire, secondo il sindaco di Budapest, Gergely Karácsony, che «lascerŕ persino i nostri nipoti pieni di debiti». Lo schema č ormai rodato. Č lo stesso che Pechino utilizza per infilare il cappio al collo a molti Paesi coinvolti nella "Via della Seta". Di cui l’Ungheria č sempre stata, a detta della stessa Cina, «il pilastro ». Péter Krekó, direttore del Political Capital Institute di Budapest, non a caso ha messo in guardia, nei giorni dello scontro frontale a Bruxelles tra Orbán e il Consiglio Ue sulle violazioni dei diritti Lgbtq+, dall’altra grande emergenza ungherese: «Orbán vuole combattere la battaglia di Bruxelles invece di combattere la battaglia di Fudan». E il punto non č solo il campus. Secondo un vecchio proverbio cinese, «se costruisci una strada, i viandanti arriveranno». Deve essere questo principio ad aver ispirato l’idea di risistemare una delle meno frequentate e piů inutili tratte ferroviarie europee, la Budapest- Belgrado. Per il restauro dei 350 chilometri di binari, un progetto che fa parte della Via della Seta, l’Ungheria vuole investire 1,6 miliardi di euro. E i dettagli del progetto continuano a essere top secret.
Negli ultimi dieci anni Orbán ha sottoscritto una serie di contratti che secondo l’American Enterprise Institute (AEI) si traducono, in sostanza, in una «trappola del debito» con la Cina. Huawei, il colosso delle telecomunicazioni cinese buttato fuori dalle reti di mezza Europa perché sospettato di spionaggio, ha annunciato giŕ nel 2011 che avrebbe stabilito il suo quartier generale della logistica in Ungheria. In tutto, gli accordi ungheresi con Pechino valgono oltre 5 miliardi di euro, secondo l’AEI. «Lo stesso giorno in cui l’Ungheria ha varato la legge anti-Lgbtq+, č anche passata, molto piů in sordina, quella che dŕ il via libera al campus Fudan», ci racconta Zsuzsanna Szelényi, ex parlamentare di Fidesz ed ex collega di Orbán. Szelényi spiega che «il progetto del campus č riuscito a ricompattare enormemente l’opposizione. Tutti i partiti sono scesi in piazza per protestare contro questo campus assurdo». Negli stessi giorni in cui in Europa si diffondeva giustamente un’enorme ondata di indignazione per la legge anti-Lgbtq+, a Budapest una serie di manifestazioni di piazza e di iniziative clamorose hanno indotto Orbán a congelare, apparentemente, il piano del campus cinese. Il sindaco di Budapest, Karácsony, ha persino ribattezzato le strade intorno all’area "Via dei martiri uiguri", "Via del Dalai Lama", per dare un segnale forte di dissenso. Secondo i sondaggi, il 70 per cento degli ungheresi sono contrari a Fudan. «Orbán ? secondo Szelényi ? ha rilanciato dunque l’offensiva contro la comunitŕ Lgbtq+ con lo scopo di spaccare quell’opposizione che si era ricompattata attraverso l’iniziativa anti-cinese». Delle sei forze politiche che si vogliono presentare unite alle prossime elezioni per battere finalmente l’autocrate ungherese, alcune come Jobbik hanno tradizionalmente una posizione ostile verso la comunitŕ Lgbtq+. «Con la battaglia omofoba, Orbán vuole mobilizzare anche quella fetta di elettorato anti- europeo che lo ha sempre appoggiato nelle campagne elettorali ferocemente ostili con Bruxelles ». Due anni fa ha tappezzato l’Ungheria di manifesti che rappresentavano l’ex presidente della Commissione Ue Jean-Claude-Juncker e il filantropo ed ex finanziere George Soros, entrambi accusati di voler "sommergere" l’Europa di migranti. Tre anni fa, l’Universitŕ centro-europea fondata da Soros a Budapest č stata buttata fuori dall’Ungheria. Ufficialmente Orbán ha dichiarato che il campus cinese sarŕ deciso da un referendum da organizzarsi dopo le elezioni della primavera 2022. «Ma non ci rinuncerŕ mai, se sarŕ rieletto», scommette Szelényi, «anche perché con i cinesi guadagna montagne di soldi attraverso i suoi fedelissimi come Lorinc Mészáros».
L’ex idraulico originario dello stesso villaggio del premier, Felcsút, č diventato nel giro di pochi anni uno degli uomini piů ricchi e potenti del Paese. Lo storico ed ex consigliere di Orbán, József Debreczeni, lo definisce da anni il fantoccio del premier, la pedina piů importante della cerchia di oligarchi che Orbán, su modello putiniano, ha schierato intorno a sé. Sono il pilastro della sua cleptocrazia su modello del Cremlino. E per rinsaldare i legami con i suoi fantocci di Fidesz, i soldi della Cina ? ma anche i generosi fondi europei ? aiutano. Le conseguenze dei contratti con Pechino si sono giŕ fatte sentire anche in Europa: Orbán ha ripetutamente bloccato i tentativi della Ue di condannare gli abusi cinesi a Hong Kong, ha posto il veto su una protesta formale contro le torture di avvocati detenuti nelle carceri del Dragone e ha frenato qualsiasi iniziativa contro le prepotenze di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Ed č un trend destinato a peggiorare, man mano che si rinsalderŕ la sua dipendenza finanziaria da Pechino.
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