Tre risposte a Sergio Romano Non si esagera mai a ricordare la Shoah
Testata: Corriere della Sera Data: 07 novembre 2002 Pagina: 37 Autore: Dario Fertilio Titolo: «Cari amici ebrei, non creiamo un tribunale dell' antisemitismo»
Giovedì sette novembre il Corriere della Sera ha pubblicato un brano della nuova prefazione di Sergio Romano a "Lettera a un amico ebreo". Il libro, già quando uscì, cinque anni fa, suscitò moltissime discussioni e polemiche. Riportiamo l'articolo di Dario Fertilio e il brano della nuova prefazione di Sergio Romano, al quale facciamo seguire le tre risposte pubblicate oggi 13.11.2002 La Lettera a un amico ebreo di Sergio Romano, il saggio che cinque anni fa suscitò dure polemiche a proposito dell' antisemitismo e dell' Olocausto, si arricchisce di un nuovo, pungente capitolo. Affrontando il tema scottante della «questione ebraica », Romano aveva denunciato molte esasperazioni ideologiche, dannose per la causa ebraica che intendono difendere e in definitiva per lo stesso Israele. Oggi l' autore ritorna sull' argomento, approfondendo i motivi di quella critica: la nuova prefazione, un passo della quale è pubblicato in questa pagina, denuncia l' esistenza di una «inquisizione ebraica» che avrebbe ereditato il ruolo censorio del Sant' Uffizio cattolico. Ce n' è abbastanza da suscitare nei prossimi giorni una nuova tornata po lemica, non meno virulenta della prima. Ma sarebbe fuorviante limitare la portata della critica «revisionista» di Sergio Romano al compiacimento o allo sdegno, all' impatto emotivo per una battuta. In realtà, il breve scritto posto a introduzione del la Lettera si sforza di affrontare, senza esasperazioni né eccessi, un aspetto che potremmo definire di «cultura politica». Romano sottolinea in particolare la differenza essenziale che esiste fra «antigiudaismo» o «giudeofobia», rivolti principalmen te alla conversione degli ebrei, e l' «antisemitismo radicale» che persegue invece il loro annientamento. Se infatti la cultura cristiana, da Isabella la Cattolica a Pio XII, ebbe sempre un atteggiamento ambivalente verso i giudei, puntando ora sull' assimilazione e ora sul ghetto, non tradusse mai questa ostilità in pratica omicida. Ecco perché Romano denuncia l' uso ideologico improprio del termine «antisemitismo»: quando viene impugnato come un' arma, in particolare da parte di ambienti ebrai ci, fa venire in mente quell' altro epiteto intimidatorio, «fascista», utilizzato dagli estremisti durante gli anni di piombo per criminalizzare gli avversari e il dissenso. Bisogna interpretare ogni avvenimento nel suo contesto storico, questa in si ntesi la lezione di Romano, altrimenti si dà il via libera alle peggiori ideologie. Trasformare l' antisemitismo in una «colpa secolare cristiana» significa invece mettersi dalla parte di una nuova inquisizione. Pretendere che la colpa dell' Olocaust o sia inestinguibile, e dunque trasmissibile di generazione in generazione, assomiglia molto da vicino alle antiche teorie razziste. Chiudere gli occhi di fronte all' uso della forza ai danni dei palestinesi, e a certe forme di «apartheid», vuol dire servirsi del debito morale immenso contratto dal mondo nei confronti di Israele per non affrontare la politica vera. Quando, addirittura, il marchio d' infamia «antisemita» non serve a danneggiare i personaggi politici sgraditi o scomodi alle lobby. Parole controcorrente, sempre fuori dal coro. Ma il cui intento è chiaro: restituire la «questione ebraica» al terreno quotidiano del realismo e della politica. Dario Fertilio Anticipiamo un brano della prefazione di Sergio Romano alla nuova edizione del volume Lettera a un amico ebreo, in uscita domani da Longanesi (pagine 182, euro 13,50) "Non sono un giudice e non intendo né condannare una parte né assolvere l' altra. Mi limito a osservare che la percezione cristiana dell' eb reo cambia a seconda delle circostanze storiche e che l' ebraismo assume con il passare del tempo diverse connotazioni. Non è possibile quindi parlare di un pregiudizio cristiano, sempre eguale a se stesso nel corso del tempo. Non vi è ragionamento p iù antistorico di quello che rappresenta la cristianità e l' ebraismo come due entità immutabili e l' odio degli ebrei come un cancro della cristianità che cresce progressivamente sino a generare, nella sua ultima metastasi, le camere a gas. La stess a «unicità dell' olocausto», uno degli argomenti più utilizzati per provare l' antisemitismo delle società cristiane, sembra a me dimostrare piuttosto il contrario. Se un solo fattore può, entro certi limiti, spiegare il carattere straordinario dei m assacri ebraici durante la seconda guerra mondiale, questo è, se mai, l' unicità del nazismo, vale a dire di una ideologia fondamentalmente anticristiana. Resta un altro punto che riappare continuamente nel dibattito sulla unicità del genocidio: quel lo secondo cui un fenomeno di tale ampiezza non avrebbe potuto aver luogo se non fosse stato facilitato dalla indifferenza o, peggio, dal consenso con cui le società cristiane accolsero le leggi razziali. È certamente vero che queste leggi, là dove f urono adottate, vennero generalmente tollerate o suscitarono critiche limitate. Ed è altrettanto vero che anche nelle grandi democrazie occidentali, dove non vi fu legislazione razziale, esistevano in quegli anni pratiche discriminatorie. Ne fecero l e spese gli ebrei in fuga quando dovettero constatare, dopo il 1933, che neppure gli Stati Uniti erano disposti ad allargare le maglie delle loro norme sull' immigrazione. Non vi è dubbio: dietro l' avarizia con cui l' amministrazione Roosevelt dette visti in circostanze drammatiche (ad esempio dopo il collasso militare della Francia nel 1940) vi era il desiderio di evitare che il numero degli ebrei americani superasse il «livello di guardia». Ma di lì a sostenere che le società cristiane siano state oggettivamente complici del genocidio, come è stato spesso affermato in questi anni, il passo è lungo. Quella callosa indifferenza, oggi così difficilmente comprensibile, fu in gran parte il risultato della tempesta di violenza che si abbatté s ull' Europa del Novecento e delle numerose circostanze in cui molti europei temettero per la loro stessa esistenza. Dopo il terrore leninista, la guerra contro i kulaki, gli eccidi spagnoli, le purghe staliniane e gli orrori giapponesi in Cina, il va lore della vita umana si era drammaticamente deprezzato. Mentre quasi sei milioni di ebrei morivano nei lager tedeschi o nelle esecuzioni sommarie degli Einsatzgruppen, si moriva in Polonia, in Ucraina, in Bielorussia, in Jugoslavia. Furono tre milio ni i polacchi uccisi durante la seconda guerra mondiale, seicentomila gli zingari scomparsi nei lager, mezzo milione i serbi massacrati dai croati e alcune migliaia gli italiani gettati nelle foibe dell' Istria. Erano anni purtroppo in cui ogni europ eo, quando udiva il racconto delle sventure altrui, pensava anzitutto a se stesso. Non vi è argomento meno storico insomma di quello secondo cui l' antisemitismo genocida sarebbe il punto d' arrivo di un percorso lineare. Se fosse vera, questa afferm azione non potrebbe che generare alcune conclusioni. L' antisemitismo sarebbe allora un carattere permanente delle società cristiane, radicato nella nostra cultura, e comporterebbe una responsabilità destinata a trasmettersi da una generazione all' a ltra (...). Quando scrissi questo libro parlai di tale tendenza e accennai ad alcune forme di «rieducazione» che stavano divenendo sempre più frequenti: i musei dell' Olocausto, i «giorni della memoria» decretati dai parlamenti nazionali, i mea culpa recitati sempre più frequentemente dai governi e dalle autorità ecclesiastiche. Da allora la tendenza si è ulteriormente accentuata e ha assunto una evidente componente patrimoniale. Non basta. I promotori di queste iniziative ritengono che la stori a non possa essere lasciata agli studiosi. Deve essere omologata dai governi e scolpita nel bronzo delle loro leggi. Nel 2000 il Parlamento italiano ha istituito una «Giornata della memoria» che cade il 27 gennaio e si propone di promuovere ogni anno una riflessione «sulle responsabilità individuali e collettive negli anni in cui per migliaia di cittadini italiani fu decretata la morte civile, la spoliazione dei beni, l' espulsione dalle scuole, dalle università, dai posti di lavoro». Negli ulti mi anni del Novecento ventidue paesi europei hanno promosso indagini storiche sul genocidio ebraico, vale a dire sulla responsabilità che ciascuno di essi ha avuto in quegli avvenimenti. E venticinque commissioni, in altrettanti paesi, sono state con temporaneamente incaricate d' indagare sulla responsabilità di aziende e pubbliche autorità nelle depredazioni subite dalle vittime del nazismo. Così è accaduto in Italia, dove il 1° dicembre 1998 la Presidenza del Consiglio ha istituito una «commiss ione di studio al fine di ricostruire le vicende che hanno caratterizzato le attività di acquisizioni dei beni dei cittadini ebraici da parte di organismi pubblici e privati». Poco importa che quei beni fossero già stati restituiti in gran parte (sec ondo alcuni il 95 per cento) nei primi anni dopo la fine della guerra. La commissione, presieduta da Tina Anselmi, ha lavorato sino all' aprile del 2001 e ha prodotto un rapporto generale in cui sono state elencate, insieme alle norme razziali emanat e in Italia fra il 1938 e il 1945, i singoli atti di spoliazione avvenuti in quel periodo. Il rapporto avrà una modesta rilevanza pratica, ma si propone di fissare e quantificare, per la storia, l' antisemitismo italiano di quegli anni. Scrivendo que sto libro ebbi l' impressione che nella «caccia all' antisemita», apertasi in questi ultimi anni, il genocidio fosse diventato ormai il contrappasso del deicidio di cui gli ebrei sono stati accusati per molti secoli. Oggi ho l' impressione che dopo l a soppressione del Sant' Uffizio esista ormai una inquisizione ebraica, autorizzata a controllare e verificare il tasso di antisemitismo delle società cristiane. Vi è nel mondo un tribunale dell' antisemitismo che siede permanentemente e da cui tutti possono essere convocati per rendere conto delle loro parole e dei loro sentimenti." Il Corriere della Sera di mercoledì 13 novembre 2002 pubblica, a pagina 37, tre risposte alla tesi di Sergio Romano. «Le società cristiane complici del genocidio» di Luciano Tas (giornalista e saggista, autore di una «Storia degli ebrei italiani»)
"Sul Corriere del 7 novembre l’ambasciatore Sergio Romano ritorna sul suo Lettera a un amico ebreo , appena uscito nella nuova edizione. Nella prefazione al libro, che il Corriere riporta, l’ambasciatore Romano scrive tra l’altro che «se un solo fattore può, entro certi limiti, spiegare il carattere straordinario dei massacri ebraici durante la seconda guerra mondiale, questo è, se mai, l’unicità del nazismo, vale a dire di una ideologia fondamentalmente anticristiana». Forse non ho capito bene il significato di questa affermazione. Sarà pur vero che il nazismo era un’ideologia anticristiana, ma in realtà a venire sterminati non furono i cristiani come gruppo e in quanto tali, ma il 60% degli ebrei d’Europa. Se ipoteticamente in Italia qualche nuova dittatura fondamentalista fosse antisemita, ma all’atto pratico ammazzasse il 60% dei cristiani, cioè presso a poco 33 milioni di persone, uomini, donne e bambini, non credo che la si potrebbe definire una ideologia fondamentalmente antisemita. L’ambasciatore Romano contesta che «le società cristiane siano state oggettivamente complici del genocidio», ma 1900 anni di predicazione antiebraica (cessata solo un minuto fa, in tempo storico della Chiesa) qualche alimento alle persecuzioni antiebraiche lo avranno pure fornito. L’ambasciatore Romano scrive poi che se è vero che «quasi sei milioni di ebrei morivano nei lager tedeschi», «furono tre milioni i polacchi uccisi durante la seconda guerra mondiale», ma non precisa che si trattava di tre milioni di ebrei polacchi (con tutto il cordoglio dovuto alle centinaia di migliaia di cristiani polacchi uccisi). L’ambasciatore Romano pare lamentare un eccesso di «musei dell’Olocausto» e di «giorni della memoria», eccesso che diventa, sembra, una tendenza. E questa «tendenza si è ulteriormente accentuata e ha assunto una evidente componente patrimoniale». Ma questa non l’ho capita proprio. Infine l’ambasciatore Romano ha «l’impressione che dopo la soppressione del Sant’Uffizio esista ormai una inquisizione ebraica, autorizzata a controllare e verificare il tasso di antisemitismo delle società cristiane». Ecco, questo è vero, almeno per quanto mi riguarda. Lo confesso, io sono un Inquisitore. Mi mancano però i fiammiferi che talvolta usava il Sant’Uffizio." «I beni vennero confiscati e non furono mai restituiti» di Michele Sarfatti (Fondazione Cdec, Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano)
"Ho fatto parte della «Commissione Anselmi», la Commissione governativa che per due anni e mezzo ha setacciato gli archivi pubblici e privati italiani per indagare i meccanismi di spoliazione attuati contro gli ebrei italiani dal 1938 al 1945. Nell’aprile 2002 abbiamo consegnato alla Presidenza del Consiglio e al Paese un Rapporto Generale di 540 pagine fitte, ricco di ricostruzioni storiche e di indicazioni su ciò che nel dopoguerra era stato restituito, su ciò che era stato disperso definitivamente, su ciò che era o poteva essere rimasto in possesso di enti pubblici o privati. Nei successivi diciotto mesi si è verificato un solo episodio di restituzione, per meritoria decisione autonoma della Provincia di Trento. Nient’altro. Nel frattempo i depredati si sono anagraficamente ridotti di numero, le ricchezze del Paese sono cresciute e diminuite, le manifestazioni di antisemitismo sono calate o aumentate, viaggi (in Israele) sino ad ieri non offerti e non graditi sono diventati possibili. Ma la maggior parte delle Raccomandazioni conclusive del Rapporto Generale è rimasta inevasa. Una di esse auspicava che «il Governo, anche alla luce delle risultanze emerse dal lavoro della Commissione, e secondo modalità che riterrà più opportune, renda sollecitamente possibili i risarcimenti individuali alle vittime di sequestri, confische e furti avvenuti negli anni 1938-1945». Cara Tina Anselmi, non più ragazzina: quanta sprovvedutezza in quel nostro «sollecitamente». A fronte di questa situazione, gli unici elementi di novità sono stati, il mese scorso, la pubblicità al libro di Norman Finkelstein sull’esosità (per non dir di peggio) ebraica «olocaustica» e, ora, i giudizi liquidatori della Commissione Anselmi scritti da Sergio Romano sul Corriere della Sera di giovedì 7 novembre. In questi diciotto mesi (ci si potrebbero fabbricare due bambini, lavoro non da poco) tutti hanno avuto cose importanti da fare, più importanti anche della restituzione degli orologi confiscati dalle autorità italiane repubblichine ad ebrei arrestati sul confine svizzero (gli ebrei furono deportati; gli orologi nel dopoguerra vennero venduti dal nostro Stato democratico a beneficio dell’Erario), o della bandiera d’Italia confiscata nell’abitazione di un rabbino (a quella data già ucciso ad Auschwitz). Se l’Italia non deve restituire, non restituisca. Ma, per cortesia, lo si faccia in silenzio. Ci si risparmi l’ironia sui soldi degli ebrei, sulla potenza degli ebrei, sulla protervia degli ebrei, sull’insopportabilità degli ebrei." «Il dolore non può essere risarcito» di Dario Tedeschi (componente della Commissione presieduta da Tina Anselmi)
"Ho sott’occhio il Corriere della Sera del 7 novembre, che riporta la insinuante prefazione di Sergio Romano alla nuova edizione del suo libro. Mi sembra inutile alimentare una polemica, che prevedibilmente e per intuibili motivi sarebbe gradita all’autore, su argomenti, tutt’altro che nuovi, che costituiscono il conosciuto patrimonio degli antisemiti di oggi e sui quali, comunque gli storici hanno già espresso il loro giudizio. Voglio soltanto ricordare all’autore, nel caso che lo avesse dimenticato, che la «unicità dell’Olocausto» (come egli scrive tra virgolette) non consiste nel genocidio in sè, purtroppo non unico nella storia dell’umanità, e neppure nella assoluta enormità del numero delle vittime. Consiste, invece, nella studiata ed attuata volontà di avvilire progressivamente, attraverso sofferenze inenarrabili e fino all’annientamento fisico industrializzato, la dignità umana dei predestinati, che erano tali, ovunque si trovassero, semplicemente a causa della loro nascita. Consiste anche nella volontà di depredarli dei loro beni, non solo quelli di un qualche valore ma anche i più umili ed i più personali, come potrebbe essere uno spazzolino per i denti, o una semplice sedia da cucina, o delle posate per neonato. Nessun risarcimento, neppure simbolico, potranno mai avere coloro che possedettero quei beni e che sono finiti nei forni crematori. La Commissione presieduta dalla onorevole Anselmi, della quale mi onoro di avere fatto parte, ha compiuto una indagine storica su quelle rapine, ricostruendo documentalmente lo svolgersi di fatti, accaduti nel nostro Paese e riguardanti una parte della popolazione, fatti che, prima d’ora, mai erano stati indagati nel loro svolgimento e nei loro effetti. E la storia, con la memoria del passato, è indubbiamente, lo si sa, prezioso patrimonio delle generazioni presenti e di quelle che verranno."
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