sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
29.06.2021 Antony Blinken: 'Iran e Cina pericoli per le democrazie, Israele e Italia alleati degli Usa'
Lo intervista Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 29 giugno 2021
Pagina: 2
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Blinken: 'Patto Usa-Italia per rafforzare le democrazie contro gli autocrati'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 29/06/2021, a pag. 2-3, con il titolo "Blinken: 'Patto Usa-Italia per rafforzare le democrazie contro gli autocrati' ", l'intervista del direttore Maurizio Molinari a Antony Blinken.

Visualizza immagine di origine
Maurizio Molinari

Blinken to return to Brussels for talks on Ukraine, Afghanistan | Reuters
Antony Blinken

Completo blu, gesti affabili e sempre concentrato sui dettagli. Neanche una parola è lasciata al caso perché l’America di Joe Biden si affida a lui per rafforzare le alleanze con cui rispondere alle sfide di Russia e Cina. Il Segretario di Stato Antony Blinken parla con Repubblica a Villa Taverna poco dopo l’incontro al Quirinale e i messaggi vertono sulla necessità di rilanciare le democrazie: dall’interno rispondendo assieme a pandemia, cambiamenti climatici e diseguaglianze e dall’esterno affrontando Mosca e Cina. Nella conversazione che segue Blinken alza il velo su alcuni dettagli di questi duelli globali: con Pechino il terreno sono le «nuove regole per la tecnologia» e a Putin «abbiamo chiesto di bloccare gli hacker che ci attaccano». Mentre dalla Libia «presto vedremo l’inizio del ritiro delle truppe russe e turche». È il ritorno dell’America sulla scena internazionale, con due partner che Blinken considera strategici, anche se per ragioni diverse: Italia e Santa Sede.

Segretario Blinken, lei ha più volte sottolineato l’importanza per gli alleati di affrontare assieme problemi comuni come la pandemia, i cambiamenti climatici e le diseguaglianze. A che punto è questo processo e dove può portare le democrazie? «Credo che questo processo stia già dando importanti risultati. Guardiamo a che cosa è avvenuto solo nelle ultime settimane: al G7, alla Nato, al summit Ue-Usa. Al G7 le democrazie si sono unite sul Covid per fornire un miliardo di dosi di vaccini a più Paesi in tutto il mondo che ne hanno bisogno. E senza chiedere favori in cambio, come invece altri stanno facendo. Al G7 ci siamo uniti anche contro il riscaldamento globale, impegnandoci a non finanziare impianti a carbone, la maggiore fonte di emissioni nocive. E abbiamo varato un piano per investire nei Paesi a reddito medio e basso per ricostruire le infrastrutture, rispettando trasparenza, ambiente e diritto al lavoro. Si tratta di risultati concreti come lo è anche l’intesa sulla "corporate minimum tax" del 15 per cento, che è destinata ad essere uno strumento molto potente».

Che cosa dimostrano questi accordi ottenuti in pochi mesi? «Dimostrano che le democrazie possono ottenere risultati importanti, per i loro abitanti e per quelli che vivono in altri Paesi».

Perché è così importante? «Perché le autocrazie ci dicono che le democrazie non possono riuscire. Sono inefficienti, incapaci di ottenere risultati. Soltanto con il G7 abbiamo dimostrato che si sbagliano. La Nato e il summit Usa-Ue lo hanno ulteriormente confermato».

Parlando di autocrazie. Il summit della Nato ha definito la Cina una "minaccia strategica". Come è possibile per gli alleati riuscire a contenerla o ridurla? «È importante comprendere che la Cina è la nazione più complicata con cui abbiamo a che fare nelle nostre relazioni. Ci sono terreni sui quali è avversaria, altri sui quali è un rivale ed altri ancora sui quali invece è un partner. Non c’è una singola parola che può definire questo tipo di relazioni. Gli Stati Uniti rispettano il fatto che altri Paesi hanno relazioni diversificate con la Cina. Non chiediamo a nessuno di scegliere fra noi e la Cina. È però vero che quando abbiamo a che fare con la Cina — come avversario, rivale o partner — siamo molto più efficaci se agiamo assieme. Questa è stata la convergenza fra i summit G7, Nato e Usa-Ue».

Qual è il punto cruciale dell’intesa Usa-Ue sulla Cina? «In particolare al summit Usa-Ue abbiamo deciso di cooperare più strettamente su commercio e tecnologia, incluso quando si tratta di decidere norme e standard perché è in corso una grande competizione proprio su questi temi: stabilire le regole sull’uso delle tecnologie che modificano le nostre vite. La Cina vuole riuscirci, noi vogliamo che tali norme riflettano i nostri valori».

Negli ultimi anni la Cina ha tentato con grande energia di diventare protagonista delle telecomunicazioni in Italia, come anche di avere porti marittimi. Considerate l’Italia un terreno di scontro fra l’Occidente e la Cina? «L’Italia ha fatto un lavoro cruciale per proteggere il proprio network 5G dalla partecipazione di "venditori inaffidabili". La vostra legislazione su questo tema è di grande valore. Al tempo stesso è molto importante che quando arrivano investimenti da altri Paesi si effettuino i controlli necessari sulla loro origine. Soprattutto tenendo presenti le esigenze della sicurezza nazionale, dell’Italia come di altri Paesi».

E sull’hi-tech? «Quando si tratta di tecnologia la soluzione migliore non è semplicemente alzare dei muri attorno a tutto, ma agire assieme per difendere come serve ciò su cui si concentrano i nostri timori. Assicurando però che commercio e investimenti continuino».

Molti degli attacchi cyber che raggiungono l’Europa, ed anche l’Italia, vengono da "attori russi". Come è possibile difenderci meglio? «Quando il presidente Biden ha incontrato il presidente Putin a Ginevra, questo è stato uno dei temi principali. Noi siamo stati di recente colpiti da un grande attacco cyber a fini di ricatto — contro un nostro oleodotto nella Costa Orientale — proveniente non da un Paese, ma da un gruppo criminale. I responsabili di questo attacco vivono in Russia. Alla Russia dunque abbiamo detto che nessuno Stato responsabile può ospitare o dare rifugio ad associazioni criminali responsabili di attacchi cyber a fini di ricatto».

Che cosa vi aspettate da Putin? «Ci aspettiamo che la Russia agisca per evitare che questi attacchi cyber possano ripetersi. Al tempo stesso vi sono infrastrutture di interesse strategico — acqua, elettricità, trasporti pubblici — che devono essere protette da attacchi cyber. Lo abbiamo detto chiaramente a Putin. Vedremo se vi saranno dei risultati. Più in generale, come Biden ha detto aal capo del Cremlino, ci auguriamo di avere con la Russia una relazione più stabile e proficua. Possiamo lavorare assieme su temi strategici come il controllo degli armamenti, il cyber, le crisi regionali. Ma se la Russia continuerà ad aggredirci, o ad agire come ha fatto con gli attacchi SolarWind, le intrusioni nelle nostre elezioni e l’aggressione a Navalnyj, allora risponderemo. Non perché vogliamo conflitti, ma perché abbiamo a cuore i nostri valori e principi. Sta alla Russia decidere».

Il summit Nato ha espresso sostegno al processo politico in Libia in vista delle elezioni, chiedendo a tutte le truppe straniere di lasciare il Paese. Ma se Russia e Turchia non dovessero farlo, che cosa farà l’Alleanza? «L’incontro a Berlino sulla Libia è stato positivo. C’è un forte consenso su due punti: la necessità di far svolgere il voto il 24 dicembre — per eleggere il Parlamento e il presidente — al fine di avere una base di legittimità per il governo; le truppe straniere devono andarsene in applicazione delle decisioni Onu. Il consenso internazionale su questi aspetti è molto forte e non può essere ignorato da Stati che hanno in Libia forze regolari o irregolari, incluse Russia e Turchia. Glielo abbiamo detto direttamente».

Crede davvero che Mosca e Ankara ritireranno le truppe? «Credo che inizieremo presto a vedere il processo di ritiro delle forze straniere. Non sarà immediato e prenderà tempo. Ma credo che avrà luogo».

Qui a Roma ha incontrato il collega israeliano Yair Lapid. Crede che gli Accordi di Abramo potranno includere altri attori regionali: l’Arabia Saudita o l’Autorità nazionale palestinese? «Sosteniamo con fermezza gli Accordi di Abramo. Sono stati un passo molto positivo fra Israele, alcuni suoi vicini e altri Paesi anche più lontani. Normalizzare le relazioni è positivo per i Paesi coinvolti, per le opportunità e la prosperità dell’intera regione. Aumentano il commercio, il turismo, gli investimenti. Migliorano le vite dei cittadini. Sosteniamo l’adesione di altri Paesi alla normalizzazione con Israele. Ci stiamo lavorando. Non posso dire quali potrebbero essere, ma l’esempio c’è e, dimostrando che gli effetti sono positivi, altri seguiranno».

L’Iran ha scelto il conservatore Raisi come nuovo presidente. Che cosa si aspetta da lui al tavolo di Vienna sul negoziato sul programma nucleare iraniano? «In Iran le decisioni vengono prese dal Leader Supremo, Ali Khamenei. Abbiamo avuto sei incontri con colloqui indiretti — attraverso i nostri partner e l’Ue — superando molti ostacoli, ma restano delle differenze significative. Il punto di fondo è che non sappiamo se il Leader Supremo sia pronto a fare ciò che serve per tornare al pieno rispetto dell’accordo sul nucleare. La palla è nel campo dell’Iran e vedremo che cosa deciderà».

Ha avuto un lungo incontro con Papa Francesco: Usa e Santa Sede possono lavorare assieme sulla libertà di fede in Paesi come la Cina? «È stato un grande onore incontrare Sua Santità. Uno dei momenti più importanti della mia vita. Abbiamo avuto una conversazione vasta e calorosa. Stiamo lavorando assieme sulla libertà di fede, ma anche sui cambiamenti climatici, la risposta al Covid e la risposta a situazioni di conflitto al fine di sostenere i diritti umani e la dignità umana. Il Vaticano è un nostro partner importante».

Segretario Blinken, lei è venuto spesso nel nostro Paese e conosce molti dei nostri leader. Ci parli del suo rapporto personale con l’Italia. «Sono venuto per la prima volta in Italia quando avevo 16 anni, con i miei genitori, allora vivevo in Francia e mi sono subito innamorato della vostra bellezza, storia, cultura, cibo. Nei 40 anni trascorsi da allora, tutto ciò si è rafforzato, anche grazie a mia moglie. Come ho detto al mio amico Luigi Di Maio, al premier Mario Draghi che gode di grande rispetto in tutto il mondo e al presidente Sergio Mattarella, un grande statista, l’Italia ha un vantaggio sleale sulla scena internazionale perché chiunque vuole venire qui per discutere di qualsiasi tema. Se molti americani hanno le radici in Italia, ancora di più vorrebbero averle».

Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT