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La Repubblica Rassegna Stampa
26.06.2021 La famiglia Singer
Recensione di Susanna Nirenstein

Testata: La Repubblica
Data: 26 giugno 2021
Pagina: 14
Autore: Susanna Nirenstein
Titolo: «Fratelli coltelli ecco i Singer»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/06/2021 a pag.14, con il titolo "Fratelli coltelli ecco i Singer", la recensione di Susanna Nirenstein.

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Susanna Nirenstein

La famiglia Singer: Amazon.it: Carr, Maurice: Libri
La copertina (Tre editori)

Per l'autrice ebrea americana Dara Horn, non è così difficile capire perché a volte la creatività avvolga un'intera famiglia: in un articolo su Forward, oltre a citare di passaggio le sorelle Brontë e i James, si sofferma soprattutto sui campioni della letteratura yiddish, i Singer. La maggiore, Hinde Esther (pubblicata come Esther Kreitman), pur senza aver studiato, fu la prima a comporre racconti e poi due bei romanzi; il secondo, Israel Joshua, ci ha regalato capolavori come I fratelli Ashkenazi; il terzo, Isaac Bashevis ha vinto il Nobel e ha incantato il mondo. Certo, la loro infanzia si può dire stimolante solo a posteriori, perché nacquero da una madre tanto religiosa quanto dittatoriale e da un rabbino tutto vita spirituale, crescendo comunque nella miseria: ispirati dall'illuminismo ebraico però, Hinde e Israel, si innamorarono decisamente della modernità, mentre Isaac assorbì entrambi i mondi e la sua immaginazione volò sempre tra i due poli. Una condizione che creò di fatto un'intensa alleanza contro i genitori: pur se ebbero rivalità e invidie, Israel, sempre più circondato di artisti e rivoluzionari, portava a casa libri secolari che Hinde divorava, e Isaac, di 13 anni più giovane di Hinde, annusava le loro orme e man mano li seguiva. Tutti e tre lasciarono la Polonia e scelsero l'Occidente. Moyshe, il minore, no, si dedicò alla Torah, e morì di stenti in Siberia dove fu deportato con i suoi dopo la spartizione della Polonia tra Urss e Germania. Secondo la Horn fu quell'alleanza antigenitoriale, quell'amore per la lettura, quella complicità critica, furono quei piccoli segni indelebili lasciati da esperienze e rivolte comuni nel segno dell'arte, ad aver reso i fratelli Singer tre autori tanto geniali: per lei l'immaginazione è il frutto di un atto collettivo. L'idea è suggestiva, eppure leggendo La famiglia Singer, appena uscito per I Tre Editori, il libro di Maurice Carr (1913-2003), pseudonimo di Moshe Kreitman, figlio di Hinde Esther e nipote di Israel e Isaac, giornalista, scrittore, precoce curatore a 24 anni (!) di una ispirata antologia di 28 racconti ebraici mai tradotti prima in inglese (con Vassilij Grossman, Pasternak, Kafka, Zweig, Feutchwanger... e i 3 Singer più lo stesso Maurice, nome d'arte questa volta, Martin Lea), di spirito collettivo ne troviamo poco. I maschi Singer sembrano del tutto anaffettivi. La storia che Maurice narra è soprattutto quella di "mama", Hinde Esther, mai amata dalla sua mamma Batsheva che odiava esser femmina e voleva un maschio a tutti i costi: fu così che dette subito a balia Esther ad una famiglia poverissima che la teneva sotto un tavolo, tra le ragnatele, circostanza che le procurò una malattia incurabile agli occhi. La riprese a tre anni, e più cresceva più le sue mansioni divennero quelle casalinghe, mentre guardava con invidia i fratelli crescere e studiare. Fu ispirandosi a lei (e forse anche a Batsheva) che più tardi Isaac Bashevis scrisse Yentl (portato sullo schermo da Barbara Streisand) dove una ragazza si traveste da uomo per aver accesso agli studi. Molto presto per Hinde, invece, ecco un matrimonio combinato con un tagliatore di diamanti di Anversa: per quanto riluttante, Hinde accettò l'esilio" pur di andarsene di casa (tutte materie con cui compose i suoi romanzi). Nel viaggio verso Berlino, dove si svolse il matrimonio, lei fece vedere a Batsheva i suoi scritti: la mamma li prese, li fece a pezzi e li buttò dal finestrino. Hinde, che aveva crisi epilettiche e depressive, se non accettò mai il marito Avram, riversò tutto il suo amore sul figlio Moshe/Morris/Maurice, anche quando, con la prima guerra mondiale, furono sfollati a Londra e mantenuti dall'Agenzia ebraica e dai lavori di ricamo che lei, mezza cieca, faceva davanti alla finestra pur dedicandosi alla scrittura ogni volta che poteva e frequentando riunioni di letterati yiddish e circoli socialisti. Carr è molto capace di usare lo sguardo ingenuo e sbalordito di un bambino, il libro scorre ricco di descrizioni avvincenti, ben scritte; ma i famosi zii Israel e Isaac quando arrivano? In tante circostanze, tutte rivelatrici. Una delle più curiose è quella in cui "mama" e Moshe d'estate vanno a trovare gli zii in una dacia in Polonia nel '26: alla stazione Esther è in visibilio, ma i fratelli a mala pena la salutano, a casa Isaac sta sempre su un albero a studiare, mentre Israel scrive chiuso in soffitta. Fuori, i letterati parlano delle doti dei due fratelli, dicono che Isaac avrà un enorme successo. Nessuno in famiglia rivolge la parola al bambino. Atmosfera da brividi. Anche l'incontro di Isaac con il nipote a Tel Aviv molti anni dopo raggela: il grande scrittore gli dice che sua madre era una pazza, che gli ebrei hanno una pulsione suicida, che Dio ha lasciato la terra a un angelo imbecille. A Carr pare Mefistofele, non lo vedrà mai più.

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