L'omofobia, la Chiesa e il ddl Zan Analisi di Chiara Saraceno
Testata: La Repubblica Data: 26 giugno 2021 Pagina: 37 Autore: Chiara Saraceno Titolo: «Dove vuole arrivare la Chiesa»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/06/2021, a pag.37, con il titolo "Dove vuole arrivare la Chiesa", l'analisi di Chiara Saraceno.
Dubito che sia possibile trovare una mediazione sul progetto di legge Zan che non ne snaturi i contenuti. I punti su cui le posizioni sono più inconciliabili sono infatti quelli che lo qualificano: la formulazione dell’articolo 1, in particolare per quanto riguarda l’uso del termine genere e identità di genere, l’articolo 7 che chiede a tutte le scuole di celebrare una giornata contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Inoltre l’art 4 (sulla libertà di opinione) non è ritenuto sufficientemente garantista. Il primo punto è sicuramente il più importante. Va ricordato che i concetti di genere e identità di genere, in quanto distinti sia dal sesso sia dall’orientamento sessuale, non sono stati inventati dalle/dai proponenti il disegno di legge. Fanno ormai parte istituzionalmente dl linguaggio legale di organismi internazionali come la Corte Europea dei diritti dell’uomo così come della Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha ratificato. Sono l’esito di un lungo processo, di cui il movimento delle donne è stato un importante protagonista, in cui si è compreso che ciò che ci si aspetta dai maschi e dalle femmine, le caratteristiche e i ruoli che si attribuiscono agli uni e alle altre è socialmente costruito e varia da una società ed epoca storica all’altra. Ciò non significa che chi contesta queste attribuzioni non si senta rispettivamente uomo o donna, maschio o femmina. Nella maggior parte delle persone l’identità di genere coincide con quella del proprio sesso (a prescindere dall’orientamento sessuale, che è un’altra cosa), anche quando ne contesta specifiche attribuzioni o stereotipi e denuncia le discriminazioni e le aggressioni che da questi sono motivate. Ma vi sono anche persone che, su una base biopsicologica (in termini tecnici disforia di genere), non si riconoscono nel genere cui il loro corpo sessuato le o li destinerebbero. Non sono a disagio con i modelli di genere assegnati al loro sesso, ma proprio non si identificano con questo, disallineando così la propria identità di genere. Si tratta di una esperienza difficile, che non necessariamente, e sicuramente non dall’oggi al domani, si compie fino all’atto chirurgico, che attraversa diverse tappe di trasformazione della presentazione di sé, esposte al giudizio e spesso al dileggio, disprezzo, aggressione altrui. Per questo il disegno di legge Zan parla di “identità di genere” come identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. Ma proprio questo è il nodo apparentemente irriconciliabile, dove tutti gli oppositori, pur con motivazioni in parte diverse, sembrano concordare nel vedervi una pericolosa legittimazione della fluidità non solo del genere, ma anche del sesso, con l’apertura sia al sesso sia all’identità di genere à la carte. Le femministe contrarie a questo punto (guardando, per altro, solo alla transessualità dal maschile al femminile) vi vedono anche un attacco radicale a ciò che chiamano la differenza femminile. Temo che una formulazione diversa, ad esempio quella proposta da Flick – “sesso in ogni sua espressione e manifestazione” – oltre ad essere aperta a pericolose interpretazioni (anche la condanna della pedofilia potrebbe essere interpretata come una discriminazione), non sarebbe risolutiva, perché il rifiuto dell’identificazione con il sesso del proprio corpo e il genere che a questo viene attribuito non ha a che fare con il sesso e la sessualità, ma, appunto, con l’identità, con ciò e chi si sente di essere. Quanto all’opposizione, da parte sia della destra, sia del Vaticano, all’obbligo di tenere ogni anno una giornata contro omofobia, bifobia e transfobia, la sua apparente irragionevolezza – come si può essere contrari ad educare i più giovani a non discriminare e aggredire chi è diverso da sé? – nasconde la volontà di proteggere il proprio diritto a condannare e di esporre alla pubblica condanna, anche e soprattutto nei contesti educativi, proprio quei modi di essere e presentarsi che il disegno di legge Zan vorrebbe invece segnalare come vulnerabili alle aggressioni e perciò meritevoli di una attenzione specifica anche sul piano educativo. Mi sembra difficile accettare, per amor di compromesso, che scuole - cattoliche, ebraiche, protestanti, di lingua inglese o francese o altro che richiedono un riconoscimento pubblico come luoghi di educazione e istruzione a valore legale, cioè in ottemperanza ai valori e alle norme costituzionali, possano essere esentate dall’educazione al rispetto di omosessuali e transessuali, a prescindere dai propri gusti e disgusti. Anche le critiche all’articolo 4 perché difenderebbe troppo debolmente la libertà di opinione ed espressione mi sembrano una pretesa all’impunità, stante che, come ha ricordato Flick, si tratta di un articolo ridondante, perché la libertà di opinione è già garantita dalla Costituzione. Più che rafforzarlo, andrebbe tolto.
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