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Diego Gabutti
Corsivi controluce in salsa IC
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La Parigi di Sartre e Camus 26/06/2021
La Parigi di Sartre e Camus
Recensione di Diego Gabutti

Rive Gauche. Arte, passione e rinascita a Parigi 1940-1950: Amazon.it:  Poirier, Agnès, Sirotti, Andrea: Libri
Agnès Poirier, Rive Gauche. Arte, passione e rinascita a Parigi 1940-1950, Einaudi 2021, pp. 356, 21,00 euro

La commedia dei filosofi | Porto Franco
Albert Camus, La commedia dei filosofi, iquadernidiviadelvento 2010, p. 36, 4,00 euro.

«Secolo scannalupo», come lo definì Iosip Mandel’štam in un frammento delle sue poesie segrete, il Novecento non è stato «il secolo di Sartre» (come Bernard-Henry Lévy, filosofo col ciuffo, intitolò un suo vecchio libro, e come sembra credere anche Agnès Poirier, autrice di Rive Gauche). Il Novecento è stato il secolo di Orwell. Niente angoscia frou-frou ma stivali che schiacciano volti umani per sempre. C’è un pastiche molièriano di Albert Camus, che si firma per l’occasione con uno pseudonimo, Antoine Bailly, dove si mette in burletta il milieu esistenzialista attraverso la figura di Monsieur Néant, il signor Nulla, trasparente caricatura di Jean-Paul Sartre, autore nel 1943 di L'Être et le Néant (L’essere e il nulla, il Saggiatore 2014). Monsieur Néant, nella Commedia dei filosofi, s’autoproclama «piazzista d’una nuova dottrina» e, dopo avere annunciato a un suo discepolo di provincia che «parecchi Messia si sono ora installati da noi a Parigi», spiega che «niente è più consolante dell’angoscia» e che «non c’è nulla di peggio che una vita priva di questa virtù». Anzi, «a dire il vero fino in fondo, è assolutamente impossibile vivere senza angoscia: invece di cagionare il minimo male, è proprio essa che ci fa vivere. La prova è nel fatto», conclude, «che i morti non la provano affatto». Nel secolo di Sartre è facile convertirsi alla «nuova dottrina» nullista, a quel che «si produce di meglio a Parigi in fatto di bei pensieri. […] La formula è semplice, alla portata di tutti gli spiriti ordinari. Eccola: “Essere nel farsi e fare che ciò sia, è essere per chiunque senza essere ciò che sia sia”». Ecco, mentre Sartre può essere messo in ridicolo, Orwell no. Nessuno con la testa sul collo, nel secolo della Gestapo e di Pol Pot, della Rivoluzione culturale e dei talebani, può seriamente burlarsi della psicopolizia e degli psicoreati (di cui in Italia, c’è un sinistro revival, e per la prima volta negli ultimi duemila anni Chiesa e liberi pensatori la vedono allo stesso modo: no all’Inquisizione). Bene le caves, intendiamoci. Bene anche la nausea e l’ollalà heideggeriano.

Bene le cronache pettegole dell’esistenzialismo, gli scambi di partner, le guerre tra intellòs che parteggiano chi per Hitler chi per Stalin. Bene Juliette Gréco, Picasso, Joséphine Baker, i bistrò del Quartiere latino, Samuel Beckett, la libreria Shakespeare and Co. di Rue de l’Odéon. Bene André Breton. Bene la Résistance. Bene Jacques Prévert. Benissimo, naturalmente, Brigitte Bardot. Bene la Série noire e Jacques Tati. Bene il giovane cinefilo François Truffaut. Molto bene anche Raymond Queneau. Meno bene, ma passons, la «Terza Via» tra capitalismo e socialismo: lo slalom a tempo di fandango tra Washington e Mosca nel quale s’impegnò l’intero parterre parigino, Albert Camus (spiace dirlo) compreso. Bene tutto. Ma il Novecento somiglia poco, anzi non somiglia affatto, a questo festival degli artisti e dei philosophes. Non è qui, tra i mangiatori di croissant, ma altrove, che ha infuriato lo spirito del tempo. Voici le temps des assassins, arriva il tempo degli assassini: così il giovanissimo Arthur Rimbaud, con occhio da veggente, annuncia il secolo a venire – non «il secolo di Sartre», ma il Novecento della neolingua e del Big Brother. Per un momento, tra la fine della Grande guerra e l’inizio della guerra fredda, le grandi firme della Rive gauche hanno elaborato alcune fortunate e a loro modo potenti metafore letterarie. Ma nel frattempo, com’è ineluttabile, questi inni all’inquietudine sono invecchiati, tranne che nei saggi nostalgici di storia della cultura, tipo Rive gauche. Dimostra tutti i suoi anni Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, con i suoi appelli femministi chic alle «formule» non «semplici» ma sempliciotte del freudismo e del materialismo storico, «dottrine» ai tempi molto stimate, oggi a loro volta fuori corso da mò. Qualcuno legge ancora le pièces, i romanzi e le pippe filosofiche di Sartre, per quanto corrette al calvados e scritte in buona lingua? Si leggono con fatica (spiace dire anche questo) persino La peste e Lo straniero del grande Camus (Dostoevskij a parte, i romanzi che vogliono dimostrare qualcosa sono sempre noiosi)? Di Maurice Merleau-Ponty, che in un’occasione attaccò (su mandato di Sartre e Beauvor) Buio a mezzogiorno, il classico romanzo anticomunista di Arthur Koestler, si ricorda a malapena il nome, mentre Koestler è ancora ristampata. E Paul Nizan? Chi era costui? Sopravvive, del secolo della Rive gauche, giusto l’eco lontana del suo lato oscuro: l’antisemitismo dei «collabò», il Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, le sue deliranti Bagatelle per un massacro, Robert Brasillach, Vichy, il rastrellamento del Vélodrome d’Hiver, quando la police francese arrestò migliaia d’ebrei per alimentare i forni di Auschwitz. Col suo vaneggiamento hitleriano e i suoi ridicoli puntini di sospensione, Céline illustra il «secolo scannalupo» più di quanto facciano Sartre, de Beauvoir e i loro seguaci, ammiratori e amanti.

Secolo di Orwell e di Mandel’štam, tempo degli assassini, il Novecento non è stato il secolo dei «bei pensieri» esistenzialisti, come li chiama Camus nella Commedia dei filosofi. Non è stato il secolo dell’engagement e della filosofia di Monsieur Néant, convinto che non ci sia «una verità superiore», che anzi non ci sia «affatto una verità, che tutto è caso, che ci può essere fumo senza fuoco e che infine niente serve a niente». Non è stato il secolo degli artisti engagés ma il secolo dei testimoni, dei Cimiteri sotto la luna di Georges Bernanos, di Primo Levi, di Arcipelago Gulag e di Omaggio alla Catalogna, il diario di Orwell dall’inferno della guerra di Spagna. È stato il secolo di Viktor Kravčenko, l’ex funzionario sovietico che scrive Ho scelto la libertà (Longanesi, 1948) e che, per aver raccontato come stanno effettivamente le cose in URSS, viene diffamato dalla ghenga di poeti stalinisti di Les Lettres françaises, rivista comunista. Ne segue un processo. È chiamata a testimoniare «Margarete (Greta) Buber-Neumann, una quarantottenne alta e forte sopravvissuta sia al gulag siberiano dell’Unione Sovietica sia al campo di concentramento di Ravensbrück sotto i nazisti», scrive Agnès Poirier. «Buber conferma ogni punto delle accuse di Kravčenko. E colpisce chiunque la incontra. Beauvoir è affascinata dalla sua dignità durante la testimonianza, dalla mancanza di autocommiserazione e dalla chiarezza. La sua presenza è elettrizzante, la calma e l’accuratezza estremamente potenti. Espone in modo spassionato ed equanime la crudeltà totalitaria che ha ucciso suo marito e le è costata sette anni nei campi di concentramento sovietici e tedeschi». Cominciano ad accendersi le prime luci nella notte fonda del «secolo scannalupo». Non il secolo di Monsieur Néant ma il secolo di Orwell.

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Diego Gabutti

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