Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 24/06/2021, a pag.16 con il titolo "Nathan Law: 'Hong Kong lo dimostra Pechino è inaffidabile' ", l'intervista di Gianni Vernetti a Nathan Law.
Gianni Vernetti
Nathan Law
Il quotidiano Apple Daily , ultima voce libera della città, è stato costretto a chiudere. Oggi uscirà per l’ultima volta. Cinquecento agenti di polizia hanno arrestato il direttore e i principali dirigenti del quotidiano, i conti correnti bancari sono stati congelati, il fondatore ed editore Jimmy Lai è in carcere con accuse gravissime di terrorismo. Apple Daily aveva sostenuto apertamente il movimento studentesco, denunciando il giro di vite imposto da Pechino a Hong Kong. Raggiungiamo telefonicamente a Londra Nathan Law, leader del “movimento degli Ombrelli”, eletto a soli 23 anni nel Consiglio legislativo di Hong Kong e costretto all’esilio in Gran Bretagna, dopo l’approvazione della Legge sulla sicurezza nazionale.
Con la chiusura del quotidiano “Apple Daily” muore l’ultima voce libera di Hong Kong. Ci può raccontare quale sia la situazione? «È terribile ed oggi è un giorno triste. Apple Daily era l’unico quotidiano che criticava apertamente il governo della Repubblica popolare cinese e l’involuzione democratica di Hong Kong. Gli arresti, la chiusura dei conti bancari sono un attacco durissimo alla libertà di espressione e certificano la fine di ogni libertà di parola a Hong Kong».
Un anno fa fu approvata la legge sulla Sicurezza nazionale. Com’è cambiato il panorama politico? «Quella legge è lo strumento legale che il regime di Pechino ha imposto a Hong Kong per silenziare ogni forma di opposizione e incarcerare chiunque dissenta. Nella città si respira paura e terrore. La repressione politica è durissima. Tutto il panorama politico di Hong Kong è stato “resettato”, a cominciare dall’arresto di tutti i candidati del “campo democratico”. Ogni forma di libertà di parola, di manifestare, di esprimersi liberamente è scomparsa. A oggi sono più di 100 gli esponenti politici e studenteschi in galera e 400 quanti hanno richiesto asilo in Occidente».
Il modello “un Paese/due sistemi” è ormai tramontato? «Sì, Pechino ha trapiantato a Hong Kong il proprio sistema totalitario, cancellando tutte quelle libertà che vennero garantite dall’accordo sino-britannico del 1997».
Ad aprile ha ottenuto l’asilo politico in Gran Bretagna. Come si sente ad essere in esilio a Londra? «Provo una sensazione complessa. Da un lato soffro per avere lasciato la mia città e non poter più stare con la mia famiglia e con i miei amici, dall’altro qui posso parlare liberamente su Hong Kong senza il rischio di essere estradato in Cina».
Il Parlamento europeo ha congelato il processo di ratifica dell’intesa commerciale Ue-Cina. «È una scelta giusta. La Cina deve sapere che per poter essere considerato un normale interlocutore dalla comunità internazionale deve migliorare lo stato dei diritti umani in Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong. Non ci si può fidare delle false promesse di Pechino. Pensiamo ancora alle promesse fatte e agli accordi firmati nel 1997 sullo status di Hong Kong: ci furono garantite libertà e democrazia e oggi è tutto cancellato. Abbiamo bisogno di fatti concreti. La scelta europea è stata molto positiva».
Cosa pensa della dichiarazione finale del vertice del G7 sulla Cina? «Ci sono diversi aspetti positivi. La cooperazione transatlantica è molto migliorata con l’arrivo di Biden. E finalmente le grandi democrazie stanno coordinando sempre più le proprie azioni, aumentando la pressione verso la Cina: Pechino deve capire che le sarà sempre più chiesto conto delle proprie azioni».
Crede che la Cina sia una minaccia per il mondo libero? «Il Partito comunista cinese sta attivamente esportando il proprio modello autoritario nel mondo, minaccia di invadere la democratica Taiwan, esporta instabilità in molte aree del pianeta. Sì, credo che Pechino sia sempre più una minaccia globale per i Paesi democratici».
E la Nuova Via della Seta? «Innanzitutto è sostanzialmente un progetto di esportazione di un modello politico autoritario, non è semplice cooperazione economica. Troppi Paesi in via di sviluppo sono caduti nella trappola del debito cinese e molti progetti finanziati non rispettano gli standard e le norme internazionali. Credo che i Paesi europei che vi hanno aderito (Italia inclusa) dovrebbero ritirarsi».
Crede che sia possibile un cambiamento democratico in Cina? «Ci vorrà del tempo, ma credo che sia definitivamente possibile. E una delle condizioni è che la comunità internazionale delle democrazie tenga alta la pressione su Pechino, dimostrando i limiti del sistema autoritario cinese, denunciando le violazioni sistematiche dei diritti umani, sostenendo ogni forma di dissenso».
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