Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/06/2021, a pag.15, con il titolo "Iran, l’ascesa dei conservatori rafforza l’intesa con la Cina", la cronaca di Gabriella Colarusso; con il titolo 'Ma per la Ue ha un costo politico trattare con Raisi', l'intervista di Stefania Di Lellis a Ali Vaez, direttore del Progetto Iran dell’International Crisis Group.
A destra: Ebrahim Raisi
Ecco gli articoli:
Gabriella Colarusso: "Iran, l’ascesa dei conservatori rafforza l’intesa con la Cina"
Gabriella Colarusso
«Da cosa l’hai capito che sono cinese?». L’uomo sulla cinquantina indossa una polo nera e pantaloni beige,e ha diviso la pagina del taccuino in due colonne: "tariffe" e "rial". Dall’altro lato del tavolo il suo partner in affari, l’iraniano Masoud, ci racconta perché ha votato Ebrahim Raisi: «Ho fatto business con la Cina per 17 anni, import-export di fiori, ma ora le tariffe sono altissime, il rial è troppo instabile, ci sono le sanzioni, le regole del governo sono troppo rigide. Con Rouhani non c’erano chance di migliorare i nostri affari, questo presidente è più open minded, metterà le cose a posto». Siamo nella hall di un albergo nel centro di Teheran, due giorni dopo le elezioni che hanno portato l’ultraconservatore giudice di Mashhad alla presidenza. Mentre a Vienna si cerca di arrivare a un compromesso per salvare l’accordo sul nucleare con l’America, nella capitale iraniana si fa un gran parlare di Cina. Gli elettori di Raisi guardano a Pechino con simpatia, c’è una ragione concreta - il business, appunto - e una aspirazionale: riscattare l’umiliazione subita dall’uscita degli Usa dall’accordo nucleare, stringere la mano a un alleato che non mette bocca negli affari interni. Dopo gli anni di Rouhani, in cui Teheran ha guardato a Occidente, è soprattutto una parte dell’establishment che sostiene Raisi a premere per "riequilibrare" l’asse della politica estera iraniana. La Guida suprema, Ali Khamenei, che teorizza da tempo la svolta a Est, rimasta in secondo piano solo perché la priorità è rimuovere le sanzioni Usa, e ampi settori dei Pasdaran. Ieri, nella sua prima conferenza stampa, ne ha parlato pure Raisi: «Abbiamo ottime relazioni con la Cina e ci sono grandi potenzialità che sicuramente cercheremo di sfruttare. L’accordo che abbiamo fatto è stato uno dei contratti più importanti a livello internazionale, ora dobbiamo attuarlo». Il presidente eletto si riferiva all’intesa di cooperazione strategica di 25 anni che l’Iran ha sottoscritto con la Cina nel marzo scorso, dopo un negoziato durato 4 anni, e che dovrebbe guidare le relazioni tra i due Paesi sulla base del principio: investimenti in cambio di petrolio a buon prezzo. La Cina è già il primo importatore di greggio iraniano, con gli acquisti di petrolio ha tenuto in piedi il bilancio pubblico dell’Iran affossato dalle sanzioni. Non solo, l’interscambio "non-oil" nell’ultimo anno è stato di 18 miliardi di dollari. Ma Pechino ha anche interessi molto forti nel Golfo, negli Emirati, in Arabia Saudita, che non intende pregiudicare. Soprattutto, sono ancora in vigore le sanzioni americane. Come farà dunque Raisi ad avviare la sua svolta a Est? È propaganda, come sostengono diversi analisti, per mandare un messaggio agli americani o una reale strategia politica? «L’equilibro internazionale sta cambiando, la Cina ne è protagonista, vediamo la sua influenza in tutti i settori, dalla tecnologia allo spazio e vogliamo essere pronti ad affrontare questo nuovo fenomeno, proprio come hanno fatto l’Arabia Saudita, gli Emirati, Israele con i loro accordi di cooperazione strategica», ci dice Vahid Ghorbani, responsabile della politica estera dell’Istituto di ricerca per gli studi strategici dell’Iran. «Non vogliamo solo essere venditori di petrolio ma concatenare i nostri interessi, creare un’interdipendenza ». Ghorbani fa parte del gruppo di esperti che ha preparato gli studi per la firma del memorandum con la Cina. Il centro per cui lavora è un think tank, ma dipende dal consiglio del Discernimento il cui segretario è Mohsen Rezai, candidato conservatore sconfitto, generale ex comandante dei Pasdaran. Incontriamo Ghorbani nella sede di Nour News , agenzia legata al Consiglio supremo della sicurezza nazionale, l’organo che decide con Khamenei la politica nucleare ma disegna anche il perimetro delle alleanze internazionali dell’Iran. «L’accordo con la Cina delinea una prospettiva, che copre tutti i settori, dalla Difesa al turismo, ma mancano ancora i progetti ». Perché? «Su alcuni stiamo negoziando, altri sono fermi per le sanzioni ». Come l’alta velocità Teheran- Isfahan, o l’elettrificazione della linea Mashhad-Teheran che si è arenata perché le sanzioni hanno fatto saltare il finanziamento. Da altri investimenti come lo sviluppo del giacimento di gas South Pars la Cina si è ritirata, ma «ci sono progetti nel settore petrolchimico che stanno andando avanti», dice Ghorbani. Per l’Iran, il rapporto con Pechino è come quello con Washington: un affare che riguarda solo in parte la presidenza. Le scelte di fondo dipendono dalla Guida suprema, che ha affidato ad Ali Larijiani, l’ex speaker del Parlamento, la gestione dei rapporti con Pechino. Ma è vero che «la vittoria di Raisi segna un cambiamento, l’atmosfera nei confronti della Cina con il prossimo governo cambierà, sarà più positiva», dice Ghorbani.
Stefania Di Lellis: 'Ma per la Ue ha un costo politico trattare con Raisi'
Ali Vaez, direttore del Progetto Iran dell’International Crisis Group
«La Guida suprema Khamenei vuole che il presidente iraniano uscente Rouhani definisca la road map per l’accordo sul nucleare prima di lasciare la poltrona». A dirlo è Ali Vaez, direttore del Progetto Iran dell’International Crisis Group, coinvolto nelle trattative per l’intesa del 2015.
Ci sarà una accelerazione sul negoziato? «Se Rouhani conclude, Raisi può iniziare "pulito": incasserebbe i dividendi della fine delle sanzioni, potendo però addossare al predecessore le colpe dei compromessi».
Quale Iran ci troveremo di fronte con Ebrahim Raisi? «I conservatori controllano tutti i gangli del potere e sono entrati in modalità consolidamento in vista di una fase storica: la successione alla Guida Suprema Khamenei».
Una modalità che esclude moderati e riformisti? «Attenzione: il fatto che il Consiglio dei Guardiani sia dovuto intervenire così pesantemente in favore di Raisi indica che l’appeal popolare dei riformatori spaventa».
E allora perché l’affluenza è stata tanto bassa? «Per l’aggressiva azione dei Guardiani nello squalificare i candidati riformisti. Poi hanno giocato un ruolo il Covid-19 e il senso generale di apatia politica dopo anni di ostruzionismo dei conservatori contro riforme politiche, economiche e sociali».
Che errori ha fatto Rouhani? «Troppe promesse e ha poi ha realizzato poco su tanti fronti. Ma ha dovuto fronteggiare la pandemia e una serie di disastri senza eguali, tra cui nominerei senz’altro Donald Trump».
Come saranno le relazioni dell’Iran di Raisi con l’Europa? «Per la Ue il costo politico di trattare con Raisi sarà alto: è nella sua lista nera per i suoi sordidi trascorsi in tema di diritti umani. Ma l’Europa non può scegliersi i suoi interlocutori e comunque ha accumulato un bel po’ di esperienza nel parlare con controparti impresentabili».
E con gli Usa di Joe Biden? «Vedi sopra. Se l’accordo nucleare sarà ripristinato, Washington potrà puntare a un’intesa più forte di quella precedente. Il problema è che i conservatori hanno più potere per far passare un accordo a Teheran, ma non è detto che saranno all’altezza di gestire una trattativa. Per questo sarà importante vedere chi sarà il ministro degli Esteri».
Cina e Russia ora avranno più spazio in Iran? «Cina e Russia hanno legami profondi con il deep State in Iran. In assenza dell’Occidente con o senza Raisi avrebbero mantenuto una posizione privilegiata».
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