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Antonio Donno
Israele/USA
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Stallo (apparente) nella situazione mediorientale 19/06/2021
Stallo (apparente) nella situazione mediorientale
Analisi di Antonio Donno

A destra: Joe Biden

La guerra tra Hamas e Israele non ha alterato i rapporti tra lo Stato ebraico e i paesi arabi sunniti che hanno sottoscritto gli Accordi di Abramo (Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan). L’atteggiamento di questi ultimi è stato di osservazione degli eventi e di attesa del cessate-il-fuoco. È comunque noto che essi considerano Hamas un pericoloso gruppo terroristico armato dall’Iran, nemico numero uno del mondo sunnita. Si tratta, complessivamente, di un risultato positivo per Israele che con quegli accordi ha isolato Hamas nel contesto mediorientale complessivamente inteso, dimostrando – se ce ne fosse ancora bisogno – che Hamas è una pedina dell’Iran, e anche del Qatar, vicino alla politica di Teheran. Cioè fa parte, con l’Iran e gli Hezbollah, del fronte terroristico nemico di Israele e del mondo sunnita. Gli Accordi di Abramo reggono alla prova dei fatti e il breve conflitto Hamas-Israele ne è stato una prova molto significativa. Anche l’Arabia Saudita, che non ha ufficialmente aderito agli Accordi di Abramo, ha mantenuto una posizione di sostanziale distacco verso gli eventi, consapevole della necessità di evitare condanne nei confronti di Israele e, di conseguenza, di sostegno, per quanto indiretto, nei confronti di Hamas, sostenuto dall’Iran sciita e quindi nemico giurato del mondo sunnita.

L’Amministrazione Biden ha apprezzato il silenzio dei paesi arabi sunniti di fronte all’aggressione di Hamas a Israele, ha giudicato indispensabile la reazione difensiva di Gerusalemme e si è impegnata, insieme all’Egitto, perché le due parti in conflitto accettassero il cessate-il-fuoco. È stato un atteggiamento, quello dell’Amministrazione americana, di approvazione del comportamento dei paesi arabi firmatari degli Accordi di Abramo. Non tutto il team di Biden ha, però, condiviso la posizione del Presidente e del Segretario di Stato di sostegno alla risposta difensiva di Israele, in quanto oggetto di un’aggressione terroristica. Per questo motivo, Biden ha immediatamente posto il problema del cessate-il-fuoco, perché la continuazione degli scontri avrebbe posto la sua Amministrazione in una difficile situazione politica, sia all’interno, sia nel contesto mediorientale, nel quale i negoziati con l’Iran hanno la precedenza su tutto il resto.

Breaking silence, Bennett rages at gov't, signals openness to 'change  coalition' | The Times of Israel
Naftali Bennett

Dal canto suo, la nuova Amministrazione israeliana, con a capo Naftali Bennett, ha dato dimostrazione di un atteggiamento molto fermo di fronte alle provocazioni di Hamas. Al lancio dei palloni incendiari, l’aviazione israeliana, per la prima volta in questo caso, ha risposto bombardando postazioni militari di Hamas. Nessuna risposta da parte del gruppo terroristico. L’intervento israeliano potrebbe avere un duplice significato: in primo luogo, che la parte del governo più propensa ad una risposta militare ad ogni tipo di provocazione si è fatta subito sentire; in secondo luogo, che gli abitanti di Israele più vicini al confine con Gaza vedono finalmente una risposta militare che soddisfi la loro esigenza di maggiore difesa dei propri beni.

La situazione è in una fase di stallo. Nessuno può prevedere quali saranno gli esiti dei negoziati indiretti tra Israele e Hamas. Nello stesso tempo, Hezbollah tace perché è controproducente agire contro Israele quando i negoziati tra Stati Uniti e Iran sul nucleare di Teheran sono ancora in una fase di avvio. L’Amministrazione Biden, ora impegnata nei confronti della Russia e della Cina sul fronte dell’Indo-Pacifico, ha accolto il conflitto tra Hamas e Israele con disappunto, poiché nell’agenda di Biden urge soprattutto ridefinire gli accordi con l’Iran. Forse, però, era un’idea troppo ottimistica quella di porre il Medio Oriente al quarto posto del programma americano in politica internazionale. La guerra tra Hamas e Israele lo ha dimostrato.

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