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La Stampa Rassegna Stampa
11.11.2002 Alla ricerca di una finta pace
La natura di una sete di pace troppo generica per essere convincente

Testata: La Stampa
Data: 11 novembre 2002
Pagina: 28
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Pacifisti a senso unico»
Riportiamo un articolo di Elena Loewenthal pubblicato su La Stampa di lunedì 11 novembre 2002 in seguito al Furum no-global di Firenze.
"La pace ha tutti i colori dell’arcobaleno, raccontavano migliaia di facce alla marcia di sabato a Firenze. L’immagine di un’armonia fatta per accostamento di tinte diverse e non per esclusione dovrebbe essere l’obiettivo d’ogni civiltà.
Ma accanto ai colori della varietà si sono visti in questi giorni anche i colori carbonizzati dentro roghi di carta e stoffa, e i colori di vernice sbandierati addosso a delle macchine scavatrici: manifesti visuali di una battaglia pacifista che ha avuto per bersagli ineludibili l’America e Israele.
Sulla natura di questa sete di pace troppo generica per essere convincente - dire «sono contro la guerra» è una banalità che impone un consenso di unanime conformismo - si sono interrogati politici e opinionisti, prima fra tutti Fiamma Nirenstein su questa pagina.
Meno riflessione ha invece imposto la ricorrenza della questione palestinese-israeliana, in questo contesto. In una pace piena e multicolore come quella invocata alla marcia di Firenze, accanto alle spennellate di vernice contro le inaccettabili demolizioni di case avrebbe dovuto esserci spazio, ad esempio, per una manifestazione di protesta contro l’ambasciata del paese di cui portava bandiera la nave Karin A., intercettata qualche mese fa con un portentoso carico di armi destinate ai territori palestinesi.
O qualche voce di richiamo all’esercizio della giustizia sotto le finestre della rappresentanza di un’autorità nazionale che consente un uso mediatico del linciaggio di «collaborazionisti». La pace multicolore resta un’utopia in un mondo costellato dai colori delle guerre, delle rivendicazioni nazionali e territoriali accartocciate sulla carta geografica e sui manuali di storia, dal Pakistan alla Cecenia, ai muti massacri in Algeria e in altre regioni dell’Africa.
E invece, il comune denominatore di questo pacifismo in marcia è stato un «viva la Palestina» che non è l’auspicio politico e morale di chi sa che il diritto dei palestinesi a uno stato è legittimo per loro e doveroso per il resto del mondo. Se così fosse, la prima istanza sarebbe una giustizia equanime disposta a guardare le ragioni degli uni e degli altri, e così facendo aiutarli di un passo a guardarsi a vicenda. Invece, l’universo no-global ha scelto la via dello slogan monocorde, strenuo ritornello in queste giornate fiorentine in cui al «no» all’America faceva eco quello ad Israele.
Il perché di un così largo e comodo margine a questa causa politica e di conflitto dentro un mondo in cui in fatto di conflitti purtroppo non c’è che l’imbarazzo della scelta, va forse cercato in una sorta di «fastidio» più o meno inconscio che genera lo stato d’Israele e che va ben oltre la constatazione dei suoi errori, ma s’annida invece nella sua ragione d’esistere e nella storia che si porta dietro, scomode per tutto il resto del mondo."
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