Un articolo contro Benjamin Netanyahu La disinformazione di Giorgio Ferrari
Testata: Avvenire Data: 15 giugno 2021 Pagina: 15 Autore: Giorgio Ferrari Titolo: «Quella profezia di Netanyahu (che è convinto di tornare)»
Riprendiamo oggi, 15/06/2020, da AVVENIRE, a pag.15, con il titolo "Quella profezia di Netanyahu (che è convinto di tornare)", il commento di Giorgio Ferrari.
"Netanyahu abbandona il proscenio con un ringhio": così Ferrari descrive il cambio di governo in Israele, cosa perfettamente naturale in ogni democrazia. L'occasione però porta Ferrari a scatenarsi contro l'ex premier - e attuale leader dell'opposizione - accusato di essere "testardo" e di aver commesso una serie di errori. Niente viene detto a proposito del successo di Israele di fronte all'emergenza sanitaria, gestita proprio da Netanyahu.
Ecco l'articolo:
Giorgio Ferrari
Benjamin Netanyahu
Ci hanno messo a dodici anni a farlo cadere. Ma per lui quell'applauso fragoroso della Knesset che sanciva il faticoso raggiungimento di una maggioranza in grado di cambiare volto e nome al governo israeliano è solo un beffardo arrivederci. Perché al di là ogni considerazione, una cosa è certa: Bibi Netanyahu, premier dal 2009 e più longevo timoniere della storia di Israele (15 anni in tutto, più ancora del fondatore Ben Gurion) è convinto di tornare. Al punto da proclamare nel fragore degli schiamazzi di fronte ai deputati - solo casuale la somiglianza per toni e contenuti con un altro ben più effimero leader caduto nella polvere come Donald Trump?-: «La caduta di questo governo arriverà con l'aiuto di Dio ben più in fretta di quanto pensiate!». Un vaticinio fin troppo facile. La nuova maggioranza affidata alle cure del sue ex pupillo Naftali Bennett si regge sul consenso di otto diverse formazioni politiche: centro, destra, sinistra, più gli esordienti arabi di Raam. Un patchwork quasi surreale, inverosimile, l'unico comunque che poteva sfaldare la vecchia maggioranza. L'uscita di scena del vecchio leone ha qualcosa di fatalmente epico e di teatrale assieme. Fratello di Yonatan, l'eroe di Entebbe, muscolare, cinico e insieme sottile continuatore di quella mai sopita dottrina che richiede un uomo forte e talvolta spietato per inseguire la pace, Netanyahu abbandona il proscenio con un ringhio: potrà il nuovo esecutivo resistere alle pressioni di Joe Biden? Cosa farà di fronte a un Iran che non rinuncia al proprio programma nucleare, anzi, lo sta incrementando? I vincitori gli rispondono con un sorriso: stia tranquillo, Israele non permetterò a Teheran di ottenere armi nucleari. Ma il testardo askenazita di origini polacche (nato però in Israele), spericolato commando della Guerra dello Yom Kippur, trafficone e pasticcione negli affari (le accuse di frode, corruzione e abuso d'ufficio lo attendono alla sbarra) e nella vita privata quanto essenziale e concreto nel maneggiare la diplomazia (sua è la sigla degli Accordi di Abramo con gli Emirati grazie all'intercessione di Trump), attende famelico il momento della rivincita. «Vi parlo in nome di milioni di elettori e intendo continuare la mia missione», dice. Dietro di sé si agitano due spettri, uno benevolo, l'altro sventurato. Il primo è la vittoriosa campagna contro il Covid, che ha messo in sicurezza la nazione prima fra tutte le democrazie mondiali. Il secondo è l'ultima guerra di Gaza. Una provocazione alla quale Bibi ha abboccato, convinto forse che un'emergenza militare avrebbe prolungato la sua sopravvivenza politica. Gliene è derivata la prevedibile condanna internazionale che ha finito per oscurare i non pochi meriti della sua lunga permanenza al potere. Una parte cospicua del suo elettorato approva la sorda esistenza circa la questione palestinese, finita nel sottoscala dei problemi grazie anche all'iniqua gerontocrazia di Fatah in Cisgiordania, alla quale Netanyahu ha affiancato il consueto stillicidio degli insediamenti. Naftali Bennet non gli sarà da meno: Gaza, i palestinesi, la dottrina Due Popoli Due Stati saranno sicuramente capitoli che una coalizione che più arcobaleno non era possibile immaginare finiranno per trascurare, pena la caduta prematura del governo. Ed è proprio su questo che conta il sulfureo Bibi, che a tutto è disposto a rinunciare tranne che pensare a sé come il salvatore della patria. Ora avrà tempo per riflettere su molti dei suoi errori. Spiando con corrusca malignità le trappole in cui Bennet rischierà di cadere non appena affioreranno i problemi, quelli veri.
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