Giordania-Arabia Saudita, una crisi che scuote la monarchia Commento di Francesca Caferri
Testata: La Repubblica Data: 15 giugno 2021 Pagina: 13 Autore: Francesca Caferri Titolo: «'Abdallah deve cadere'. Il piano dei sauditi per il golpe in Giordania»
Riprendiamo daREPUBBLICAdi oggi, 15/06/2021, a pag.13 con il titolo " 'Abdallah deve cadere'. Il piano dei sauditi per il golpe in Giordania", l'analisi di Francesca Caferri.
Francesca Caferri
Bassem Awadallah
Il Medio Oriente di Donald Trump e Jared Kushner sarà a processo nei prossimi giorni ad Amman, quando si aprirà ufficialmente il procedimento contro i principali imputati del tentativo di colpo di Stato che ad aprile ha scosso il regno hashemita. Sul banco degli imputati, con l’accusa di sedizione e di aver tentato di destabilizzare la monarchia, ci saranno Bassem Awadallah, ex capo della Corte reale ed ex ministro delle Finanze, e Sherif Hassan Zaid, un lontano parente di re Abdallah. Entrambi già agli arresti, rischiano trenta anni di carcere. Al loro fianco non ci sarà invece il terzo protagonista di questa storia, l’ex principe ereditario Hamza, fratellastro del re, ex principe ereditario, colui che secondo l’accusa avrebbe voluto prenderne il posto del sovrano: perdonato dopo un giuramento di sottomissione, è scomparso dalla vita pubblica e sarebbe ancora ai domiciliari. Il processo promette di non tenere con il fiato sospeso solo la Giordania, perché quella che le carte processuali — rese pubbliche domenica dai media di Stato — e ricostruzioni autorevoli come quella dell’editorialista David Ignatius sul Washington Post hanno svelato è una vera e propria ragnatela regionale con centro Amman e diramazioni che passano per Dubai, Riad e Gerusalemme, e arrivano fino a Washington. Secondo i documenti Hamza avrebbe autorizzato Zaid e Awadallah a tastare il terreno nelle capitali occidentali e a Riad in vista di una sua eventuale salita al trono. Una manovra in cui l’Arabia Saudita avrebbe avuto un ruolo di primo piano: dopo aver lasciato la corte hashemita, Awadallah è diventato uno dei principali consiglieri economici del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Il giorno dopo il suo arresto, ad Amman arrivò in visita d’urgenza il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhad: per portare solidarietà, ma anche per chiedere il rilascio di Awadallah.
Quel giorno il rifiuto del re fu secco e i documenti e le fonti citati dal Washingon Post spiegano bene il perché: con la sua aperta opposizione all’Accordo di Abramo che normalizzava le relazioni fra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, relegando la questione palestinese a un ruolo secondario nel nuovo Medio Oriente, Abdallah era diventato inviso all’amministrazione Trump: e in particolare al genero del presidente, Jared Kushner, architetto del piano. Il riconoscimento da parte degli americani di Israele come capitale dello Stato ebraico — e non più come città la cui sovranità appartiene in parte ai palestinesi, come stabilisce l’Onu — metteva in discussione il ruolo della monarchia hashemita come custode dei luoghi sacri ai musulmani nella città: e dunque la sua stessa legittimità. Da qui la dura opposizione giordana: opposizione che rendeva impossibile all’Arabia Saudita unirsi ufficialmente all’accordo, negando a Trump e Kushner il risultato più ambito e a Mbs una svolta che lo avrebbe fatto entrare nella Storia. Da qui la crescente ostilità americana e saudita nei confronti di Abdallah e il loro appoggio a ogni tentativo di indebolirlo: se a vincere le elezioni americane fosse stato Trump e non Biden, sostengono diversi esperti, anche la storia della Giordania forse sarebbe stata diversa. Così non è andata. Re Abdallah è in procinto di recarsi a Washington, primo leader mediorientale ad essere ricevuto alla Casa Bianca da Joe Biden: un chiaro segno del fatto che l’attuale Amministrazione americana ha preso le distanze dalle idee di Trump e Kushner e considera la Giordania un alleato importante. Ma quanto l’attacco che re Abdallah aveva definito «non il più pericoloso, ma il più doloroso, perché arrivato dall’interno della nostra casa» abbia scosso in profondità la monarchia è ormai chiaro. Il sovrano ha lanciato nei giorni scorsi un comitato incaricato di riformare il sistema politico giordano: dalla legge elettorale ai processi decisionali. Un tentativo di rispondere alle lamentele di chi — in particolare le tribù beduine, che sono una componente chiave del potere nel regno — negli ultimi anni si era sentito abbandonato da Amman e aveva visto nel principe Hassan una possibile alternativa ad Abdallah.
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