Thriller in Afghanistan Recensione di Giampaolo Cadalanu
Testata: La Repubblica Data: 11 giugno 2021 Pagina: 39 Autore: Giampaolo Cadalanu Titolo: «Professione reporter, l’Afghanistan come non l’avete mai letto»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/06/2021, a pag.39, con il titolo "Professione reporter, l’Afghanistan come non l’avete mai letto", la recensione di Giampaolo Cadalanu.
Giampaolo Cadalanu
La copertina (Rubbettino ed.)
Due giornalisti televisivi sequestrati, un interprete ucciso, un pulmino straziato in fondo a un campo minato, sullo sfondo dell’Hindu Kush: l’Afghanistan raccontato da Massimo de Angelis è quello che gli inviati di tutto il mondo vedono e vivono, un universo nascosto sotto i tradizionali pakol e dietro i burqa, che agli occhi stranieri permette appena qualche intuizione. È il paese ribelle ai conquistatori ma riottoso anche ai tentativi di comprensione frettolosi, quello che agli sguardi superficiali propone un velo, e poi un altro, e un altro ancora in mille dinamiche sedimentate nei secoli e ancora immutate. È un thriller di impianto classico L’uomo con il turbante , portato in libreria da Rubbettino, con i regolamentari colpi di scena e le angosce dei personaggi. È la polvere, il sangue, la guerra, il sacrificio, ma ancora di più, è un diario della professione, un racconto intriso di cento aneddoti dal mondo dell’informazione, dalle sue gioie e dalle sue miserie. L’autore riordina vicende proprie, da inviato del Telegiornale, e avventure raccontate fra colleghi, senza compiacersi a celebrare il cameratismo e senza nascondere le invidie professionali, usando insomma un registro freddo da giornalista, com’era giusto che fosse. Soprattutto, il libro di de Angelis sembra frutto di una decisione salutare: quella di trasformare le esperienze in un racconto, invece che propinarle ai lettori in prima persona, in un aspirante bestseller da ospite dei salotti tv, di quelli che in vetrina restano pochi mesi e poi spariscono irrimediabilmente dagli scaffali e dai cataloghi. La scelta narrativa restituisce ai ricordi spiccioli, quelli che tutti i giornalisti raccontano a una cena con gli amici, una legittimità di divulgazione che il protagonismo straripante non consente più. E allora l’Afghanistan acquista una concretezza reale, diventa leggibile per i cronisti e dunque lineare per i lettori. Non servono lezioni sugli intrecci fra gli interessi globali e le dinamiche locali, il Grande gioco di Hopkirk e di Kipling o le letture partigiane delle cancellerie. Per un momento anche i rapporti infernali fra i protagonisti del terrore, le lotte fra Talebani, Al Qaeda e Isis-Khorasan si fanno chiari, grazie al fermo immagine imposto dalla scelta narrativa. E i giochi di potere fra la redazione, la Farnesina e il mondo con le stellette si intrecciano in una semplicità che permette comprensione e garantisce la trasparenza impossibile nella realtà del mestiere quotidiano. Tra l’obbligo di raccontare e la preoccupazione di capire in fretta, la responsabilità verso gli spettatori o i lettori e il dovere di non ferire chi sta di fronte, oggetto della notizia: sono le ansie che in trasferta tutti condividono. La voglia di capire senza perdere di vista il mondo che sta intorno: così, riferendola nel concreto, si sfronda la mitologia frusta dell’inviato per celebrare quello che resta il mestiere più bello del mondo.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppre cliccare sulla e-mail sottostante