Riprendiamo da LIBERO di oggi, 10/09/2021, a pag. 18, con il titolo "Il genocidio armeno non è ancora terminato", l'intervista di Caterina Maniaci.
Antonia Arslan
Il capolavoro di Antonia Arslan (Rizzoli ed.)
Il monastero di Dadiyank, nel Nagomo Karabakh, è un miracolo di pietra e di colori. Già solo a pronunciare questi nomi si evoca un mondo favoloso, quasi fiabesco. La realtà è molto più dura. E qui che si conservano le reliquie di san Dadi, discepolo di san Giuda Taddeo, e colui che evangelizzò l'Armenia orientale, facendo così nascere la prima nazione cristiana al mondo. La regione in cui si trova il monastero è entrata sotto il controllo azero, dopo gli ultimi, violenti scontri tra Azerbaijan e Armenia appunto per il controllo del Nagorno Karabakh. Il monastero resterà così isolato, visibile agli occhi, ma difficile da raggiungere per la popolazione armena. Ora sembra che stiano circolando notizie su una supposta origine del monastero dovuta ad una principessa azera Un tentativo di cancellare o nascondere la radice storico-religiosa di questo luogo caro alla memoria e alla fede armena. «Qualcosa che si ripete una volta ancora, in quello che potremmo definire lo schema classico del progetto di genocidio: si procede prima con la distruzione fisica di un popolo, poi con quella dei suoi monumenti, infine si cancellano persino i nomi origina». Antonia Arslan, docente, saggista, critica, scrittrice che non ha bisogno di presentazioni, sa bene di cosa si tratta, conosce profondamente e ha vissuto, attraverso ciò che ha subito la sua famiglia, le dinamiche del genocidio, quello subito dal popolo armeno, e del negazionismo che inevitabilmente trascina con sé. Un mostro con tante teste, quello del negazionismo, che cavalieri intrepidi tentano di mozzare, ma che sembrano sempre ricrescere. Un'immagine di fantasia, che ci porta nel cuore di Ferrara. La città toma a essere, per due giorni, oggi e domani, 11 giugno, la casa di Orlando, Carlo Magno, Angelica, Ruggero, Bradamante, Rinaldo, Astolfo, e di molti altri, scrittori, poeti, pittori. Si trasforma infatti in capitale della fantasia grazie alla prima edizione di Fe.Fant il Festival della Fantasia, "firmata" dal poeta Davide Rondoni, direttore artistico, con la Fondazione Zanotti.
A lei domani sarà conferita la cittadinanza onoraria di Ferrara, in concomitanza dell'apertura del Festival. Un gesto di grande significato. «Certamente. E il riconoscimento di una vita spesa nella difesa della realtà del genocidio, oltre che nella passione per la letteratura. Infatti riceverò la cittadinanza onoraria di Ferrara come riconoscimento "ad una scrittrice coraggiosa, contro ogni negazionismo", come si legge nella motivazione del sindaco, Alan Fabbri. E tutto questo assume un valore ancora più rilevante, se si pensa a cosa è successo l'aprile scorso».
Vogliamo ricordarlo? «Il 24 aprile, in occasione del giorno del ricordo del genocidio degli armeni, il Teatro comunale di Ferrara ha organizzato uno spettacolo di letture e musica - quella del flauto armeno, il dudùk - con me, Vittorio Robiati Bendaud e il direttore del Comunale, Moni Ovadia. L'ambasciatore turco Murat Salim Esenli ha subito scritto a Fabbri, il sindaco di Ferrara, chiedendogli di "riconsiderare la posizione" sul tema e sull'evento, definendo il genocidio come una "questione di controversia storica tra turchi e armeni". E sottolineando che "qualsiasi iniziativa realizzata in paesi terzi, volta a interpretare la storia sulla base di opinioni o accuse unilaterali, è controproducente". Di qui la richiesta di riconsiderare "la sua posizione (del sindaco, ndr) riguardo all'ospitare un evento così unilaterale e modellato unicamente attorno alla narrativa armena"».
Ilsindaco però ha definito i contenuti della lettera «assolutamente inaccettabili», giusto? «Sì, infatti. E ha risposto idealmente con il riconoscimento della cittadinanza onoraria per me e per Tanek Akcam, lo storico turco, esule, che ha dimostrato il genocidio armeno con prove inoppugnabili, raccolte nel suo importante libro, Killing orders, da poco tradotto in italiano e pubblicato dall'editore Guerini e Associati».
Il mostro del negazionismo è destinato a non essere mai eliminato, o reso inoffensivo, dunque? Oppure una delle armi da usare potrebbe essere proprio la fantasia? «In realtà, questa è l'altra faccia di quello che è stato definito da Martina Corgnati e Ugo Volli "il genocidio infinito". Per far comprendere che nella nozione di genocidio è contenuta la sua stessa negazione. Io ho scritto saggi, articoli, prefazioni sull'argomento, attenendomi a precise fonti storiche, ai fatti registrati dalla cronaca, ma ho anche scritto dei romanzi, ho raccontato storie e personaggi che hanno colpito il cuore di molti lettori. Del resto, non considero la fantasia un semplice vagare fra le nuvole, ma un'adesione alla concretezza della realtà che poi permette di costruire nuovi mondi. Dove anche i mostri più crudeli della Storia possono essere sconfitti dall'amore per la verità e per la memoria».
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