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Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 09/06/2021, a pag.3 con il titolo "Questa figlia l'Italia non l'ha protetta", il commento di Antonella Mariani; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Non c'è nulla di più urgente della vita orribilmente calpestata di Saman Abbas, che voleva essere una ragazza italiana e ci chiedeva aiuto", il commento di Annalena Benini. Ecco gli articoli:
AVVENIRE - Antonella Mariani: "Questa figlia l'Italia non l'ha protetta" Abbiamo fatto tutto ciò che era possibile per proteggere il giusto desiderio di libertà di Saman? In piena coscienza, possiamo affermare che la 18enne ha trovato nello Stato italiano il mentore per sfuggire a un futuro che non era il suo, il difensore da una spaventosa arretratezza e crudeltà familiare? Saman era coraggiosa - terribile parlare di lei al passato, ma purtroppo il finale della storia sembra ormai scontato. Un anno fa si era allontanata volontariamente dalla famiglia, si era rivolta ai servizi sociali e da novembre 2020 era affidata alla protezione degli operatori di una casa famiglia. Lì aveva compiuto 18 anni. L’11 aprile aveva voluto andare a riprendersi i documenti nella cascina delle campagne di Novellara dove tutti - genitori, zii, cugini - le erano nemici. Dalle cronache di questi giorni si apprende che gli operatori l'avevano sconsigliata di bussare ancora a quella porta. E dunque perché è stata lasciata sola? Saman era coraggiosa, non voleva arrendersi. E difatti il 22 aprile si era rivolta ai carabinieri, riferendo che la famiglia tratteneva i suoi documenti, il foglio di via per la libertà. I militari l'avevano presa sul serio e il 5 maggio sono andati alla cascina con l'obiettivo di perquisire i locali e rendere alla ragazza ciò che era suo. Troppo tardi. La giovane era già scomparsa, di lei non si hanno notizie dalla notte tra il 30 aprile e il primo maggio. Ieri il sottosegretario all'Interno Ivan Scalfarotto ha affermato: «Le ragazze devono denunciare come aveva fatto Saman, bisogna che sappiano che non sono sole e che l'Italia è un Paese dove ci si può integrare». Giusto, denunciare è d'obbligo, anzi, è l'unica strada per sfuggire da situazioni di costrizione e di pericolo. Ma come suonano beffarde, queste parole. La 18enne di Novellara aveva segnalato, aveva cercato protezione nello Stato. Allora, se non vogliamo chiamare in causa solo un ineluttabile destino a cui la condannava una famiglia legata a tradizioni inaccettabili, che non devono trovare spazio in nessun Paese del mondo, dobbiamo chiederci quale ingranaggio non abbia funzionato con Saman, quale lungaggine, quale superficialità, quale trascuratezza? Forse i tempi per ottenere il mandato di perquisizione? Forse il fatto che nessuno può costringere una maggiorenne, seppure minacciata di morte, a farsi accompagnare a casa dei propri aguzzini? Forse l'isolamento imposto dalla pandemia che ha attutito i segnali premonitori della tragedia e li ha resi più confusi? L'inchiesta aperta dal Tribunale di Reggio Emilia risponderà - auspicabilmente - anche a queste domande. Sarebbe anche importante chiarire perché un altro campanello d'allarme non sia suonato nel 2017, quando Saman ha lasciato la scuola a 14 anni, nonostante l'obbligo scolastico fissato a 15 e nonostante fosse una studentessa brillante e dotata. Cosa è accaduto in quei tre anni di isolamento? Davvero nessuno avrebbe dovuto chiedersi dov'era finita quella giovane e brava alunna perduta? Nell'attesa di risposte, è legittimo chiederci se la scomparsa di Saman rappresenti anche una sconfitta per lo Stato italiano, per le istituzioni che la giovane sentiva anche sue e a cui aveva chiesto protezione. I processi di integrazione sono complessi, le tradizioni lente da scardinare, soprattutto in comunità chiuse e fortemente identitarie. Ma esistono le leggi: il Codice Rosso contro la violenza sulle donne nel 2019 ha introdotto pene fino a 5 anni di carcere per chi obbliga qualcuno a contrarre matrimonio, con aggravanti se le vittime sono minorenni. Dunque, gli strumenti ci sono e in effetti è giusto ricordare che le cronache registrano di frequente l'arresto di padri-padroni a cui viene contestato questo reato. La stessa sindaca di Novellara, Elena Carletti, ha documentato numerosi interventi nel suo territorio per prevenire matrimoni forzati, anche grazie a segnalazioni partite dalla scuola. Ma questa volta non è accaduto. Dobbiamo pur dircelo: l'Italia non è riuscita a proteggere Saman e il suo sogno di libertà.
IL FOGLIO - Annalena Benini: "Non c'è nulla di più urgente della vita orribilmente calpestata di Saman Abbas, che voleva essere una ragazza italiana e ci chiedeva aiuto"
Non esiste, oggi, niente di più urgente dei diritti e della vita già orribilmente calpestata di Saman Abbas, che viveva a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, e che aveva chiesto aiuto, con fiducia, a tutti noi. Agli assistenti sociali, prima, e poi, poco prima di essere uccisa, ai carabinieri, sfuggendo per qualche minuto al controllo di sua madre. Non esiste niente di più urgente del diritto di una ragazza, appena maggiorenne, a vivere secondo i suoi desideri e la sua libertà. Il diritto di studiare (mentre il padre le impediva di andare a scuola), il diritto di non sposare un cugino, il diritto di non tornare in Pakistan, il diritto di non dormire sul marciapiede per punizione, il diritto di non essere picchiata, segregata, umiliata, spaventata e uccisa in nome di una ferocia misogina travestita da religione. Il diritto di Saman e di tutte le altre, ma anche il diritto del fratello minore di Saman, che ha avuto il coraggio di parlare e di raccontare tutto il dolore e l'impotenza e la paura solo quando ha capito che suo zio e suo padre erano troppo lontani per minacciarlo ancora, solo quando è stato incoraggiato a usare il suo cervello invece di questa tradizione armata che odia le donne fino ad annientarle, che non ammette disubbidienza alla regola: non sei niente e mi appartieni. Non esiste più nemmeno il femminismo, se non si occupa di Saman Abbas e del suo coraggioso, , limpido e solitario tentativo di salvarsi e di vivere la vita che ha scoperto negli occhi e nelle giornate delle ragazze e dei ragazzi di questo paese. Saman voleva questa vita e ne aveva diritto. Il padre come ultima cosa le ha chiesto: vuoi sposare qualcuno?, prima di consegnarla nelle mani dell'assassino. Forse se Saman avesse risposto: sì, se gli avesse fatto credere di voler diventare proprietà di un uomo, ovviamente musulmano, non l'avrebbero uccisa. Ma lei ha detto no. Voleva andare via e basta. Aveva in mente la scuola, i disegni, aveva in mente l'idea ineliminabile di essere una persona, un individuo, una ragazza italiana. Una volta che hai quella idea in testa, non torni indietro. E allora vuoi il tuo passaporto, vai dai carabinieri, insisti, cerchi aiuto ma non chiedi la protezione di un uomo. Però speri che tua madre ti ami lo stesso, e segretamente ti ammiri per la forza che lei non ha avuto. Speri che questo Paese che ti ha mostrato che cos'è la libertà, che ti ha incendiato la testa di desideri, faccia di tutto per sostenerti. Il vicepresidente dei giovani pachistani in Italia, studente universitario di 23 anni, ha detto in un'intervista alla Repubblica che invece molti di loro sono schiacciati tra queste famiglie retrograde e l'indifferenza della società italiana, che non fa niente, che li considera comunque estranei, anche alla seconda generazione. Si sentono soli, perché non c'è una concreta volontà di integrazione. Nessuno ha spiegato a Saman che poteva ottenere i suoi documenti senza tornare a casa a lottare contro suo padre. E nessuno di noi ha sentito la battaglia di Saman come primaria, fondamentale, urgentissima, politica. Qualcosa per cui mobilitarsi. Non siamo più in tempo per lei, ma non possiamo avere paura di indignarci per lei, né timore di considerare il suo futuro il nostro futuro. Saman Abbas aveva scelto, contro la volontà di suo padre, di essere una ragazza italiana. Di cos'altro abbiamo bisogno?
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