Saman e il silenzio delle femministe
Commento di Deborah Fait
Continuo a provare un forte senso di nausea mentre ascolto e leggo le notizie sulla vicenda della povera Saman, consegnata dai genitori a uno zio perché la uccidesse. Aveva diciotto anni e voleva vivere come le sue coetanee italiane. Solita storia, solito schifo, solita sharia, solita irritante e vigliacca difesa dell'islam ("questo non è l'islam, religione di pace"), solito silenzio indecente delle cosiddette femministe, quelle sempre pronte a schierarsi con i movimenti più razzisti come il #MeToo e il BLM. Il mondo ipocrita dei buonisti si è inginocchiato all'unisono quando è stato ucciso George Floyd, un nero americano, spacciatore di droga, dalla polizia statunitense. Anche nel parlamento italiano c'è stato un inginocchiamento generale, e anche durante le partite di calcio, negli studi televisivi, tutti piombavano in ginocchio a chiedere perdono per la cattiveria dell'uomo bianco. Tutto questo non è accaduto per l'assassinio di una ragazza italiana di origine pakistana ammazzata, come molte altre, dalla sua stessa famiglia, da chi le aveva dato la vita per farla schiava, avvolta nel hijab, prima dei genitori e poi di un marito vecchio scelto dal padre. Nessun giornale le ha dedicato la prima pagina. Nessuno si è inginocchiato per Saman, bella, con la voglia di vivere i suoi diciott'anni. "La mamma e Saman erano sempre chiuse in casa. Noi vedevamo solo il padre e il fratello" hanno dichiarato alcuni vicini di casa. Ma l'islam non tiene schiave le donne, cianciano i sinistrorsi. C'è solo una donna che ha il coraggio di dire la verità e che io rispetto, si chiama Squad Sbai, ex deputata, scrittrice e rappresentante delle donne marocchine in Italia. L'unica che racconta della situazione della donna islamica, in Italia e altrove. Infatti la invitano raramente negli studi televisivi. Nelle stesse ore in cui si cerca il corpo della povera Saman, un altro ragazzo è morto, suicida, a causa del razzismo che lo stritolava, così ha scritto ed è subito scattata la colpa del solito povero uomo bianco colpevole di ogni bruttura! Le prime pagine dei giornali si sono riempite delle foto di questo bellissimo ragazzo di origine etiope, Visin Seid, adottato a 7 anni da genitori italiani. I telegiornali parlano di razzismo, di sofferenze, le immagini del suo viso sono come un dito puntato contro chi legge, naturalmente se trattasi di viso pallido quindi cattivo, spietato e razzista. Adesso la strumentalizzazione di queste ultime ore si sta calmando perché sono intervenuti, indignati, i genitori a dire che il razzismo non c'entra, che la lettera lasciata da Visin Seid era stata scritta più di tre anni fa, che non era un messaggio d'addio ma solo considerazioni di un adolescente che, come tanti giovanissimi, vedeva intorno a sé solo problemi anche se coccolato dalla famiglia e ammirato da tutti come promessa del calcio. Quale è l'adolescente senza problemi? Chi è grasso, chi troppo magro, chi si vede brutto e brufoloso, chi è gay, chi non sa nemmeno cos'è e chi è. Chi soffre di bullismo, purtroppo, ma non era il caso di Visin Seid che era bello e apprezzato nel mondo sportivo. Niente da fare, questa ossessione anti-bianca perpetrata dagli stessi visi pallidi contro se stessi per sentirsi più giusti e buoni, generosi e aperti, soprattutto di sinistra, si manifesta ormai in tutti i campi, dalla letteratura, al teatro che fa diventare nera la bionda eterea Ofelia, persino ai fumetti per bambini dove tutto è diventato razzismo, anche la bellissima storia dell'elefantino Dumbo, perciò va cambiato. Saman, ammazzata dalla barbarie di una sottocultura che non si può nominare senza sentirsi apostrofare con disprezzo di razzismo, sarà condannata all'oblio, come tante altre sue coetanee e correligionarie sacrificate perché non si deve e non si può criticare l'islam e le femministe, da brave e obbedienti ragazze, rispettano questa regola. Visin Seid suicida e vergognosamente usato, per accusare la società italiana di razzismo rischia di diventare l'icona che non avrebbe voluto essere. Spero che i genitori salvino la sua memoria dal cannibalismo di alcuni giornalisti. Visin Seid merita rispetto e amore, come la sua coetanea Saman, due giovani e belle vite spezzate, Saman per la crudeltà e la barbarie di chi doveva solo amarla e Visin Seid che, per qualche motivo a noi sconosciuto, aveva trasformato la gioia di vivere in disperazione. Che la loro memoria sia una benedizione.
Deborah Fait
"Gerusalemme, capitale unica e indivisibile dello Stato di Israele"