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La Repubblica Rassegna Stampa
05.06.2021 Il manoscritto ritrovato di Lia Levi bambina nella Roma occupata
Le pagine del 'romanzo' scritto a 12 anni

Testata: La Repubblica
Data: 05 giugno 2021
Pagina: 30
Autore: Lia Levi
Titolo: «Il romanzo su Roma perduto nel cassetto»

Riprendiamo da REPUBBLICA del 04/06/2021, a pag.30, con il titolo 'Il romanzo su Roma perduto nel cassetto' a Lia Levi.

4 giugno 1944, Lia Levi. Il romanzo su Roma perduto nel cassetto - la  Repubblica
Lia Levi

Il fatto è andato così. Il 25 aprile scorso sono stata chiamata a partecipare (su piattaforma) a una tavola rotonda sulla Liberazione. Roma, si sa, era stata liberata il 4 giugno del 1944, quindi un anno prima e con altre modalità rispetto a quell’aprile ’45 diventato Simbolo. Ma eravamo certo sul "tema". Di questo evento ero stata partecipe entusiasta anche se da ragazzina. Ma possiedo qualcosa in più da condividere con il pubblico: un diario scritto da mia madre nei giorni che vanno dal 16 ottobre [1943] al 5 giugno [1944]. Ho pensato che ascoltare una testimonianza vergata a caldo poche ore dopo l’avvenimento potesse avere una risonanza particolare. E così è stato. Solo che… Solo che occorre fare un piccolo passo indietro. Quel documento manoscritto, nel tempo, era stato poi "passato su computer" da un famigliare di buona volontà. L’originale, affidato a me dopo la scomparsa di mia madre, era ormai solo diventato un prezioso oggetto ben riposto in uno speciale cassetto. Nessuno per anni aveva più aperto quel cassetto. Per consultare il testo valeva la copia tecnologica. Fino a questo 25 aprile e alla mia iniziativa di mostrare a un pubblico quello vero .

4 giugno 1944, Lia Levi. Il romanzo su Roma perduto nel cassetto - la  Repubblica
La prima pagina del manoscritto ritrovato

L’antico quaderno si presenta come lo ricordavo: racchiuso all’interno di una copertina di pelle scura con sbalzate figure di Romani antichi. Ma nel maneggiarlo, chissà perché, l’occhio mi cade su un mucchietto di fogli bianco-beige infilati nel risvolto della foderina. Nessuno aveva mai fatto caso a quei pezzetti in più che potevano sembrare un avanzo cartaceo. Sono io ora che lo sto estraendo da quella involontaria sepoltura. Ed ecco che mi trovo in mano un volumetto di doppi fogli tenuti insieme da un cordoncino color viola. "Lia Levi" c’è scritto in mezzo sulla prima riga del primo foglio, poi sotto "DAL PIANTO AL SORRISO", e sotto ancora "Breve storia di nove mesi di dominazione tedesca". Lo riconosco all’istante. Sì, è un piccolo romanzo che io, a dodici anni, pochi mesi dopo la liberazione di Roma, avevo cominciato a scrivere per poi consegnarlo come regalo ai miei genitori per non so quale occasione. Lo ricordavo benissimo quel mio lavoro durato mesi. Ricordavo anche che, quando ne avevo fatto dono ai miei, ci ero rimasta male perché, certo, mi avevano ringraziato e anche con calore, ma tutto era finito lì. Niente commenti sul testo. Niente "Brava! Vedrai, da grande farai la scrittrice!". Era una famiglia nordica la mia, "Figlio mio, tu diventerai Re" non le si addiceva. È stato per questo che ho sempre pensato che, finita la lettura, avessero lasciato svanire il mio "regalo" nelle vaghe onde del tempo. E così nel nulla è restato, fino all’oggi.

4 giugno 1944, Lia Levi. Il romanzo su Roma perduto nel cassetto - la  Repubblica

E siamo arrivati alla sorpresa, anzi, alla doppia sorpresa, visto che avevo trovato qualcosa che non cercavo. Era da quarant’anni nel mio cassetto e io non lo sapevo. Ma se ricordavo le tappe di quella mia lontana fatica, niente mi era rimasto in mente del suo contenuto. Dentro di me era restata la convinzione di aver raccontato una nostra storia di famiglia legata a guerra e persecuzioni, insomma, una specie di prequel giovanile di quello che sarebbe stato un giorno il mio primo libro, Una bambina e basta. Avevo sbagliato. Man mano che scorrevo quel vecchio-nuovo libretto, l’emozione che mi aveva sopraffatta fino a un momento prima era stata di colpo spazzata via da un crescente stupore. Questo scritto non era affatto incentrato su me, i genitori e le mie sorelle più piccole. Nessun modello tratto dalle nostre vicissitudini. Lì c’era solo fiction. La famiglia romanzata di cui si narra ha un cognome diverso, i figli sono due, maschio e femmina, c’è la fuga, la spia, la pensione in città, il padre arrestato, un miracoloso ritorno che trova scenario proprio durante una cerimonia al Tempio. Dove le ha pescate la "scrittrice" queste vicende "altre"? E qui per me il discorso si fa difficile. Difficile nel senso che non sono sicura di essere in grado di trasmettere quanto è accaduto dentro di me. Mi sono accorta che nei momenti in cui ho condiviso questo accadimento con persone a cui sono più legata, accennando a qualche tratto della trama, mi riferisco all’autrice indicandola come "lei". Per capirci, non dicevo «Io ho scritto…», ma «Lei ha scritto…». E in modo automatico e del tutto inconsapevole ho continuato così chiunque fosse l’interlocutore. Ci ho riflettuto a lungo. Io, a quella bambina cresciuta al tempo in cui la Storia picchiava forte sui destini umani, l’ho già detto, ho dedicato un primo libro. E anche tanti altri. Ma ho scritto da adulta, era un’adulta che ricordava e ri-costruiva.

Questa "altra" bambina che tira fuori per conto suo un racconto del tutto diverso, chi è? È come se, pirandellianamente, il personaggio si fosse staccato dalla scena e avesse cominciato a correre in modo autonomo. E come se, all’improvviso, io avessi perso certe coordinate conquistate con tanta fatica interiore. Elucubrazioni di sapore letterario? Certo che ci ho pensato, non si è letterati se non ci si fustiga un po’. Ma è altrettanto vero e concreto che io la fusione con quella lì non riesco proprio a farla. Questo non significa rifiuto, ostilità, anzi. Dopo lo sbigottimento e un fugace accenno di angoscia, già sentivo vibrare lo scampanellio della scoperta. E assolta in partenza dal sospetto di autocompiacimento (si trattava di un’altra), mi sono sentita felicemente libera di formulare un mio sereno giudizio su questa operina infantile.

E allora, scorriamolo un momento insieme questo DAL PIANTO AL SORRISO. Una prima osservazione: la ragazzina, seguendo inconsapevoli canoni da "esperta in editoria", ha pensato bene di vergare al fondo dell’ultima pagina un "finito di scrivere il 26-12-44". La stesura di questo libretto deve quindi essere iniziata poco dopo la conquista di Roma da parte alleata. Di fughe e deportazioni, certo, era stata testimone diretta, ma le tragiche storie individuali del dopo non potevano ancora aver trovato il tempo dell’ascolto. Quel terrore, però, doveva essere bastato a lasciare la sua impronta infuocata. Il libro c’è. E, a parte qualche naturale ingenuità e una manciata di virgole distribuite con troppa generosità, diciamolo, lascia scorrere una trama che si destreggia con snodi giusti e quasi esperti, e sale di intensità man mano che sale il pericolo. E i personaggi? Ci sono eccome e ben delineati, i personaggi: la spia, la padrona della pensione "futile ma generosa nella sua essenza", gli altri pensionanti quasi tutti clandestini…

4 giugno 1944, Lia Levi. Il romanzo su Roma perduto nel cassetto - la  Repubblica
L'ultima pagina del manoscritto

A questo punto però la speciale licenza che mi sono scherzosamente concessa deve pur finire. Sia chiaro, nessuna dimensione universale in questo ritrovamento. Solo una modesta scoperta di un documento foriero di emozione personale e forse di qualche curiosità più a largo raggio. Ma c’è una cosa sull’emotivo-personale che vorrei ancora aggiungere. Lo confesso: sono stati quei pochi e candidi accenni alla Religione dei Padri ad avermi più commossa. Siamo laici noi, orgogliosi del nostro libero pensare, ma ogni tanto, a strappi, torna a bussarci dentro l’eco di qualche lontana preghiera d’infanzia. "Lei" è riuscita a regalarmi anche uno di questi attimi di struggente malinconia.

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