Testata: La Repubblica Data: 30 maggio 2021 Pagina: 13 Autore: Vincenzo Nigro Titolo: «Il declino di Fatah tra i palestinesi: 'Ora vogliamo votare'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 30/05/2021, a pag. 13, con il titolo "Il declino di Fatah tra i palestinesi: 'Ora vogliamo votare' " l'analisi di Vincenzo Nigro.
Vincenzo Nigro
Abu Mazen
Il presidente peggiora. Quando pochi giorni fa ha ricevuto il segretario di Stato Antony Blinken alla Muqata, nel palazzo del governo che fu di Yasser Arafat, il leader palestinese Abu Mazen ha iniziato così: “Nel nome di Allah, il misericordioso e compassionevole, vogliamo salutare il segretario Clinton che ci fa visita in questi giorni…”. Si sente la voce di qualcuno dello staff che corregge “Blinken…”. E allora Abu Mazen “scusate, Blinken che ci fa visita in questi giorni”. E Blinken. “Molto meglio così!”. Risate. Lo scambio è finito sul sito del Dipartimento di Stato, fra i transcript ufficiali. Mentre sull’account Twitter di un oppositore politico sono finite le ingiurie, le male parole, i vaffa che in preda all’ira Abu Mazen aveva lanciato contro tutto il mondo in una seduta del Consiglio generale di Fatah. “Vaffa… alla Cina, alla Russia, agli Stati Uniti, vadano a farsi fottere...”. L’audio è del 19 aprile, e continua con altre farneticazioni varie. «Sorridiamo, cosa dobbiamo fare? Io ho ancora rispetto per un uomo di 85 anni, ma ormai è chiaro a tutti: questa dirigenza palestinese deve andarsene, deve cambiare, deve cambiare profondamente perché altrimenti il popolo palestinese continuerà a soffrire». Chi parla è Nasser Al Kidwa, 68 anni. Ex ambasciatore all’Onu, ex vice di Kofi Annan nella mediazione Onu per la Siria, Nasser è anche nipote di Yasser Arafat, il fondatore dell’Olp. È figlio di una sorella, il che gli assegna un’aura di rispettabilità qui a Ramallah, nella Cisgiordania in cui la Anp di Abu Mazen ancora controlla quasi tutto. Non sono tanto le condizioni fisiche (ma anche quelle) a preoccupare, ma la paralisi politica che da anni viene imputata ad Abu Mazen.
Terroristi di Hamas a Gaza
A gennaio scorso il presidente, finalmente, dopo 15 anni aveva annunciato elezioni politiche e presidenziali. I palestinesi per la prima volta dopo 15 anni avrebbero votato, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza governata da Hamas. Lui si sarebbe ripresentato presidente alla testa di Fatah, il partito che fu di Arafat. Nasser Al Kidwa prese la sua decisione: annunciò che anche lui si sarebbe presentato, con un nuovo partito, “Libertà”, assieme a Marwan Barghouti, il leggendario leader dell’ala militare di Fatah da anni in carcere in Israele, condannato a 4 ergastoli. «Subito qualcuno mi ha minacciato », dice Nasser, «poi Abu Mazen mi ha espulso da Fatah, il partito che io ho ancora nel cuore. Quello che è accaduto dalla mia espulsione, fino al congelamento delle elezioni voluto da Abu Mazen conferma che non c’è alternativa: bisogna andare al voto perché sono l’unico modo per cambiare la nostra leadership ». Perché infatti il 29 aprile, con la scusa che Israele ostacolava il voto dei palestinesi a Gerusalemme Est, Abu Mazen ha sospeso le elezioni. Hamas aveva presentato la sua lista, “Gerusalemme è la nostra promessa”, un nome che è tutto un programma. E da Fatah assieme alla lista “Libertà” di Kidwa/Barghouti, era nato anche “Futuro” il partito di Mohammed Dahlan. L’uomo è l’ex capo della Sicurezza di Fatah a Gaza, messo in fuga dalla Stri scia da Hamas e poi espulso dallo stesso Abu Mazen, di cui aveva messo in dubbio l’autorità. Da anni Dahlan vive ad Abu Dhabi, è consigliere dell’emiro Mohammed Bin Zayed. Con i soldi dei suoi sostenitori emiratini, Dahlan fa politica in Palestina, finanziando ad esempio la sopravvivenza di almeno 5.000 famiglie e clan di Gaza, dove era nato. Tutti voti sicuri.
Fatah, insomma si è spaccato in 3 tronconi, prima di elezioni che nessuno sa più quando si terranno. Abeer Alwahaidi, 52 anni, è stata una combattente del movimento. Una feddayn. Nel 1992 Israele la arrestò perché aveva guidato una cellula militare del movimento, aveva compiuto alcune azioni contro Israele. Aveva 23 anni, rimase in carcere solo 5 anni perché nel 1997, dopo gli accordi di Oslo, tutte le donne palestinesi prigioniere vennero rilasciate. Anche lei ha abbandonato Fatah/ Abu Mazen, e si è schierata con “Libertà”. Abeer è una donna molto, molto energica e attiva, è in continuo movimento nelle città, nei villaggi della Cisgiordania: «Io credo ci siano due modi per provare ad avere rispetto per i diritti dei palestinesi: la lotta armata oppure un vero processo politico. Ho escluso la lotta armata. Ma la politica ha bisogno di elezioni, ha bisogno che il popolo scelga i suoi rappresentanti e li sostenga nella battaglia politica». In questi anni di pace fredda con Israele, in cui la polizia della Anp ha collaborato con Israele tanto da essere accusata di essere al servizio del “nemico”, Ramallah è riuscita a sopravvivere economicamente. La popolazione rimane in condizioni difficilissime, sotto l’occupazione israeliana e con un reddito medio in caduta libera. Ma la cittadina è ben tenuta, società e banche in prima linea riescono a mantenersi in vita. Maher Masri è il presidente della “Palestinian Islamic Bank”, la seconda banca dell’Autorità. È stato ministro dell’Economia per 9 anni, dal 1996 al 2005. «Abbiamo 12 uffici a Gaza, conosciamo benissimo la situazione della Striscia, ed è catastrofica. Parliamo con i nostri clienti, l’assedio israeliano sta soffocando l’economia, la Striscia sta diventando un’enorme area sovvenzionata da finanziatori stranieri, qualsiasi iniziativa autonoma è quasi impossibile». Masri è un signore che con Fatah ha vissuto il meglio della sua carriera. Anche lui, senza attaccare o nominare nessuno, dice che adesso è il momento di un cambio. «I palestinesi vogliono le elezioni perché vogliono il cambiamento. Un processo politico per il passaggio di poteri è possibile, è fattibile. Dobbiamo percorrere quella strada». I palestinesi di Ramallah ci credono, sperano che la fine del lungo inverno di Abu Mazen sia vicina, che ci sia un cambiamento. Cosa potrà portare al futuro dei loro rapporti con Israele, quella sarebbe un’altra storia.
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