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La Stampa Rassegna Stampa
27.05.2021 Il bacio di Papa Francesco
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 27 maggio 2021
Pagina: 27
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Quel bacio del Papa alla donna del lager»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/05/2021, a pag.27, con il titolo "Quel bacio del Papa alla donna del lager" il commento di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

Papa Francesco e il bacio al numero tatuato sul braccio della ex bambina  ebrea sopravvissuta al Dottor Mengele - Il Mattino.it
Il bacio di Papa Francesco

Un uomo si piega, accoglie con delicatezza la mano di una donna e le stampa sul dorso un bacio leggero, a fior di labbra. Un gesto di cavalleria d'altri tempi, che oggi come oggi ci lascia spiazzate, pur se lusingate, nei rari casi in cui succede. Ma se l'uomo è Papa Francesco e la donna è Lidia Maksymowicz, una signora polacca di origini bielorusse sopravvissuta al lager, il gesto è tutt'altra cosa. E poi il bacio non approda sulla mano, no, ma sul numero infame che Lidia ha tatuato sul braccio. E subito dopo quel bacio, Lidia butta le braccia al collo del Papa e quasi se lo stringe a sé. Tutto si svolge nel giro di pochi, intensi secondi, ma è come se la brevità del momento lasciasse un immenso spazio bianco da dedicare alla ricerca del significato, ai pensieri e alle domande che il gesto desta in tutti noi. La prima cosa che ci resta impressa, di quella scena, è la dolcezza. Non c'è nulla di brusco né di drastico. E come se ci dicesse: badate, questo gesto non pretende nulla. Non vuole imporre una svolta alla storia, né raccontare qualcosa che nessuno aveva mai sentito prima d'ora. Non è, insomma, un gesto che nasce per diventare simbolico, pubblico. Né tanto meno esige nulla da Lidia, e men che meno ci sembra una richiesta di perdono. Perché poi. C'è qualcosa di profondamente intimo, in quello scambio fatto di pochissime e inascoltabili parole. Perché? Perché quel gesto del Papa è prima di tutto e soprattutto un atto di gentilezza. Intesa non come cortesia formale o rispetto di convenzioni — nulla a che fare con il galante baciamano ormai quasi estinto, ovviamente. Ci vuole del tempo, ci vuole impegno d'ascolto `visivo" per cogliere l'essenza di quel gesto: cioè l'atto di gentilezza gratuita che il capo della Chiesa cattolica, rappresentante del divino in terra, riserva a un'anziana donna che tanti anni fa è stata in quell'inenarrabile inferno di dolore e ingiustizia. Ma, sia ben inteso, è proprio nella sua natura di gentilezza che sta tutta la portata storica di quel momento. Che non è simbolo bensì lezione di umanità — in senso morale e intellettuale. Perché quella gentilezza, quella disposizione d'animo che prende corpo nel piegarsi, cogliere la mano e stampare un bacio leggero sul dorso di quel braccio, là dove sono ancora impressi seppure sfocati dal tempo i numeri dell'orrore, è il presupposto necessario per accostarsi a quella esperienza. Nessuno di noi, nessuno che non sia stato in quell'abisso, potrà mai capire o anche soltanto provare a capire che cosa hanno passato quelle donne e quegli uomini, che cosa hanno sentito, vissuto, temuto, sperato. La Shoah resta un buco nero della storia, perché è inconcepibile, incomprensibile in modo assoluto. Non possiamo capire, né tantomeno immedesimarci. Quel che ci resta da fate, a tanti annidi distanza eppure ancora ben lontani dall'aver introiettato quel capitolo della storia nella nostra coscienza di italiani, europei e membri del genere umano, è usare proprio quella gentilezza fi, del Papa. Indispensabile per ascoltare, magari nel silenzio di un muto abbraccio, la voce dei sopravvissuti ancora fra noi. Non meno indispensabile per fare propria quella storia, riconoscerla come parte di uno scomodo, intollerabile ma comune passato. Ecco, il gesto del Papa racconta tutto questo. Non pretende di essere un pilastro nella storia dei rapporti fra ebrei e cristiani, né tantomeno di costituire un punto fermo nella revisione storica di quel recente passato. È, semplicemente e grandiosamente, un atto di quella gentilezza indispensabile per essere e restare umani di fronte a un dolore inenarrabile, a un'esperienza come quella della Shoah che non c'è modo di condividere né di comprendere, eppure tutti ci riguarda.

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