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La Repubblica Rassegna Stampa
24.05.2021 Gaza, la guerra è davvero finita?
Cronaca di Vincenzo Nigro

Testata: La Repubblica
Data: 24 maggio 2021
Pagina: 20
Autore: Vincenzo Nigro
Titolo: «A Gaza con l’Onu: 'Vano ricostruire se non c’è accordo Israele-Hamas'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/05/2021, a pag. 20, con il titolo "A Gaza con l’Onu: 'Vano ricostruire se non c’è accordo Israele-Hamas' " l'analisi di Vincenzo Nigro.

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Vincenzo Nigro

Gaza, il Consiglio di sicurezza dell'Onu chiede il pieno rispetto della  tregua - Rai News

L’Onu vuole ricostruire Gaza. Ma vuole anche che il gioco cambi, che riparta un negoziato politico fra Israele e i palestinesi. «Non dobbiamo soltanto ricostruire Gaza per l’ennesima volta. Altrimenti sarebbe ancora una follia: Gaza viene bombardata, poi si ricostruisce, viene bombardata ancora, e poi si ricostruisce ancora…». Philippe Lazzarini è da un anno capo dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i palestinesi. Da tre giorni il diplomatico svizzero è rientrato a Gaza per capire lo stato della Striscia dopo la guerra degli 11 giorni. E soprattutto quali sono le necessità delle città e della popolazione. Ha terminato una conferenza stampa, ora parla con Repubblica al centro della base Onu, sotto un grande tendone azzurro, il colore delle Nazioni Unite. «Gaza è stata riportata indietro ancora una volta di anni. È un altro episodio insensato di violenza estrema, che ha ucciso civili, distrutto infrastrutture». E poi ripete la parte politicamente più dura del suo messaggio: «Senza affrontare le cause profonde del conflitto, l’occupazione, i profughi, di cui abbiamo avuto un forte segnale a Gerusalemme Est e Sheikh Jarrah, senza discutere il blocco di Gaza e il continuo ciclo di violenza, questa tregua sarà solo un’illusione fino alla prossima guerra». A Gaza la popolazione è ancora inebriata dalla fine della guerra. Le strade sono piene a ogni ora, i negozi, le bancarelle, il lungomare. «Arriverà in tutti quanti noi il momento della depressione, quando anche chi ha la casa ancora in piedi si accorgerà che siamo ancora in prigione, qui a Gaza», dice Alì Al Masri, un piccolo imprenditore. I danni sono importanti, si aggiungono all’eterna catastrofe delle strutture, della sanità, delle scuole. Oltre 300 palazzi distrutti, fra cui mille abitazioni. Altre centinaia danneggiati. Centomila sfollati sono nelle scuole o altrove, e 600 mila studenti dovrebbero tornare a scuola. Sei ospedali e un centro medico per le emergenze danneggiati, 800mila persone non hanno acqua potabile. Tutti i “gazawi” sono anche analisti politici, e nel futuro dei giochi palestinesi per Gaza vedono solo nebbia. «Cambia tutto nel rapporto fra i movimenti palestinesi», dice ancora Alì, «Abu Mazen e il suo Fatah sono sempre più in difficoltà, per la prima volta è stata Hamas a rispondere all’appello dei palestinesi di Gerusalemme Est. Sono loro i difensori della nostra capitale, della moschea di Al Aqsa». Ieri sulla Spianata delle moschee è andata in scena un’altra puntata dell’eterna contesa fra ebrei e palestinesi. Vogliono il controllo di pietre, muri, edifici che sono sacri a entrambi. La polizia israeliana al mattino presto ha aperto cancello laterale di quello che gli ebrei chiamano il “Monte del tempio” per fare entrare un piccolo gruppo di fedeli. I palestinesi hanno protestato, e dal governo del moderato presidente Abu Mazen è arrivato un attacco al governo di Bibi Netanyahu: «Ancora una volta è stata una brutale e irresponsabile provocazione dei sentimenti dei musulmani». A Gaza tutti, anche i laici, i più liberali, o quelli vicini al Fatah di Abu Mazen, aggiungono che a questo punto Hamas si è anche assegnata un posto al tavolo dei grandi, quello dove si negozierà per il futuro. «La scintilla è poco conosciuta: sono stati i poliziotti israeliani che sono entrati nella moschea di Al Aqsa il 10 maggio per staccare i fili degli altoparlanti del mufti», dice il professor Mkaihar Abu Sada, che insegna scienze politiche all’università di Al Azhar a Gaza, quella fondata da Yasser Arafat. «In basso al muro del pianto stava per parlare il presidente israeliano Rivlin, e i poliziotti non volevano che la voce del mufti gli desse fastidio». Da allora tutto è precipitato. Gli “esplosivi”, il rancore che crescev a fra i palestinesi da mesi, sono esplosi come una santabarbara. A che punto siamo? Uno dei risultati politici è che da giorni gli inviati del presidente egiziano Al Sisi fanno la spola, entrano a Gaza e volano a Gerusalemme per consolidare ancora meglio la tregua. L’Egitto ha fatto crescere il suo ruolo rapidamente: ha un rapporto di intesa profonda con Hamas. Il movimento negli ultimi anni ha progressivamente abbandonato (perlomeno a parole) la sua ideologia di appartenenza ai Fratelli musulmani. Il Cairo è il paese arabo che confina per un terzo con Gaza, al quale Israele non può che ricorrere di continuo in questi casi, con la supervisione degli Stati Uniti di Joe Biden. Vedremo come andranno avanti nei loro passi. Ma come dice l’uomo dell’Onu, per ricostruire Gaza bisognerà ricostruire anche un nuovo “grande gioco” del Medio Oriente.

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