Israele non ha intenzione di lasciarsi distruggere dai suoi nemici Andrea's Version, di Andrea Marcenaro, commento di Micol Flammini
Testata: Il Foglio Data: 14 maggio 2021 Pagina: 1 Autore: Andrea Marcenaro - Micol Flammini Titolo: «Andrea's Version - Il pompiere»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/05/2021, a pag.1 "Andrea's Version" di Andrea Marcenaro; con il titolo "Il pompiere", l'analisi di Micol Flammini.
Ecco gli articoli:
Andrea Marcenaro: "Andrea's Version"
Andrea Marcenaro
Israele ha 73 anni. Altro ripassino. Nel 1948 Ben Gurion fu il primo, non andava bene. Moshe Sharett nemmeno: del Mapai pure lui. Levi Eshkol in coalizione con i laburisti. Al diavolo Eshkol. Golda Meir, laburista, donna e progressista. Pessima. Yitzhak Rabin, ottimo da morto, però bollato in vita come guerrafondaio (era il 1974). Toccò a Begin, Likud, destra: manco fosse stato il diavolo. Di Shamir, nemmeno a parlarne. Altri tre anni con Rabin. E niente. Dopo Rabin, Shimon Peres, socialista. Lo maledissero. Trentasei mesi di Netanyahu: praticamente un nazista. Ehud Barak, altro socialista, offrì ad Arafat il 98 per cento della Cisgiordania, Gaza, più il settore arabo di Gerusalemme come capitale di un nuovo stato palestinese. Partì l'intifada. Sharon, già battezzato il porco, cedette Gaza senza contropartite. Volarono verso Israele, tanto per interloquire, migliaia di missili. Ehud Olmert non andava bene. Di nuovo Netanyahu, il quale tuttora resiste. Come li giravi li giravi, comunque disastri. Antisemitismo? Certo che no. Perché erano o sono ebrei israeliani? Sembrerebbe da escludere. Ma un fatto resta certo: in 73 anni, non in due o tre anni, dicasi in 73, mai un esquimese. Perché?
Micol Flammini: "Il pompiere"
Micol Flammini
Roma. Le violenze nelle città israeliane tra arabi ed ebrei vanno avanti e il conflitto di Gaza si è trasferito anche nelle vie di Lod, Acri, Haifa, Bat Yam e Tiberiade. Ci sono anche esempi contrari, comunità che da anni cercano di convivere e a forza di provarci ci sono anche riuscite, ma sono le meno raccontate in questi giorni di scontri, come nei giorni di tranquillità. Sono soprattutto i residenti arabi di queste comunità che nelle ultime elezioni avevano sperato di trovare finalmente qualcuno che potesse rappresentarli: Mansour Abbas, leader del partito islamista Ra'am che dopo il voto si è prima reso disponibile a un governo con Benjamin Netanyahu e poi a uno con Yair Lapid. Queste comunità, che da anni lavorano per l'integrazione, in questi giorni speravano di sentire da parte di Abbas una presa di posizione contro Hamas, invece il leader di Ra'am si è limitato a condannare la violenza di tutte e due le parti. Ma questo non ha messo da parte il suo desiderio di trasformarsi nel deus ex machina della politica israeliana. Lunedì, dopo l'inizio degli scontri, aveva annullato una riunione con Yair Lapid e Naftali Bennett- che ieri ha escluso la possibilità di formare un governo con Ra'ame ed è uscito dalla coalizione anti Netanyahu - e sospeso le trattative per la formazione di un nuovo governo. Ma mercoledì, in un'intervista alla radio Galatz, ha detto che i negoziati andranno avanti non appena lo scontro finirà. E se alcuni retroscena avevano raccontato che il tempo della chiusura del conflitto sarebbe stato determinante per le trattative, Abbas ha detto che non c'è nessuna questione di tempo, gli scontri potranno finire tra due giorni o due settimane, lui è comunque pronto a riprendere gli accordi. "Non mi arrendo, ha detto Abbas, forse questi scontri rendono più necessaria una cooperazione". Il conflitto cresce ma la politica va per la sua strada, che è molto diversa da quella delle violenze. E' molto diversa dalla retorica dei giovani arabi che combattono, che si ribellano a Israele. Nelle dinamiche politiche, i partiti che li rappresentano fanno i loro calcoli. Molti arabi israeliani alle ultime elezioni non hanno votato per la Lista comune, una coalizione di partiti arabi, perché stanchi del fatto che la Lista più che rappresentare loro, facesse gli interessi di Hamas e dell'Autorità palestinese. Mansour Abbas, che ha fatto una campagna parlando di compromessi nonostante il suo partito sia una costola dei Fratelli musulmani, ha sorpreso tutti entrando in Parlamento con quattro seggi. Gli è stata data fiducia per le sue promesse e perché ha parlato a un elettorato che vuole sentirsi parte dello stato di Israele. Lui ha intercettato tutto questo, come anni fa aveva intercettato che avrebbe dovuto spostare il suo partito più su questioni economiche che su quelle religiose. Adesso Abbas punta al suo obiettivo: far parte della politica, contare, essere l'ago della bilancia a cui i futuri governi dovranno essere legati. Gli arabi israeliani che speravano fosse un pompiere, la persona giusta per spegnere gli odi fomentati dal terrorismo, per ricostruire, per tagliare una volta per tutte i rapporti con Hamas, in questi giorni si sono accorti che potrebbe non esserlo. Anche se non sarà il pompiere che tutti si aspettavano, è un politico determinato, anche spregiudicato, che vede i conflitti e anziché soffiarci sopra li ignora: guarda oltre, fa i suoi calcoli, e nonostante le critiche dentro al suo partito non manchino, pensa al momento in cui ricominceranno le trattative.
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