Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 09/05/2021, a pag.14 con il titolo "Al Maliki: 'Gerusalemme per noi palestinesi viene prima di tutto' ", l'intervista di Francesca Caferri.
La spiegazione dell'annullamento delle elezioni palestinesi è semplice: Abu Mazen sa che le perderebbe e dovrebbe rinunciare al potere che gestisce in modo autoritario e dispotico da 15 anni, con un mandato scaduto 11 anni fa.
Il Manifesto titola oggi a pagina 3 "L'UE si defila, gli Usa stavolta no: 'Fermare gli sgomberi' ", con esplicita critica alle decisioni del governo israeliano a Gerusalemme. Dove sta andando l'America guidata dal presidente Biden?
Ecco l'articolo:
Francesca Caferri
Riyad al Maliki
Un voto rimandato, non cancellato, in attesa che il governo israeliano si prenda la responsabilità di collaborare all’organizzazione delle elezioni a Gerusalemme Est, dove da due giorni si susseguono gli scontri: 200 palestinesi e 17 poliziotti feriti venerdì sera sulla Spianata delle Moschee. Una riconciliazione – quella fra Fatah di cui è uno dei membri più influenti – e Hamas che passerà attraverso un governo di unità nazionale. E una nuova Amministrazione americana da cui si aspetta un cambio di direzione, ma con la quale sarà necessario il supporto europeo. È una conversazione ampia quella che il ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese Riyad al Maliki tiene con Repubblica in occasione della visita a Roma.
Ministro, partiamo dalle elezioni: le prime da 15 anni, la data prevista era il 22 maggio e le avete rimandate. Una scelta che ha deluso i Paesi europei: può spiegarcene le ragioni? «Siamo noi i primi ad essere delusi. La comunità internazionale ci aveva promesso che ci avrebbe assistito per far sì che Gerusalemme Est, che secondo le leggi internazionali è territorio occupato, partecipasse al voto. Ci aspettavamo che Israele garantisse lo svolgimento del voto come in passato: non è accaduto. E dagli israeliani non abbiamo avuto né garanzie sulla sicurezza né risposte. La questione delle elezioni si è ridotta a una battaglia per Gerusalemme: avremmo potuto votare, ma solo senza Gerusalemme. Per noi Gerusalemme viene prima di tutto, non potevamo accettare».
Non teme che questo rinvio possa danneggiare la legittimità del governo palestinese? «Nessuno ci ha costretto a firmare il decreto per le elezioni. Lo abbiamo deciso noi. Abbiamo scelto una data, ma non è sacra: ce ne sarà un’altra non appena avremo la certezza che si potrà votare a Gerusalemme Est. Ci serve l’aiuto dell’Europa».
Per cosa? «Non c’è pressione su Israele senza gli Stati Uniti: chiediamo dunque all’Europa di mettere la questione nella loro agenda. Ho incontrato i ministri degli Esteri dell’Unione in questi giorni, qui a Roma il ministro Di Maio: tutti mi hanno risposto che parleranno con Antony Blinken. A Mosca, il ministro Lavrov mi ha promesso che il tema sarà nell’agenda dell’incontro fra Putin e Biden che è allo studio».
Come è cambiato il rapporto con gli Stati Uniti di Biden? «Con questa Amministrazione vediamo la possibilità di riprendere un dialogo: sia Biden che Harris in campagna elettorale si sono impegnati a far ripartire il dialogo, ma finora non ci sono state novità. Capisco che non abbiano fretta, ma noi siamo preoccupati: fra un anno e mezzo ci saranno le elezioni di midterm e se i repubblicani prenderanno il controllo del Congresso sarà tutto più difficile. Non abbiamo quattro anni, ma solo uno e mezzo».
La spaccatura fra Fatah e Hamas è uno dei fattori che indeboliscono i palestinesi: siete pronti a una riconciliazione? «Abbiamo provato più volte dal 2006, ma il dialogo è sempre fallito. Avevamo deciso di usare le elezioni come strada per la riconciliazione: il rinvio danneggia anche questo. Il presidente Abbas alla luce del rinvio ha offerto la formazione di un governo di unità nazionale».
La questione palestinese è stata per decenni centrale per il mondo arabo. Gli Accordi di Abramo hanno cambiato questo scenario: non temete di essere lasciati indietro? «C’è da poco stato un meeting straordinario della Lega araba in cui tutte le nazioni partecipanti, incluse quelle firmatarie degli Accordi, hanno ribadito la centralità della questione palestinese. Non siamo preoccupati per questo».
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