Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/05/2021, a pag. 15, con il titolo 'Così abbiamo fatto incontrare a Bagdad iraniani e sauditi' l'intervista di Vincenzo Nigro.
Vincenzo Nigro
Fuad Hussein
Fuad Hussein, vicepremier e ministro degli Esteri dell’Iraq, ha appena chiuso una visita di 4 giorni in Italia. In questa intervista a Repubblica parla innanzitutto della difficoltà del suo Paese, stretto nel rapporto fra Iran e Stati Uniti. E conferma ufficialmente che il governo dell’Iraq ha avuto un ruolo decisivo nel promuovere i negoziati segreti che sono iniziati a Bagdad fra Iran e Arabia Saudita.
Ministro, innanzitutto qual è la situazione nel suo Paese? L’Isis è ancora presente in Iraq? «Il Daesh è ancora in Iraq, ed è in Siria: anche se la sua presenza non è comparabile con quella del 2014, c’è il potenziale per nuove minacce del terrorismo al nostro Paese e alla regione. Per questo nei miei viaggi in Europa ho sensibilizzato tutti gli alleati dell’Iraq perché mantengano una forte presenza degli addestratori Nato per il nostro esercito. Abbiamo un bisogno disperato di addestramento: ho detto a Bruxelles proprio così al segretario generale della Nato. E in questo impegno il ruolo dell’Italia è molto importante e diventerà centrale dal 2023».
Tutti nella regione seguono con ansia questa fase di negoziato fra Iran e Stati Uniti: trattano di nucleare, ma discutono anche del futuro della vostra regione. «Lo stato dell’equilibrio fra Iran e Usa, il loro conflitto ha effetti diretti su di noi. Parte del loro conflitto si riflette sulla società irachena. A volte si affrontano direttamente sul terreno iracheno: noi diventiamo vittime di questa dinamica. Il conflitto fra Usa e Iran ci danneggia, è doloroso dirlo ma lo scontro si riflette sulla società, sulla vita del mio Paese».
Molti vi chiedono di scegliere una parte oppure l’altra. «Noi non dobbiamo scegliere, noi dobbiamo allontanare il conflitto del nostro territorio e l’unico modo per farlo è lavorare perché la politica e il dialogo prevalgano sulla violenza. Con la nuova amministrazione americana è stato possibile avviare una nuova dinamica politica. L’Iran è un vicino importante, decisivo per l’Iraq: per le relazioni economiche, sociali culturali, religiose. Ma allo stesso tempo vogliamo che gli Stati Uniti rimangano un nostro partner strategico».
Ministro, il governo dell’Iraq ha avuto il merito di far partire un negoziato riservato fra Arabia Saudita e Iran. Responsabili dell’intelligence iraniana e saudita si sono incontrati proprio a Bagdad. «La domanda che ci facevamo da mesi nel governo iracheno era questa: perché l’Iraq deve pagare per uno scontro regionale così generalizzato? Perché l’Iraq è al centro di questo scontro? Quando analizziamo i conflitti nella società irachena vediamo che quasi tutti hanno una ragione esterna. E allora per risolvere i conflitti all’interno dell’Iraq dobbiamo affrontare i problemi alla radice, nella regione. Abbiamo iniziato a viaggiare nelle capitali. Sono andato a Teheran molte volte, ho avuto incontri con il mio collega ministro Zarif, ma anche con altre personalità della loro leadership. Con il primo ministro Al Khadimi siamo volati a Riad, a bbiamo incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman e lui ha dato il suo appoggio al dialogo. Adesso i colloqui sono iniziati: speriamo che siano produttivi e che il livello possa salire».
Lei ha avuto un ruolo decisivo in questo negoziato: dicono che a casa sua si siano incontrati i capi dell’intelligence di Riad e Teheran… «Dicono tante cose, anche che ho fatto incontrare il capo iraniano e quello della Cia… io ho fatto solo il mio lavoro».
Ministro, quali sono invece gli ostacoli per ricostruire la Siria? «Il primo è che bisogna fermare la guerra. Non puoi ricostruire la Siria se non si ferma la guerra. La maniera giusta è solo una: avviare un dialogo diretto fra Stati Uniti e Russia. Siamo onesti: loro sono i principali giocatori nel Paese. I russi hanno truppe in Siria, anche gli americani, entrambi hanno una presenza politica notevole. Russia e America devono decidere di discutere e fermare questa guerra. L’Iraq ha bisogno di una Siria stabile e pacificata».
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante