Governo in Israele, ancora niente da fare Commento di Sharon Nizza
Testata: La Repubblica Data: 04 maggio 2021 Pagina: 1 Autore: Sharon Nizza Titolo: «Crisi in Israele, fallisce l'intesa di governo tra Netanyahu e Bennett»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA online di oggi, 04/05/2021, il commento di Sharon Nizza dal titolo "Crisi in Israele, fallisce l'intesa di governo tra Netanyahu e Bennett".
A destra: Naftali Bennett, Benjamin Netanyahu
Sharon Nizza
A poco più di 24 ore dalla scadenza del mandato affidato a Benjamin Netanyahu per formare un nuovo governo, in Israele non si intravede ancora la luce alla fine del tunnel dell'instabilità politica che accompagna il Paese da oltre due anni. Per tre giorni, i negoziati tra le fazioni politiche hanno lasciato lo spazio agli attacchi reciproci sulla responsabilità del disastro del monte Meron, in cui giovedì notte 45 fedeli ebrei sono rimasti uccisi schiacciati dalla calca nel corso di una celebrazione religiosa affollata oltre misura. Trascorsa la giornata di lutto nazionale convocata ieri, oggi Netanyahu ha giocato quella che sembra la sua ultima carta, offrendo a Naftali Bennett - suo ex capo di gabinetto, ora rivale a destra - di essere il primo a guidare un governo di rotazione congiunto. "Bennett ha detto che è possibile formare un governo di destra se mi faccio da parte per un anno? Ecco, mi faccio da parte. Ora è il suo turno", ha dichiarato Netanyahu in un messaggio diffuso sui social media. Bennett ha risposto che non è lui il responsabile dello stallo: "Ho già espresso la mia preferenza per un governo di destra, siamo disposti a considerare cose che non avremmo pensato in passato. Ma non siamo noi l'ostacolo. Io non chiedo di essere premier, chiedo un governo per evitare quinte elezioni". Il problema infatti sussiste, perché anche con Bennett dentro, i numeri non ci sono. Uno dietro l'altro, i leader dei partiti si sono affrettati a chiarire alle telecamere che l'offerta non ha generato gli effetti desiderati. Nessun game changer, lo stallo rimane identico a quello di 28 giorni fa, quando Netanyahu ha ricevuto per primo l'incarico di formare il governo dopo le quarte elezioni in due anni: non aveva allora i 61 consensi necessari a formare una maggioranza, né li ha ora.
Il tentativo di negoziati con Mansour Abbas Per 28 giorni, Netanyahu ha cercato in tutti i modi di formare una coalizione di destra con il sostegno della lista islamista Ra'am di Mansour Abbas, che nei mesi scorsi era fuoriuscito dalla Lista Araba Unita promuovendo un approccio pragmatico di cooperazione con qualsiasi governo, anche di destra, infrangendo un tabù che per anni ha visto i partiti arabi scegliere i banchi dell'opposizione. Netanyahu è riuscito a sdoganare Abbas tra gli ambienti della destra, compresa Yemina di Bennett: con "siamo disposti a considerare cose che non avremmo pensato in passato", Bennett si riferisce a questa svolta, suggellata da un incontro avvenuto nei giorni scorsi con il leader di Ra'am. Bennett ha preparato questa svolta per mesi, separando la sua destra nazionalista dagli elementi più oltranzisti per risultare digeribile anche alla variegata coalizione del "tutto tranne Bibi", che ora potrebbe prendere in mano le redini del gioco. L'ostacolo vero al piano di Netanyahu lo pongono i 6 parlamentari di "Sionismo Religioso" di Betzalel Smotrich - i fratelli rinnegati da Bennett - che ribadiscono che non sosterranno mai un governo con l'appoggio di un partito arabo che, a loro dire, "sostiene il terrorismo".
Il sostegno del partito sionista-religioso del rabbino Zvi Tau L'unica differenza rispetto a 28 giorni fa giunge sorprendentemente dalla frangia più estrema della coalizione di Smotrich: il rabbino Zvi Tau, mentore della fazione apertamente omofoba Noam, che ha un esponente in lista, oggi ha dato l'imprimatur a una coalizione con Mansour Abbas. Tra il partito islamista e quello sionista-religioso (che esprime la fazione più oltranzista del movimento degli insediamenti ebraici) c'è infatti molta sintonia su valori quali "la sacralità del nucleo familiare". Con l'esponente di Noam, Netanyahu arriva a ottenere 60 consensi. Entro la mezzanotte di martedì spera di trovare un disertore - l'ultimo voto di cui avrebbe bisogno - ma finora ovunque volga, è terra bruciata: Gantz, Lapid, Saar, Lieberman, sono tutti ex alleati che hanno giurato di non sedersi in un governo guidato da Netanyahu, per via del processo in corso che vede il premier in carica imputato per corruzione.
Incarico a Bennet o a Lapid Nell'intricata situazione che si è venuta a creare, due scenari sembrano ora i più plausibili. Il primo, che a nuove consultazioni con il presidente, il Likud raccomandi Bennett, che potrebbe riuscire a trainare i sei parlamentari di Gideon Saar, ex ministro che pure ha fatto voto di non sedere sotto Netanyahu (ma non è da escludere "con" Netanyahu). Oppure, che l'incarico venga affidato a Yair Lapid, che con 17 seggi ottenuti alle urne, è il secondo partito (con uno stacco di ben 13 seggi dai 30 ottenuti da Netanyahu). Anche lui avrebbe 28 giorni per un'impresa che risulta altrettanto ardua, c'è chi dice una "mission impossible": far convivere la disomogenea compagine che forma il campo delle opposizioni a Netanyahu, che si estende dalle destre di Lieberman, Saar e Bennett fino alla sinistra di Meretz e della Lista Araba Unita. Ma Netanyahu non sembra ancora disposto a separarsi dal titolo di premier, che detiene ininterrottamente dal 2009. Da qui a poche ore - non sarebbe la prima volta - potrebbe tirare fuori un nuovo, inaspettato coniglio dal cappello: questa volta, secondo le indiscrezioni, potrebbe assumere le sembianze di una legge passata in extremis per instaurare l'elezione diretta del primo ministro, nell'eventualità che il Paese marci verso quinte elezioni in poco più di due anni.