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'Frank Lowy. Oltre il limite. Una vita'
Recensione di Diego Gabutti Jill Margo, Frank Lowy. Oltre il limite. Una vita, Moretti & Vitali 2021, pp. 408, 25,00 euro A un capo della storia, Auschwitz-Birkenau, e prima ancora le antiche comunità ebraiche ungheresi; all’altro capo, la società Westfield, una multinazionale dei centri commerciali; nel mezzo la nascita d’Israele, la guerra arabo-israeliana del 1948-49, la lenta accettazione della Shoah nella sua dimensione apocalittica. Più un panegirico del suo protagonista che una semplice biografia, la storia di Frank Lowy – dall’Ungheria battuta dagli sterminatori d’ebrei delle Einsatzgruppen naziste all’Australia delle grandi opportunità – è non di meno una perfetta sintesi del Novecento.
Com’è sempre stato, anche se mai nelle proporzioni del XX secolo, quando le furie della volontà di potenza hanno letteralmente sconvolto ogni singola vita da un capo all’altro del pianeta, non c’è che un modo di raccontare la storia universale: scendendo nei particolari, lasciando parlare le storie personali. Se questo è un uomo di Primo Levi, I racconti della Kolyma di Varlam Šalamov, il Diario di Anna Frank, Arcipelago Gulag di Solženicyn, Omaggio alla Catalogna di George Orwell, Giorni maledetti di Bunin, Testimoniare fino all’ultimo di Victor Klemperer: sono gli autori di queste memorie i soli storici affidabili del secolo troppo affrettatamente detto «breve». Storici senza fronzoli accademici, nemici per definizione delle Weltanschauung, proprio per questo i memorialisti – grandi e piccoli –sono testimoni preziosi. Niente astrazioni, zero storicismi, nessun appello a «strutture» e «sovrastrutture», ma fatti nudi e crudi: scariche di fucileria, la morte per gas e nel gelo siberiano, bambini sterminati senza un battito di ciglia, colpi alla nuca, stupri, torture, lavoro forzato, «subumani» in marcia verso i forni.
Anche la storia di Frank Lowy scritta dalla giornalista australiana Jill Margo è parte di questo racconto storico corale. Vero e terribile, senza bibliografia in appendice, niente note a piè di pagine, la biografia di Lowry, al pari delle altre testimonianze novecentesche, non è soltanto storia viva, storia vissuta. Storia d’una vita di successo, e spesa bene, Frank Lowy. Oltre il limite è anche un racconto dell’orrore: le retate nelle strade di Bucarest, gli omicidi per capriccio, il sadismo istituzionalizzato degli apparati totalitari. Soltanto il Novecento, tra tutte le epoche storiche, è riuscito a trasformare in esperienza quotidiana i racconti dell’orrore. Sono Dracula il vampiro, Jekill e Hyde, Dorian Gray, Jack lo Squartatore e i Marziani di Wells a fare da apripista alle polizie cannibali di Hitler e Stalin, alle SS e alla GPU. È in balia di questi orrori gotici che si sono dipanate le vite di chi è vissuto tra le due guerre mondiali e poi sotto i regimi comunisti e fascisti tollerati (e promossi) in tempi di guerra fredda. Ebreo dell’Est europeo, Frank Lowy è uno di loro, marchiato a fuoco dai traumi della persecuzione. Bambino nella Budapest occupata dai cacciatori d’ebrei, sopravvissuto per miracolo (non c’era semplicemente altro modo di sopravvivere) alla deportazione e allo sterminio, poi soldato nelle prime guerre per Israele e infine emigrato in Australia, dove avevano trovato rifugio già alcuni suoi parenti come lui scampati ai rastrellamenti delle Einsatzgruppen naziste, Lowy ha dedicato una parte della propria vita alla costruzione della sua società commerciale, un’impresa multinazionale (e multimiliardaria) oggi diffusa in mezzo mondo, da Melbourne a Londra, da Varsavia a Milano e Rio. Un’altra parte della sua vita, negli ultimi trent’anni, Lowy l’ha votata a tenere viva la memoria dei 400.000 ebrei ungheresi assassinati dagli hitleriani. È riuscito, fortunosamente, a fare luce sugli ultimi, terrificanti giorni di suo padre ad Auschwitz. Ha restaurato il cimitero ebraico del villaggio ungherese in cui è nato, dove ha fatto erigere anche una colonna in ricordo degli ebrei deportati e sterminati. Ma naturalmente è nella memoria che si erigono i monumenti più duraturi. Nella memoria e (ribadiamolo) nei memoriali.
Perché ci sono due tipi di libri sul Novecento, ed è utile saperli distinguere. Da una parte Anna Frank, Se questo è un uomo e Arcipelago Gulag. Dall’altra i libri di cui parla Czesław Miłosz nel suo La mente prigioniera: «Verso la metà del ventesimo secolo gli abitanti di molti paesi europei presero coscienza, in modo per lo più spiacevole, che libri di filosofia complessi e troppo difficili per il comune mortale avevano una diretta influenza sul loro destino». Da questi libri dobbiamo imparare a tenerci lontani.
Diego Gabutti |
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