Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/05/2021, a pag.VI, con il titolo "Affaire Sarah Halimi: la cannabis e la licenza di uccidere un'ebrea", l'articolo tratto dalla Révue des Deux Mondes; con il titolo 'Cosa sarebbe successo se un bianco avesse defenestrato un'immigrata maliana?', l'articolo tratto dal Figaro.
Ecco gli articoli:
"Affaire Sarah Halimi: la cannabis e la licenza di uccidere un'ebrea"
Sarah Halimi
Emettendo la sua sentenza sull'affaire Sarah Halimi, la donna torturata e in seguito defenestrata nel 2017 dal suo vicino di casa Kobili Traoré al grido di 'Allahu Akbar', la Corte di cassazione ha seguìto i verdetti dati in prima e seconda istanza: ha cioè confermato l'irresponsabilità penale di Kobili Traoré che avrebbe agito sotto effetto di un `delirio acuto', legato al consumo di cannabis" scrive Valérie Toranian. "La Corte di cassazione si è rifiutata di portare l'affaire davanti al tribunale, come reclamato dalle parti civili. L'assassino di Sarah Halimi non verrà processato. L'affaire è chiuso da un punto di vista giudiziario, ma continua a suscitare reazioni accese, perché se è vero che la Corte di cassazione `è' il diritto, si può per questo considerare che è stata fatta giustizia? E anche se il diritto dovesse condurre a una conferma dell'irresponsabilità di Kobili Traoré perché privarsi di un processo che avrebbe fatto luce sull'affaire e permesso l'analisi contraddittoria delle expertise? Ricordiamo i fatti: Kobili Traoré, trent'anni, disoccupato, condannato una ventina di volte per uso e traffico di stupefacenti, rapine, violenze, oltraggio e ribellione, ha sequestrato una famiglia, poi, attraverso la terrazza, è penetrato nella casa di Sarah Halimi, pensionata di confessione ebraica di 65 anni, e l'ha riempita di pugni e calci per un'ora prima di gettarla nel vuoto al grido di `Allahu Akbar'. Durante il suo crimine, Traoré recitava dei versetti del Corano e chiamava la sua vittima `sheitan' (parola utilizzata per indicare il `demone' in arabo). Ragion per cui il crimine sarà alla fine riconosciuto come antisemita, anche se all'inizio non c'era l'intenzione di riconoscerlo come tale. Kobili Traoré ha una fedina penale sporca: ad ogni suo precedente reato, non è mai stato riconosciuto irresponsabile. Non è un 'pazzo', non soffre di alcuna patologia psichiatrica conosciuta, ma gli esperti hanno ritenuto che un consumo cronico di cannabis per quindici anni consecutivi avrebbe potuto annullare la capacità di discernimento e produrre un delirio nel momento dell'atto. Il fatto che questo delirio sia dovuto a un consumo volontario di cannabis e non a una vera patologia psichiatrica non viene preso in considerazione. Se si ritiene che la vostra mente sia annebbiata al momento dei fatti, non siete responsabili. Che siate un fumatore cronico di canne, un totale psicopatico o uno schizofrenico, la legge non fa differenze. Peggio, secondo l'attuale normativa se avete consumato droghe o alcol che alterano la vostra facoltà di giudizio, ma senza abolirla completamente, allora la droga è un fattore che aggrava il vostro crimine. E' così per il non rispetto del codice della strada e gli stupri. In compenso, se avete consumato oltre misura e si ritiene che la vostra capacità di discernimento non sia soltanto alterata ma abolita, allora il consumo di droghe o di alcol... vi esonererà dal vostro omicidio se ne commettete uno! La prima lezione della sentenza nell'affaire Sarah Halimi è la seguente: la legge francese vi lava dalle vostre colpe se siete strafatti. Ma vi schiaccia se siete fatti soltanto a metà. Immaginiamo con terrore il messaggio che questa sentenza manda a quelli (e sono numerosi) che si drogano regolarmente e hanno a che fare con la giustizia. Dose massiccia di cannabis = divieto di guidare ma licenza di uccidere? Nella sua sentenza, la Corte di cassazione scrive: `Il giudice non può distinguere lì dove il legislatore ha scelto di non distinguere'. Detto in altri termini: non rimproverateci di aver applicato rigorosamente la legge, rivolgetevi al legislatore. E chi se ne frega se il messaggio di questa sentenza è: più ci si droga, meno si è responsabili penalmente. Rispondendo all'indignazione suscitata da questo verdetto, Emmanuel Macron ha affermato in un'intervista al Figaro che esiste una lacuna legislativa: `Decidere di assumere stupefacenti e in seguito diventare matto non dovrebbe a mio avviso rimuovere la responsabilità penale. Su questo tema, vorrei che il ministro della Giustizia presentasse al più presto una modifica alla legge. Anche in questo caso, nessuna falsa impunità'. Ma l'assassino di Sarah Halimi continuerà a beneficiare della sua falsa impunità in un istituto psichiatrico dove trattano i suoi continui deliri e dove, dopo alcuni mesi o anni di astinenza, si deciderà verosimilmente di rimetterlo in libertà (...). Come si può allo stesso tempo commettere un crimine antisemita, ossia essere coscienti della natura dell'atto, e allo stesso tempo essere giudicato irresponsabile? A meno che non si consideri l'antisemitismo una `follia' che non può essere giudicata perché rientra nel campo della psichiatria. Mohamed Merah, l'assassino dei bambini ebrei di Tolosa, è dunque irresponsabile? E come lui Amedy Coulibaly e i fratelli Kouachi? Se fossero usciti vivi dai loro crimini, in questo momento sarebbero dunque in cura in un ospedale psichiatrico? C'è qualcosa che non va".
(Traduzione di Mauro Zanon)
'Cosa sarebbe successo se un bianco avesse defenestrato un'immigrata maliana?'
La domenica successiva alla sentenza della Corte di cassazione, la trasmissione `C politique (ment correct)' su France 5 non ha nemmeno menzionato il fatto nella sua rassegna stampa della settimana. E nessuno dei presenti in studio ha rimediato a questa mostruosa dimenticanza. Immaginatevi cosa sarebbe successo se l'uccisore sotto effetto di droghe fosse stato bianco e avesse gridato `la Francia ai francesi!' gettando dal terzo piano Sarah Halimi o un'immigrata maliana in situazione irregolare. La stampa che denuncia senza sosta le discriminazioni avrebbe invitato tutti a scendere in campo, gli stessi che raccolgono con ossequio le parole del procuratore generale della Corte di cassazione gli avrebbero chiesto solennemente dei conti, e la sinistra, oggi così indifferente e discreta, avrebbe fustigato un verdetto scellerato e invocato una grande manifestazione nazionale. Ci si mobilita senza problemi contro l'antisemitismo residuale della `Francia ammuffita' di estrema destra, ma quando questo antisemitismo è praticato dalle vittime ufficiali del razzismo e della stigmatizzazione, non c'è più nessuno, quantomeno a sinistra", commenta Alain Finkielkraut, prima di aggiungere: "L'odio moribondo è ardentemente combattuto; l'odio vivente si diffonde senza ostacoli. Ed è persino incoraggiato dall'analogia insistente tra la vecchia giudeofobia e l'islamofobia contemporanea. Certo Manuel Valls non molla, resiste. Ma le due sinistre irriconciliabili, in fin dei conti, sono Valls da una parte e tutte le altre sinistre dall'altra. Perché l'islamogoscismo è un calcolo prima di essere un pensiero. Tra 700 mila ebrei e 7-8 milioni di musulmani, la scelta è rapidamente presa. Insomma, non sono gli ebrei che hanno virato a destra, come affermava Daniel Lindenberg nel suo libro `Rappel à l'ordre' (...), ma è la sinistra che in maggioranza ha voltato le spalle agli ebrei e oggi domanda loro di non confondere giustizia e vendetta". Nel 2013, Finkielkraut ha consacrato un libro alla questione dell'identità, "L'identité malheureuse". Oggi, la sinistra razzialista dei "woke" promuove la "politica delle identità", ma secondo il filosofo è ben diversa dall"`identità nazionale". "L'identità nazionale è una storia, una lingua, è fatta di costumi, di paesaggi, è un patrimonio letterario e artistico, è, secondo l'espressione di Renan, `un'eredità di gloria e di rimpianti' che tutti i cittadini francesi sono invitati a condividere a prescindere dalla loro origine. Per dirla con Lévinas, si può `appartenere alla nazione con il cuore e con lo spirito con la stessa forza con cui lo si sarebbe stati per nascita'. Come testimoniato dalla critica a trecentosessanta gradi dell'appropriazione culturale, le identità sventolate contro l'egemonia dell'uomo bianco non si condividono. E' la stessa parola, ma non è affatto la stessa cosa", spiega Finkielkraut. Alcuni parlano di "tenaglia identitaria" per qualificare il doppio pericolo dell'estrema destra e della sinistra identitaria. Secondo Finkielkraut, "l'estrema destra non è morta. Si può persino dire che il movimento dei `gilet gialli' e la pandemia hanno dato una nuova giovinezza al suo anti intellettualismo, al suo odio dell'élite e al suo complottismo. Dinanzi a questi fenomeni inquietanti, è d'obbligo la vigilanza. Ma l'idea di tenaglia identitaria è falsa. Essa cerca di mettere sullo stesso piano quelli che, perdendo il loro statuto di riferimento culturale sotto l'effetto dell'immigrazione massiva, si sentono `stranieri nel loro paese' e quelli che, in nome della loro identità, reale o immaginata, promuovono il separatismo, se non addirittura la conquista. Per quanto mi riguarda, ho scoperto la nozione di identità nel bellissimo testo di Milan Kundera pubblicato nel 1983 dalla rivista Le Débat, `Un occident kidnappé. La tragédie de l'Europe centrale'. Kundera mostra che i cechi, i polacchi e gli ungheresi non si battevano solamente per la democrazia ma anche per la loro identità, indissolubilmente nazionale e europea, la loro identità, ossia la cultura di cui erano portatori. Essendo questa cultura minacciata ora in Francia, come lo era nella piccola nazione di Kundera, si può dire che la difesa dell'identità francese sta non nel ripiegamento su se stessi e nella paura dell'altro, ma in ciò che Simone Weil chiamava il patriottismo di compassione: `La tenerezza per una cosa bella, fragile, preziosa e peritura (...)'. Il pensiero della debolezza può accendere quello dell'amore come quello della forza, ma la purezza della fiamma è ben diversa. La compassione per la fragilità è sempre legata all'amore per la vera bellezza, perché sentiamo intensamente che alle cose veramente belle dovrebbe essere assicurata un'esistenza eterna e che così non è".
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